Matdid: Materiale didattico di italiano per
stranieri aggiornato ogni 15 giorni a cura di Roberto
Tartaglione e Giulia Grassi -
Scudit,
Scuola d'Italiano Roma
La "storia ufficiale" del rapimento e
dell'uccisione di Aldo Moro, a tanti decenni
di distanza, non convince proprio nessuno.
Gli elementi che fanno pensare che dietro a
quest'omicidio ci siano molte verità ancora
da scoprire sono infiniti. Ne elenchiamo qui
soltanto qualcuno.
Quale sia la verità "vera" non possiamo
certo dirlo noi. Possiamo però dire con un
buon margine di sicurezza che le cose stanno
in modo diverso da quello che per molto
tempo si voleva che noi tutti pensassimo.
Quale sia la verità vera, abbiamo detto, non
possiamo dirlo noi. Ma, come ha
scritto Pasolini in un suo famoso articolo a
proposito della lunga lista di "misteri
italiani" possiamo dire anche noi:
Io so.Ma
non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. Io
so perché sono un intellettuale, uno
scrittore, che cerca di seguire tutto ciò
che succede, di conoscere tutto ciò che se
ne scrive, di immaginare tutto ciò che non
si sa o che si tace; che coordina fatti
anche lontani, che mette insieme i fatti
disorganizzati e frammentari di un intero
coerente quadro politico, che ristabilisce
la logica là dove sembrano regnare
l'arbitrarietà, la follia e il mistero…
L'agguato
La verità "processuale" ha accertato quali brigatisti
hanno partecipato all'operazione in Via Fani per rapire Aldo
Moro. Ma quel giorno, all'operazione parteciparono (almeno!)
altre due persone. Su una grossa moto infatti c'erano due uomini
che fiancheggiavano il commando brigatista. Quando poco prima
dell'azione passa un piccolo scooter con a bordo l'ingegner
Marini, testimone oculare del fatto, i due uomini gli
sparano una raffica di mitra. Lui cade dal motorino e si
nasconde.
Di questi due uomini non si sa nulla: mai trovate le armi,
spariti i bossoli dei colpi sparati, negata la loro presenza dai
brigatisti arrestati.
Nel 2009 a un giornale arriva la lettera anonima scritta da un
poliziotto prima di morire:
"Quando riceverete questa lettera, saranno trascorsi almeno sei
mesi dalla mia morte come da mie disposizioni. Ho passato la
vita nel rimorso di quanto ho fatto e di quanto non ho fatto e
cioè raccontare la verità su certi fatti. Ora è tardi, il cancro
mi sta divorando. La mattina del 16 marzo ero su di una moto e
operavo alle dipendenze del colonnello Guglielmi; con me alla
guida della moto un altro uomo proveniente come me da Torino; il
nostro compito era quello di proteggere le Br nella loro azione
da disturbi di qualsiasi genere."
Il colonnello Guglielmi è un funzionario dei Servizi Segreti
che la mattina
del 16 marzo era proprio in via Fani, il luogo del rapimento. Interrogato sul motivo della sua
presenza sul luogo della strage dichiara che stava andando a
pranzo a casa di un amico.
Il "comitato speciale" e la P2
Nel Comitato Speciale voluto da Cossiga per gestire "l'affare
Moro" quasi tutti i componenti (generali, dirigenti dei servizi
segreti, collaboratori) erano membri della P2, la loggia
massonica che, parecchi anni dopo, sarebbe stata scoperta e
giudicata eversiva.
La P2 era in sostanza un organismo segreto
che aveva come sua ragion d'essere impedire che il Partito
Comunista prendesse il potere e favorire la deriva autoritaria o
fascista dello Stato. Il suo capo (Gran Maestro) era Licio
Gelli.
Il
covo di Via Gradoli
Uno dei "covi" delle Brigate Rosse, forse il più importante a
Roma, quello più frequentato da Mario Moretti, capo delle BR,
era in Via Gradoli 96.
