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L'indomani alle dieci esatte il Biondone era in loco (dopo aver dato una
giratina fra i palmizi): è l'ora che le donne sogliono provvedere a
mercato, in vista non solo della cena, quanto anzitutto del pranzo alle
cure loro imminente: l'ora delle mozzarelle, dei formaggi, delle vermìfughe
cipolle, e dei cardi, sotto la neve pazientemente ibernanti, degli odori,
delle insalatine prime, dell'abbacchio. Gente
che venneveno la porchetta su le bancarelle de piazza, quela mattina, ce
n'era na tribbù. Da San Giuseppe in poi è la staggione sua, se po dì. Col
timo e co li fiocchetti de rosmarino, e l'agli nun ne parlamo, e il
contorno o il ripieno de patate co l'erbetta pesta.
Ma il Biondo, a capo ciondoloni, si lasciò condurre tra i berci e le
arance rosse dal suo dinoccolato ottimismo, sufolando in sordina, o
atteggiandovi appena appena le labbra, tacendo a un tratto, levando un
occhio in qua in là, come a caso. Oppure sostava chiotto chiotto, la
lobbia giù a metà fronte, le mani in tasca, la gobba infreddolita sotto
pastrano chiaro fresconcello, aperto, e dietro i due polsi cadente, da
parer coda di marsina. Era un
pastranuccio di mezza stagione fasulla, che tirava al peloso, e al
morbido, e riusciva liso in più punti: contribuiva a definir l'immagine
d'un bellimbusto assonnato, in cerca d'una cicca da poté fumà. Involtato
nel turbine degli inviti e degli incitamenti alla compera e in tutte le
conclamazioni di quella festa formaggia, trascorse piano piano davanti le
bancarelle abbacchiare, oltrepassò carote e castagne e attigue montagnole
di bianco-azzurrini finocchi, baffosetti, nunzi rotondissimi d'Ariete: ivi
insomma tutta la repubblica erbaria, dove alla gara dei costi e delle
profferte i novelli sedani già tenevano il campo: e l'odore delle bruciate
in sul chiudere pareva, da pochi fornelli superstiti, l'odore stesso de
l'inverno fuggitivo.
Su
molti banchi gialleggiavano, oramai senza tempo e senza più stagione, le
arance in piramidi, noci, nelle ceste, susine di Provenza nere, lustrate
col catrame, susine di California: alla cui sola veduta gli rampollava
acquolina dal retrobocca, al Deviti.
Sopraffatto dalle voci e dai gridi, dalla stridula comminatoria di tutte
le venditrici sindacate, pervenne alfine al reame antico ed eterno di
Tullo e di Anco, ove adagiate sul tagliere prone o più raramente supine, o
addormitesi di lato, a volte, le porchette dalla pelle d'oro esibivano i
lor visceri di rosmarino e di timo, o un nòdulo qua e là verde-nero dentro
la carne pallida e tenera, una foglia di menta amara pigiatavi a guisa di
lardello con un gran di pepe, che la grida elaudava nel bailamme: “nuova
ghiandoletta prestata loro a cucina, e ad altro mercato e ad altre fiere
non saputa”. Non gli
riuscì difficile ivi, dato l'ottimismo in poppa che lo andava sospingendo
fra il vorticar delle femmine, oberate di reti colme o di sporta, fronzute
di broccoli, non gli fu difficile ravvisare dalla descrizione della Ines,
e già da qualche passo lontano il tipetto, il gentil trombetto che faceva
proprio al caso suo.
Era un
dritto, dietro la bancarella, con du occhi! il contrario, in quel momento,
della paura e della timidezza che aveva decantato la Ines, e con la
zazzera fitta fitta e straunta tutta da una banda: insieme a la nonna,
stava. A la cima, ricaduti un poco su la fronte, i fili dei capelli
s'erano arricciolati come insalatina dopo il capriccioso ritocco del
pettine, o come il rotolo d'una lama di maretta allorché la ribolle un
attimo prima d'impigliarsi a recedere, e abbandona infine la rena.
