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Nel 70 a.C. a Roma c'è
stato un processo molto importante.
L'accusato era Gaio Licinio Verre: quando era
governatore della Sicilia, tra 73 e 71 a.C., si era
enormemente arricchito, rubando tutto quello che
c'era da rubare; in più, aveva corrotto o intimidito
chi cercava di opporsi ai suoi metodi. L'avvocato
dell'accusa era Marco Tullio Cicerone: le orazioni
da lui scritte (in Verrem, o Verrine) erano
state così efficaci che Verre aveva preferito
lasciare Roma prima della fine del processo, perché
aveva capito che sarebbe stato sicuramente
condannato.
Verre era un appassionato d'arte, e un
collezionista. Ma aveva accumulato una fortuna in
statue, argenti, quadri e mobili pregiati in modo
illecito, per lo più sottraendo le opere ai
legittimi proprietari con la violenza (un 'vizio'
che aveva preso anni prima, quando era stato in
servizio in Asia Minore)¹.
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Per sostenere le sue accuse Cicerone elenca le opere
rubate e gli artisti che le hanno realizzate, di
origine greca. Le sue parole sono interessanti non solo
perché ci informano sui capolavori amati dai
collezionisti romani, ma anche perché ci fanno capire
come fosse considerata la passione per l'arte greca
nella società romana dell'epoca.
Tra le tante storie, racconta quella di Gaio Eio, a Messina.
Prima dell'arrivo di Verre, dice, nella casa di Eio c'era
"una cappella privata molto antica" con "quattro
bellissime statue di squisita fattura,
universalmente note". E prosegue: "La prima era un
Cupido di
marmo, opera di Prassitele
(è strano come abbia imparato anche i nomi degli
artisti, mentre raccoglievo le prove a carico di
costui); [...] dall’altra un Ercole di
bronzo di fattura egregia,
attribuito se non erro a Mirone (e
l’attribuzione è sicura). [...] si trovavano inoltre
due statue in bronzo di modeste proporzioni,
ma di straordinaria eleganza, che rappresentavano
nel portamento e nel modo di vestire quelle
fanciulle che, con le braccia sollevate, sostengono
sul capo un canestro con certi arredi sacri secondo
il costume delle ragazze ateniesi: si chiamano
appunto Canefore; ma
l’artista che le ha fatte, chi era? Chi mai? Ecco,
sì, buono il tuo suggerimento; dicevano che si
trattava di Policleto. [...] Tutte
queste statue di cui ho parlato, o giudici, Verre le
ha portate via dalla cappella privata di Eio".
A leggere il racconto, Cicerone è uno che di arte non
capisce |
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un bel niente: gli scultori
greci che nomina - Prassitele,
Mirone,
Policleto -
erano, e sono, tra i più famosi dell'antichità, ma lui
ne parla da 'incompetente'. Quando cita Prassitele,
specifica che ha imparato il suo nome mentre conduceva
l'inchiesta per il processo. Si mostra incerto nel
nominare Mirone ("se non erro"). Quanto a
Policleto, deve addirittura farsi suggerire il nome da
qualcuno perché lui non se lo ricorda ("l’artista che
le ha fatte, chi era? Chi mai? Ecco, sì, buono il tuo
suggerimento; dicevano che si trattava di Policleto").
Perché questa falsa ignoranza da parte di un uomo che
era, lui stesso, un
collezionista che aveva riempito le sue
ville presso Tuscolo, Pompei e Arpino di opere
d’arte e che non badava a spese per acquistarle?
La risposta ce la dà ancora Cicerone, quando in un'altra
parte dell'orazione afferma che "I
Greci hanno una straordinaria passione per queste cose,
che noi [romani]
disprezziamo". Ecco il
punto: a quell'epoca chi amava l'arte era guardato con
sospetto. Il vero romano doveva avere altre priorità,
lasciando ad altri le sciocchezze come l'arte: un
concetto che anni dopo il poeta Virgilio esprimerà in
modo chiaro nell'Eneide: "Modelleranno
gli altri con grazia maggiore il bronzo spirante di vita
/ (lo credo di certo), e vivi ricaveranno dal marmo i
volti; / peroreranno meglio le cause, e i movimenti
celesti / disegneranno con la canna, e il sorgere degli
astri prediranno: / tu di reggere col tuo impero i
popoli, o Romano, ricorda: / queste saranno le tue arti,
e alla pace d'imporre una regola, / risparmiare i
sottomessi e abbattere i superbi"².
L'ostilità dei tradizionalisti era però destinata a
fallire. I Romani impareranno ad amare l'arte e il lusso
attraverso le opere che arrivavano in città come
'bottino di guerra'. Diventeranno dei collezionisti
accaniti e trasformeranno l'aspetto stesso di Roma, che
diventerà una città monumentale e strapiena di
capolavori. E la Grecia, conquistata, si prenderà la sua
vendetta (vd
Quando la Grecia conquistò Roma).
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¹
Su Cicerone e il processo a Verre esiste una bibliografia
molto ampia. Uno dei contributi più recenti è di M.
Paoletti, Verre, gli argenti e la 'cupiditas' del
collezionista, in 'Quarte Giornate Internazionali di
Studi sull'area Elima' (Erice, 1-4 dicembre 2000), Atti,
Pisa 2003, II, pp. 999-1027 (con bibl. prec.).
²
"Excudent alii spirantia mollius aera, /
credo equidem, vivos ducent de marmore voltus, / orabunt
causas melius, caelique meatus / describent radio, et
surgentia sidera dicent: / Tu regere imperio populos,
Romane, memento: / hae tibi erunt artes, pacisque imponere
morem, / parcere subiectis et debellare superbos." (Eneide,
VI. 847-853).
Cicero at Tusculum,
di Georges Lebayle (1894) |
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