Matdid, materiali didattici di italiano per stranieri a cura di Roberto Tartaglione e Giulia Grassi, Scuola d'Italiano Roma

 
 

Roberto Tartaglione

  
DIVINA COMMEDIA
 CANTO IV DELL'INFERNO

 Il testo originale e qualche nota
 

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 4.  1       Ruppemi l'alto sonno ne la testa
 4.  2    un greve truono, sì ch'io mi riscossi
 4.  3    come persona ch'è per forza desta;

 4.  4       e l'occhio riposato intorno mossi,
 4.  5    dritto levato, e fiso riguardai
 4.  6    per conoscer lo loco dov'io fossi.

 4.  7       Vero è che 'n su la proda mi trovai
 4.  8    de la valle d'abisso dolorosa
 4.  9    che 'ntrono accoglie d'infiniti guai.

 4. 10       Oscura e profonda era e nebulosa
 4. 11    tanto che, per ficcar lo viso a fondo,
 4. 12    io non vi discernea alcuna cosa.

 4. 13       «Or discendiam qua giù nel cieco mondo»,
 4. 14    cominciò il poeta tutto smorto.
 4. 15    «Io sarò primo, e tu sarai secondo».

 4. 16       E io, che del color mi fui accorto,
 4. 17    dissi: «Come verrò, se tu paventi
 4. 18    che suoli al mio dubbiare esser conforto?».

 4. 19       Ed elli a me: «L'angoscia de le genti
 4. 20    che son qua giù, nel viso mi dipigne
 4. 21    quella pietà che tu per tema senti.

 4. 22       Andiam, ché la via lunga ne sospigne».
 4. 23    Così si mise e così mi fé intrare
 4. 24    nel primo cerchio che l'abisso cigne.

 4. 25       Quivi, secondo che per ascoltare,
 4. 26    non avea pianto mai che di sospiri,
 4. 27    che l'aura etterna facevan tremare;

 4. 28       ciò avvenia di duol sanza martìri
 4. 29    ch'avean le turbe, ch'eran molte e grandi,
 4. 30    d'infanti e di femmine e di viri.

 4. 31       Lo buon maestro a me: «Tu non dimandi
 4. 32    che spiriti son questi che tu vedi?
 4. 33    Or vo' che sappi, innanzi che più andi,

 4. 34       ch'ei non peccaro; e s'elli hanno mercedi,
 4. 35    non basta, perché non ebber battesmo,
 4. 36    ch'è porta de la fede che tu credi;

 4. 37       e s'e' furon dinanzi al cristianesmo,
 4. 38    non adorar debitamente a Dio:
 4. 39    e di questi cotai son io medesmo.

 4. 40       Per tai difetti, non per altro rio,
 4. 41    semo perduti, e sol di tanto offesi,
 4. 42    che sanza speme vivemo in disio».

 4. 43       Gran duol mi prese al cor quando lo 'ntesi,
 4. 44    però che gente di molto valore
 4. 45    conobbi che 'n quel limbo eran sospesi.

 4. 46       «Dimmi, maestro mio, dimmi, segnore»,
 4. 47    comincia' io per voler esser certo
 4. 48    di quella fede che vince ogne errore:

 4. 49       «uscicci mai alcuno, o per suo merto
 4. 50    o per altrui, che poi fosse beato?».
 4. 51    E quei che 'ntese il mio parlar coverto,

 4. 52       rispuose: «Io era nuovo in questo stato,
 4. 53    quando ci vidi venire un Possente,
 4. 54    con segno di vittoria coronato.

 4. 55       Trasseci l'ombra del primo parente,
 4. 56    d'Abèl suo figlio e quella di Noè,
 4. 57    di Moisè legista e ubidente;

 4. 58       Abraàm patriarca e Davìd re,
 4. 59    Israèl con lo padre e co' suoi nati
 4. 60    e con Rachele, per cui tanto fé;

 4. 61       e altri molti, e feceli beati.
 4. 62    E vo' che sappi che, dinanzi ad essi,
 4. 63    spiriti umani non eran salvati».

 4. 64       Non lasciavam l'andar perch'ei dicessi,
 4. 65    ma passavam la selva tuttavia,
 4. 66    la selva, dico, di spiriti spessi.