Una parannanza bianca lo affagottava un tantino e tramente strillava stava
a affilà li cortelli, uno lungo uno corto, e intanto lo guardava a lui, ar
Biondone, ma senza dà segno de vedello: quer capoccione bionno scuro, co
quaa lobbia de cavadenti specialista che je scegneva fino sur grugno, je
s'era piazzato avanti a debbita distanza co le mano in saccoccia: era de
sicuro uno che ciaveva la fantasia de magnà la porca, ma si nun teneva li
sordi, povero micco, poteva puro morì da la voja.
"La
porca, la porca! Ciavemo la porchetta, signori! la bella porca de
l'Ariccia co un bosco de rosmarino in de la panza! Co le palatine de
staggione!” (la staggione se la sognava lui, erano le patate vecchie
fatte a pezzi, tutte puntolini di prezzemolo, inficiate nella grascia
della porca). “Palatine de staggione, sori cavajeri e consijeri, sore
spose mie belle! che so' mmejo che l'ova toste pe l'insalata. Mejo
dell'ova de li capponi so', ste patate. V'oo dico io. Assaggiatele!”
Posava un attimo da riprender fiato. E poi,
a scoppio: “Uno e novanta l'etto, la porca! È 'na miseria, signori!
robba da fa vergogna, signori! a chi venne e a chi crompa! Uno e novanta
l'etto, più mejo fatto che detto. Famese avanti co li baiocchi a la mano,
sore spose! Chi nun magna nun guadagna. Uno e novanta l'etto, la porca!
Carne fina e dilicata, pe li signori propio! Assaggiatela e proverete, v'
'o dico io, sore spose: carne fina e saporita! Chi prova ciariprova, er
guadambio è tutto vostro. La bella porca de li Castelli! L'emo portata a
balia a la macchia: a la macchia de Galloro, l'emo portata, a mmagnà la
ghiandola de l'imperatore Calìgula! la ghiandola der principe Colonna !
Der gran principe de Marino e d'Albano! ch'ha vinto tutti li peggio turchi
pe mare e pe terra a la gran battaja de Levati da li piedi! Che ar domo de
Marino ce stanno ancora le bandiere! co la mezzaluna de li turchi, ce
stanno! La bella porca, signori! porchetta arrosto cor rosmarino! e co
le patate de staggione!” : e dandosi requie dopo la strillata, a parte
fatta anche l'attor tragico posa, ripigliò serio serio a affila li
cortelli.
Ma
doppo du bòtte a li cortelli ebbe un ritorno di fiamma: un sussulto lo
scosse. Fu il deflagrare d'una ulteriore variazione, o tale parve
all'agente. Ad occhi bassi: “ Provatela, signori, assaggiatela! P'uno e
novanta l'etto ve fate na magnata de porca, che vostra moje v'aringrazzia!” Poi, a una belloccia, discendendo di tono:
“Che volete, bella pupa?”, la pupa a quel tono d'autorità non poté
comprimere le risa, “na mezza libbra de porchetta?” E sottovoce a lei,
ma con un'occhiata a lo squattrinato cavadenti: “A voi ve do er mejo
boccone, v' 'o giuro! Me piacete troppo! Sete troppo bona! Un
bocconcino arrostito apposta pe voi, co du patate!” Poi di nuovo,
eternamente berciando e con occhi al cielo stavolta e con delle gote da
buccinatore senza senso: “Fàmese a crompà la porca, signori! Fàmese a
caccià li sordi, ch'è la vorta bona, signori! ch'è na vergogna lassalla
qua sur banco che a momenti aripiove, che cioo so che ce n'avete un sacco
in saccoccia, de baiocchi. Famo annà via la migragna, signori! La porca è
vostra, si è che cacciate li baiocchi.”
La nonna, ora, si nonna era, ciurmandola di bilancia alegra e di
chiacchiera, dava ogni sodisfazione alla rubiconda servotta. E lui:
“Uno e novanta l'etto! La porca d'oro, la porca! ”Ma intanto quer
cavadenti d'un Biondone t'oo seguitava a guardà, dopo aver buttato
indietro er copricapo, scoperta dunque la fronte, che apparve tutta
fiammeggiata di una stoppa irta e rubella, tra il biondo, giusto, e il
castano.