Ora, a parte la stranezza che un gruppo di terroristi stabilisca
il suo covo in un edificio in cui quasi tutti gli appartamenti
sono di proprietà dei Servizi Segreti italiani; a parte
la sorpresa nello scoprire che in un appartamento vicino al covo
abita un compaesano di Mario Moretti e suo ex compagno di
scuola (il rischio di essere riconosciuto è altissimo); a parte
che nell'appartamento di fronte al covo vive Lucia Mokbel,
sorella di Gennaro Mokbel, imprenditore di estrema destra
coinvolto in scandali di ogni genere, in rapporti poco chiari
sia con i servizi segreti sia con la banda della Magliana; a
parte queste stranezze su via Gradoli ci sono un mare di
misteri.
1 - Subito dopo il rapimento il palazzo di Via Gradoli
viene perquisito dalla polizia (una segnalazione, forse). Tutti
gli appartamenti vengono perquisiti. Tutti escluso uno! Quando
la polizia ha bussato alla porta del covo BR infatti
nessuno ha
risposto e gli agenti sono andati via.
2 - Romano Prodi (che in futuro diventerà Presidente del
Consiglio) dichiara che in una seduta spiritica in cui si
chiedevano informazioni sulla prigione di Aldo Moro, è uscito il
nome "Gradoli". La polizia organizza allora una intera giornata
di perquisizioni in un paese non lontano da Roma che si chiama
appunto Gradoli. La moglie di Moro chiede alla polizia se a Roma
non ci sia una strada che si chiama Gradoli, ma la polizia
risponde di no. La perquisizione del paese di Gradoli,
naturalmente, non dà nessun risultato. 3 - Il giorno 18 aprile la signora che abitava in via
Gradoli al piano di sotto rispetto all'appartamento dei
brigatisti, chiama i pompieri. Dal piano di sopra arriva infatti
una infiltrazione d'acqua. I pompieri entrano nell'appartamento
e scoprono che in bagno la doccia è stata "dimenticata"
aperta. Con l'aiuto di una scopa il getto d'acqua della
doccia è indirizzato proprio verso una fessura nel muro, in modo
tale che l'acqua vada direttamente al piano di sotto.
Nel covo BR vengono trovate armi, volantini, soldi.
La notizia della scoperta del covo viene subito diffusa e quindi
i brigatisti che tornavano tutte le sere in quell'appartamento
sono riusciti a scappare.
Il falso comunicato n. 7
Lo stesso giorno in cui viene "scoperto" il covo di Via Gradoli,
arriva il comunicato n. 7 delle Brigate Rosse.
Secondo il
comunicato Moro è stato ucciso e il suo corpo gettato nel lago
della Duchessa, un lago ghiacciato su una montagna tra Lazio e
Abruzzo, a 1700 metri di altezza. Il comunicato è evidentemente falso: diversa la lunghezza,
diverso lo stile, diversa la grafica del foglio. Ma la polizia
passa un'intera giornata a scandagliare il fondo del lago.
In seguito si scoprirà che il falso comunicato è stato
"costruito" da un falsario, Antonio Chichiarelli, membro della
malavita romana con grosse relazioni con la banda della
Magliana, con la mafia e con i servizi segreti. Steve Pieczenik, agente della Cia e
membro del Comitato Speciale di Cossiga,
dichiara che il falso comunicato è stato ideato
da lui in collaborazione con lo stesso Cossiga,
per valutare le reazioni dell'opinione pubblica
alla notizia della morte di Moro. Più
probabilmente la contemporaneità fra la
"scoperta" del covo di Via Gradoli e l'annuncio
del lago della Duchessa fa pensare alla volontà
di impegnare le forze dell'ordine per permettere
qualche spostamento delle BR in un momento di
scarsi controlli.
