SCUDIT, SCUOLA D'ITALIANO ROMA, PRESENTA MATDID, MATERIALI DIDATTICI DI ITALIANO PER STRANIERI
A CURA DI ROBERTO TARTAGLIONE E GIULIA GRASSI


 

Materiale: n. 279  -  Data: 02.06.2013  - Livello: intermedio 3 (B2/C1) - autore: Roberto Tartaglione

OGNI PAROLA NON IMPARATA OGGI È UN CALCIO IN CULO DOMANI

Qualche considerazione sul pensiero di Don Milani e su quello che è successo in Italia dopo di lui

In MatDid vedi anche: Docere delectando; Ma che parlo arabo?; 3 gennaio 1954: si accende la tv
 

 

 

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Quasi sempre gli stranieri conoscono il nome di Maria Montessori. Più raramente conoscono invece quello di Don Milani, un prete che ha detto e fatto per la scuola italiana cose che l'hanno condizionata grandemente negli ultimi cinquant'anni.
Chi non sa niente di Don Milani può leggere qui
qualche informazione sulla sua vita e sulle sue idee.
Chi invece sa già qualcosa di lui può leggere direttamente il testo qui sotto: raccontiamo quello che è successo nell'idea stessa di "scuola" in questi ultimi decenni in Italia. E chissà che queste righe non rispondano anche all'eterna domanda "perché gli italiani votano Berlusconi?".
Naturalmente noi parliamo di Italia: ma siamo convinti che questo argomento sia di grande attualità anche in altri paesi e ci auguriamo che in classi di stranieri di diverse nazionalità questo testo possa essere di stimolo a una conversazione che metta in luce somiglianze o differenze nei sistemi educativi e nell'idea stessa di "formazione culturale" delle nuove generazioni.
 


Don Milani diceva che
solo la lingua rende uguali e che ogni parola non imparata oggi è un calcio in culo domani.
Per questo, per difendersi dal potere (che è potere proprio perché è padrone della lingua), è necessario che i ragazzi imparino a esprimersi e a comprendere un testo o un giornale, dalla prima all'ultima pagina: perché
un giornale non scrive per il fine che in teoria gli sarebbe primario cioè informare, ma di solito lo fa per influenzare in una direzione.
Quindi bisogna capirlo e sapersi difendere. "Saper leggere" nel senso di riconoscere le parole, non basta.

Insomma, Don Milani, pedagogicamente e anche politicamente, sosteneva che i padroni della lingua sono i padroni di tutto: sono loro che scrivono le leggi e chiaramente le scrivono adattandole alle loro esigenze: chiaro che, essendo fatte su misura, per loro sarà più facile rispettarle.
 
 

Ed è per questo che la scuola deve insegnare che "l'obbedienza non è più una virtù". Quando la legge è ingiusta (e cioè quando non difende i deboli) va respinta: se un ordine, sia pure un ordine militare, è ingiusto, non va eseguito! Ma quanto sarebbe pericolosa in questo modo la scuola?

Purtroppo oggi sembra che la lezione di Don Milani l'abbia imparata molto bene soprattutto quella classe di potere dominante che lui voleva combattere attraverso la diffusione della cultura.

I "padroni della lingua" hanno scoperto che la tensione dei subalterni a progredire, linguisticamente e culturalmente, in particolare negli anni Settanta, si stava facendo troppo forte.
La scuola di massa, davvero, stava riuscendo, piano piano, ma costantemente, a elevare il grado di coscienza sociale di chi era "storicamente" destinato ad essere subalterno.

Il mantenimento del potere esigeva (ed esige) perciò una strategia diversa da quella che fino a trent'anni prima aveva funzionato benissimo (ovvero quella che rinchiudeva nell'impotenza espressiva e nella timidezza dell'analfabetismo i potenziali contestatori dello status quo).
I figli dei contadini, degli operai, dei semi-analfabeti di una volta ormai vanno tutti a scuola, imparano tutti a leggere, scrivere e far di conto: la televisione diffonde idee che - se ben comunicate - possono essere comprese anche dal più incolto degli italiani (che infatti negli anni Sessanta e Settanta seguono in televisione sceneggiati come I Promessi Sposi, I Buddenbrook o Anna Karenina, conoscono opere teatrali una volta riservate solo a una classe sociale privilegiata, hanno modo di acculturarsi attraverso questo nuovo elettrodomestico che, in origine, ha una quasi esclusiva funzione didattica). Sempre più difficile quindi procurarsi "carne da cannone" docile e obbediente.

Si è allora fatto esattamente il contrario di quello che voleva fare Don Milani: si è deciso di restituire all'ignoranza e all'analfabetismo se non dignità almeno prestigio sociale. Negli ultimi vent'anni lo sforzo di creare una relazione quasi automatica fra incultura e successo sociale è stato immenso e senza risparmio di energie.

Politici, uomini di spettacolo, personaggi pubblici, giornalisti di moda, opinion leader ecc., sono andati via via caratterizzandosi per la loro esteriorità "popolare": rozzi, volgari, incolti, volutamente sprezzanti verso il pensiero ben articolato o coerente (spregiativamente definito "intellettuale").
La classe dominante ha propagandato la sua stessa immagine in modo culturalmente sempre più basso: è sempre la classe padrona della lingua, certo; è sempre lei a scrivere leggi, nulla è cambiato rispetto alla rigidità delle gabbie "familiari" del potere e della ricchezza (ricchi i figli dei ricchi, poveri i figli dei poveri).

Ma per il raggiungimento di questo obiettivo è stato necessario rivalutare l'incultura affiché la conoscenza vera non creasse un popolo libero. E - forse ricordando anche don Milani che sosteneva che l'unico modo di insegnare fosse "porsi come modello" - ecco che il potere stesso si presenta come modello quanto più "popolare" sia possibile, parlando come una volta non avrebbe fatto neppure una persona con diploma di quinta elementare, usando turpiloquio, citando frasi o motti di star o starlette della televisione quasi si trattasse di filosofi o pensatori, utilizzando sterotipi linguistici e mentali che solo quarant'anni fa una persona di media cultura si sarebbe vergognata non solo a proferire ma perfino a pensare.

L'impatto è potente: se "Lui" che parla così (e che è quindi come me!) è tanto ricco e potente, evidentemente la scuola non serve a nulla. Anzi, riformiamola! Facciamola più seria, facciamola più selettiva, facciamola più meritocratica, facciamola più lunga e duratura negli anni! Insomma: rendiamola distante dalle esigenze della gente comune. Cosicché chiunque ormai è convinto e sa che "studiare non serve a niente", "i soldi si fanno in un altro modo", "il successo è dei furbi" e così via.

Ovvio che il potere resta più che mai padrone della lingua e dei linguaggi che contano. Ma per impedire concorrenza o insidie di sorta ha rivalutato l'analfabetismo e l'incultura, cosicché l'incapacità di ragionare e di capire non sia più (come un tempo) motivo di timidezza o di aspirazione al progresso, ma motivo di vanto e fierezza.