Gli si erano rizzati ai fianchi du figuri, du tipi de pizzichini un ber
po' più scuri de lui, uno de qua uno de là, come i silenti gendarmi che
Pulcinella percepisce dopo un po', in uno sgomento improvviso ma ritardato
sull'azione. Sicché quello, er maschietto, a poco a poco, “signori
signori, uno e novanta l'etto, la porca la porca, sì, sì, la porca, ho
capito!” pareva dire a se stesso, ma abbassava la voce sempre de più, “a por-ca,” sillabò esangue, “'a por...” e quel po' di fiato gli smoriva
nella gola: come la luce sempre più querula e falba di un moccolaccio
quanno che sbava cera e se strugge tutto, in un lago de puzza, co un
codino fritto ner mezzo.
Con addosso queli fanaloni, che tutt'a un tratto s'ereno mortipricati pe
tre.
Sicché, capirete: quanno capì si de che gente se trattava, era troppo
tardi pe squajassela.
Posò li cortelli sur banco, susurrò a la nonna “me vonno” : già se
slegava la parannanza. Je tremaveno le gambe. Je
toccò fa bella cera ar Biondone, che senza fasse vede aveva sfoderato na
carta, na tessera, e je diceva a mezza voce nell'atto che je lo stava a
regge sotto l'occhi, quer ber talismano:
“Hai da venì un momento in questura: si stai zitto nessuno se n'accorge!
Questi so' du aggenti in borghese, ma si preferisci t'accompagno io, senza
disturballi a venì de scorta. Sei Lanciani, Lanciani Ascanio, si nun me
sbajo.” Je toccò, sicché, pe nun fa storie, piantà porchetta e cortelli,
e lassaje tutto a la zia... a la nonna: era là, dura, impalata, co un
occhio pieno d'inquietudine a la folla, che trascorreva distratta.
[......]
Uscirono da la confusione verso via Mamiani o via Ricasoli: c'era un
passaggio tra le bancarelle de li pesciaroli e de li pollaroli, indove
che vénneno li calamari e li totani e tutte le qualità d'inguille e
d'aguglie che stanno a mare, nun pariamo de l'arselle.
Il tipetto, e lui stesso il Biondone, sguardarono a quelle polpe molli
d'un argento-chiaro madreperla de li calamari (così delicatamente brunito
nelle venature interne), annasarono senza pur volerlo odor d'alighe marine
da tutto il fresco umidore, quel senso di cielo e di libertà
cloro-bromo-jodica, di mattina viva alle darsene, quella promessa
d'argento fritto nel piatto per la fame che già chiamava dal profondo.
Rotoli di trippe lesse l'un sull'altro come tappeti arrotolati, gentili
anatomie di capretti spellati, rosso bianche, il codonzolo appuntito, ma
terminato nel ciuffetto, a significarne in modo veridico la nobiltà: “pe
quattro lire v'oo do tutto,” diceva l'abbacchiare presentandolo a
mezz'aria, tutto cioè mezzo: e i bianchi cespi de la lattuga romana, o
insalatine ricciolute tutte riccioli verdi, polli vivi coi loro occhi che
smicciano da un lato solo e vedono, ognuno, un quarto del mondo, galline
vive chiotte chiotte stipate nelle loro gabbie, o nere o belghe o padovane
avorio-paglia, peperoni secchi gialloverdi, rossoverdi, che al mirarli
solo ti pizzicavano la lingua, ti mettevano in salive la bocca: e poi
noci, noci di Sorrento, nocciuole di Vignanello, e castagne a mucchi. Addio,
addio. Le donne, le polpute massaie: lo scialle scuro, o verde erba, una
spilla da balia co la punta aperta, ahi! da pinzar la poppa alla vicina
d'un attimo: così fan tutte. Polponi semoventi, esse ambulavano a fatica
da uno spaccio e da un ombrellaccio al successivo, dai sèlleri ai fichi
secchi: si rivolvevano, si strofinavano i rispettivi gregori l'uno
all'altro, annaspavano ad aprirsi il passo, con borse ricolme,
soffocavano, boccheggiavano, grasse carpie in una piscina-trappola dove
l'acqua a poco a poco decèda, stipate, strizzate, intrappolate a vite con
tutta la lor ciccia nei vortici della gran fiera magnara.
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