Antonio Chichiarelli, pochi anni dopo, è il capo
di una banda che farà una grandiosa rapina alla
Brink's Sekurmark di Roma. La rapina frutta
l'enorme cifra di 35 miliardi di lire. C'è chi
sostiene che la relativa facilità con cui
Chichiarelli porta a termine il colpo sia
"il premio" che i servizi segreti gli danno per
l'aiuto avuto ai tempi del rapimento Moro.
Comunque nel 1984 Chichiarelli viene assassinato
e i responsabili dell'omicidio non sono mai
stati scoperti.
Il vero comunicato n. 7 arriva il 20 aprile.
La
prigione di Moro e le dichiarazioni dei brigatisti
Tutti i
brigatisti catturati hanno sostanzialmente ammesso le
loro colpe, si sono presi la responsabilità del delitto
e hanno perfino dichiarato di considerare ormai chiuso
il periodo della "lotta armata". Ma nonostante questo,
ancora oggi (che molti di loro o sono tornati liberi o
sono in "regime di semilibertà") nessuna loro
dichiarazione ha permesso di chiarire definitivamente
alcuni punti. Chi ha sparato realmente ad Aldo Moro?
In un
primo momento si è autoaccusato Prospero Gallinari; poi
Mario Moretti ha detto di essere stato lui a premere il
grilletto, e infine anche il brigatista Maccari ha
dichiarato di aver sparato alcuni colpi. Dove è stato realmente tenuto prigioniero Moro?
La verità "processuale" indica il covo BR in Via
Montalcini, a Roma. Eppure sul corpo di Moro sono state
trovate tracce che indicherebbero la permanenza in un
posto di mare (ma i brigatisti dichiarano di aver
sprizzato acqua salata sul corpo di Moro proprio per
depistare le indagini). E la mattina del 9 maggio 78, è
possibile che i brigatisti abbiano trasportato in
macchina il corpo di Moro da Via Montalcini fino in Via
Caetani, in pieno centro a Roma, rischiando di essere
fermati a uno dei tanti posti di blocco della polizia? Perché le BR non hanno diffuso tutte le carte con le
dichiarazioni fatte da Moro durante il "processo del
popolo"?
Nei loro comunicati in effetti promettevano
di non tenere nascosto niente. Mario Moretti dice che i
nastri registrati sono stati distrutti e che loro stessi
non si rendevano conto dell'importanza di alcune
dichiarazioni. Per questo molto materiale è andato
disperso. Chi ha partecipato alla strage di Via Fani?
I
brigatisti hanno ammesso solo la partecipazione di
quelle persone che erano già state arrestate. Su altri
partecipanti, che pure dovevano esserci, nessuna
rivelazione.
Le carte
di Moro e il covo di Via Montenevoso
Dopo la morte di Moro,
nell'ottobre del 1978, le forze dell'ordine
antiterrorismo, guidate dal Generale Carlo Alberto Dalla
Chiesa, scoprono un covo BR in Via Montenevoso, a
Milano. All'interno decine di fotocopie, pagine
dattiloscritte degli interrogatori di Moro. Alcune di
queste pagine spariscono, altre vengono pubblicate. Gli
originali però non si trovano e comunque si ha
l'impressione che dietro quegli scritti si nascondano
altri misteri.
Incredibilmente, 12 anni dopo, quando un nuovo
proprietario dell'appartamento di Via Monte Nevoso lo fa
ristrutturare, dietro un pannello di gesso sotto la
finestra, vengono ritrovate altre carte: si tratta dei
manoscritti del memoriale Moro, in parte uguali ai
dattiloscritti trovati nel 78, in parte "nuovi". Anche
stavolta però è chiaro che le pagine più rilevanti
mancano.
Esistono gli originali? Esistono i nastri con le
registrazioni di quello che Moro ha detto? Nessuno può
rispondere con sicurezza. È certo che chiunque si sia
avvicinato troppo all'originale del memoriale è morto.
Morto il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa
("ufficialmente" assassinato dalla mafia nel 1982).
