Roberto
Saviano ha trent'anni (è nato a Napoli nel 1979). Da
quando ne ha ventisette vive sotto scorta: ha descritto le
attività criminali della camorra in Campania nel libro
Gomorra
(maggio 2006), che gli ha dato la celebrità
ma ha anche sconvolto la sua vita. |
Poiché è stato minacciato di morte dai
criminali che ha citato nel libro, per
motivi di sicurezza non può abitare
stabilmente nella stessa casa e deve
spostarsi di continuo da un luogo all'altro,
protetto da una scorta. Dalla sua esistenza
è stata cancellata la quotidianità: entrare
in un cinema o in libreria, fare colazione
al bar, uscire con gli amici a mangiare una
pizza, fare due chiacchiere con l'edicolante
da cui si compra il giornale, prendere la
metro, dare un appuntamento a una ragazza in
una piazza... Una rigida limitazione della
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Saviano e la sua scorta |
libertà personale che lo mette a dura prova,
tanto da fargli accarezzare l'idea di
lasciare l'Italia.
Tutto questo perché è uno scrittore e un giornalista.
Eppure nel suo libro non ha fatto
rivelazioni sconvolgenti né ha citato nomi
di delinquenti insospettabili: che in
Campania c'è la camorra e che certe famiglie
e personaggi ne fanno parte era ed è cosa
nota. Saviano però ha ricostruito e messo in
ordine fatti e circostanze criminali, ne ha
descritto le conseguenze sulla vita delle
persone, particolarmente dei giovani, ha
reso evidente che non c'è niente da scoprire
perché è tutto sotto gli occhi di tutti,
basta voler guardare: "Io
so e ho le prove. Io so come hanno origine le economie e dove
prendono l'odore. L'odore dell'affermazione e della vittoria. Io
so cosa trasuda il profitto. Io so. E la verità della parola non
fa prigionieri perché tutto divora e di tutto fa prova. E non
deve trascinare controprove e imbastire istruttorie. Osserva,
soppesa, guarda, ascolta. Sa. Non condanna in nessun gabbio e i
testimoni non ritrattano. Nessuno si pente. Io so e ho le prove.
Io so dove le pagine dei manuali d'economia si dileguano mutando
i loro frattali in materia, cose, ferro, tempo
e contratti. Io so. Le prove non sono nascoste in nessuna
pen-drive celata in buche sotto terra. Non ho video
compromettenti in garage nascosti in inaccessibili paesi di
montagna. Né possiedo documenti ciclostilati dei servizi segreti.
Le prove sono inconfutabili perché parziali, riprese con le
iridi, raccontate con le parole e temprate con le emozioni
rimbalzate su ferri e legni. Io vedo, trasento, guardo, parlo, e
così testimonio, brutta parola che ancora può valere quando
sussurra: "È falso" all'orecchio di chi ascolta le cantilene a
rima baciata dei meccanismi di potere.
La verità è parziale, in fondo se fosse riducibile a formula
oggettiva sarebbe chimica. Io so e ho le prove. E quindi
racconto. Di queste verità." (pag. 234). In quel "Io so e
ho le prove" c'è un richiamo potente a un altro
intellettuale italiano, l'immenso
Pier Paolo
Pasolini, che nel 1977 denunciava le responsabilità della
classe politica nella
strategia della tensione: "Io
so - scriveva - ma non ho le prove". |
Ecco l'errore di Saviano, quello che ha provocato la sua
condanna a morte da parte dei criminali smascherati: sapere la
verità e farla conoscere, diffonderla tra i 'non addetti ai
lavori'. In un'intervista televisiva al giornalista Enzo Biagi
lo scrittore lo ha sottolineato: "Il pericolo non nasce da
chi pesca, trova, una nuova notizia. Il pericolo nasce da chi la
riesce a far passare, da chi rompe la crosta degli addetti ai
lavori, da chi in qualche modo riesce a far veicolare dei
messaggi, dei racconti" (RT Rotocalco Televisivo,
RaiTre, 22/04/2007).
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dalla trasmissione Che tempo
che fa (Rai Tre,
25/03/2009):
il monologo di Roberto Saviano e
l'intervista del conduttore
Fabio Fazio
(cliccare sulle foto per
collegarsi al sito RAI) |
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Da anni, quindi, questo giovane uomo vive recluso e si muove
solo sotto scorta.
E così scortato Saviano ha
partecipato alla
manifestazione romana del 3 ottobre del 2009 in difesa della
libertà di stampa. Quando ha attraversato la folla a Piazza del
Popolo mi è passato vicino, stretto tra le guardie che lo
proteggono, sul volto un sorriso mite e quasi sorpreso per gli
applausi che lo accoglievano: ho provato
un'emozione indescrivibile, un sentimento di profonda
riconoscenza per questo eroe per caso che mi rende orgogliosa di
essere italiana.
Ma evidentemente non tutti la pensano come me. Ad
esempio Emilio Fede, il direttore del Telegiornale di
Rete 4 (gruppo Mediaset), che la sera del 9 settembre ha
espresso questa opinione sullo scrittore: "C'è stato un comunicato, una
solidarietà espressa da parte del sindacato dei giornalisti...
va bene, lo condividiamo perfettamente, ma insomma, mi pare
che... è meglio andare avanti [...] Non è che ce l'ho con
Saviano, dico soltanto che Saviano si propone molto, insomma,
no? Cioè c'è un film, il libro, un libro che si vende, i diritti
del film che portano a casa anche tanti bei soldini... insomma,
va bene... insomma, è scortato; che poi lui racconti come si
vive da scortato, io potrei raccontarglielo meglio perché vivo
da scortato da più tempo ma non vado raccontando il perché sono
scortato". Le
parole sono pietre.
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