Morto il giornalista Mino Pecorelli che aveva annunciato
rivelazioni sensazionali sul memoriale (assassinato il
20 marzo del 1979). Morto a luglio dello stesso anno
anche il generale Varisco che probabilmente di Pecorelli
era informatore.
La figura
di Mario Moretti
Mario Moretti è stato spesso indicato come il "capo
delle Brigate Rosse". In una intervista lui ha tenuto a
precisare che era solo un dirigente e che nelle BR non
c'era una struttura gerarchica e quindi non c'era un
capo.
I sospetti che si tratti di un "doppiogiochista" sono
molti: ripercorrendo la storia delle Brigate Rosse
infatti più volte si trovano episodi in cui quando
appare Mario Moretti alle sue spalle ci sono i Servizi
Segreti. Ma non solo complottisti o giornalisti hanno
notato queste coincidenze. Lo stesso Franceschini, uno
dei capi storici delle BR della prima generazione, in un
suo libro lancia numerosi segnali in questo senso. E che
Moretti fosse una "spia" lo dice quasi chiaramente.
Né c'è da sorprendersi troppo se si sospetta che
all'interno delle BR ci fossero infiltrati.
Giovanni Galloni, importante esponente della Democrazia
Cristiana fra gli anni 50 e 70, rivela che lo stesso
Moro, prima del suo rapimento, gli aveva confessato la
sua perplessità sul fatto che la Cia avesse all'interno
delle BR anche dei suoi uomini.
Moretti del resto era uno di quelli che ruotavano
intorno alla scuola di lingue Hyperion, a Parigi. Scuola
di lingue che, si è poi scoperto, era la copertura di
una delle centrali di spionaggio fra le più importanti
d'Europa, in cui confluivano gli interessi di Cia, Kgb,
Mossad e di numerosi gruppi terroristici la cui
esistenza poteva far gioco a chi aveva interessi a
destabilizzare la situazione di alcuni paesi europei.
Rivelazioni del giudice Imposimato
La raffica
di ipotesi sui retroscena dell'"affare Moro" potrebbe
continuare per molte pagine. Ma accenneremo solo a
quello che dice il giudice Imposimato, un famoso
magistrato italiano in pensione.
Negli anni 70 si era occupato anche del caso Moro, ma
solo dopo il 2000 ha cominciato ad avere una visione del
tutto differente di come si sono svolti i fatti. In
sostanza, dopo che degli ex agenti di polizia gli hanno
rivelato che la prigione di Moro era stata scoperta
dalle forze dell'ordine molto tempo prima che Moro fosse
ucciso e che per "ordini superiori" non avevano potuto
intervenire, Imposimato in molti suoi libri sostiene la
tesi che la morte di Moro è stata organizzata per motivi
di politica internazionale e che i brigatisti sono stati
solo gli esecutori di un delitto programmato ad
altissimo livello. "Doveva morire" si intitola uno dei
suoi libri più famosi.
Dal film
"Piazza delle Cinque Lune"
(ipotesi sulla fine di Aldo Moro)
E nel
libro, senza troppi "mezzi termini" lascia intuire che
Il ministro (e poi presidente della Repubblica)
Francesco Cossiga e il Presidente del Consiglio Giulio
Andreotti hanno avuto nel delitto Moro un ruolo
tutt'altro che marginale.
Tutto quanto abbiamo scritto in questa pagina non è
necessariamente quello che noi pensiamo.
Si tratta solo di elementi che inducono a sospettare
che
in questo
delitto le cose non siano andate così come sono
state descritte.
Per quanto riguarda misteri e ambiguità, infatti,
non ci è difficile associare questo crimine ai grandi enigmi
della
storia moderna e in particolare
all'omicidio
Kennedy
avvenuto nel decennio precedente.
Tuttavia, per un quadro molto più preciso e completo
di questa storia consigliamo vivamente il libro qui
sotto:
Scudit
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