 4. 67       Non era lunga ancor la nostra via
 4. 68    di qua dal sonno, quand'io vidi un foco
 4. 69    ch'emisperio di tenebre vincia.

 4. 70       Di lungi n'eravamo ancora un poco,
 4. 71    ma non sì ch'io non discernessi in parte
 4. 72    ch'orrevol gente possedea quel loco.

 4. 73       «O tu ch'onori scienzia e arte,
 4. 74    questi chi son c'hanno cotanta onranza,
 4. 75    che dal modo de li altri li diparte?».

 4. 76       E quelli a me: «L'onrata nominanza
 4. 77    che di lor suona sù ne la tua vita,
 4. 78    grazia acquista in ciel che sì li avanza».

 4. 79       Intanto voce fu per me udita:
 4. 80    «Onorate l'altissimo poeta:
 4. 81    l'ombra sua torna, ch'era dipartita».

 4. 82       Poi che la voce fu restata e queta,
 4. 83    vidi quattro grand'ombre a noi venire:
 4. 84    sembianz'avevan né trista né lieta.

 4. 85       Lo buon maestro cominciò a dire:
 4. 86    «Mira colui con quella spada in mano,
 4. 87    che vien dinanzi ai tre sì come sire:

 4. 88       quelli è Omero poeta sovrano;
 4. 89    l'altro è Orazio satiro che vene;
 4. 90    Ovidio è 'l terzo, e l'ultimo Lucano.

 4. 91       Però che ciascun meco si convene
 4. 92    nel nome che sonò la voce sola,
 4. 93    fannomi onore, e di ciò fanno bene».

 4. 94       Così vid'i' adunar la bella scola
 4. 95    di quel segnor de l'altissimo canto
 4. 96    che sovra li altri com'aquila vola.

 4. 97       Da ch'ebber ragionato insieme alquanto,
 4. 98    volsersi a me con salutevol cenno,
 4. 99    e 'l mio maestro sorrise di tanto;

 4.100       e più d'onore ancora assai mi fenno,
 4.101    ch'e' sì mi fecer de la loro schiera,
 4.102    sì ch'io fui sesto tra cotanto senno.

 4.103       Così andammo infino a la lumera,
 4.104    parlando cose che 'l tacere è bello,
 4.105    sì com'era 'l parlar colà dov'era.

 4.106       Venimmo al piè d'un nobile castello,
 4.107    sette volte cerchiato d'alte mura,
 4.108    difeso intorno d'un bel fiumicello.

 4.109       Questo passammo come terra dura;
 4.110    per sette porte intrai con questi savi:
 4.111    giugnemmo in prato di fresca verdura.

 4.112       Genti v'eran con occhi tardi e gravi,
 4.113    di grande autorità ne' lor sembianti:
 4.114    parlavan rado, con voci soavi.

 4.115       Traemmoci così da l'un de' canti,
 4.116    in loco aperto, luminoso e alto,
 4.117    sì che veder si potien tutti quanti.

 4.118       Colà diritto, sovra 'l verde smalto,
 4.119    mi fuor mostrati li spiriti magni,
 4.120    che del vedere in me stesso m'essalto.

 4.121       I' vidi Eletra con molti compagni,
 4.122    tra ' quai conobbi Ettòr ed Enea,
 4.123    Cesare armato con li occhi grifagni.

 4.124       Vidi Cammilla e la Pantasilea;
 4.125    da l'altra parte, vidi 'l re Latino
 4.126    che con Lavina sua figlia sedea.

 4.127       Vidi quel Bruto che cacciò Tarquino,
 4.128    Lucrezia, Iulia, Marzia e Corniglia;
 4.129    e solo, in parte, vidi 'l Saladino.

 4.130       Poi ch'innalzai un poco più le ciglia,
 4.131    vidi 'l maestro di color che sanno
 4.132    seder tra filosofica famiglia.

 4.133       Tutti lo miran, tutti onor li fanno:
 4.134    quivi vid'io Socrate e Platone,
 4.135    che 'nnanzi a li altri più presso li stanno;

 4.136       Democrito, che 'l mondo a caso pone,
 4.137    Diogenés, Anassagora e Tale,
 4.138    Empedoclès, Eraclito e Zenone;

 4.139       e vidi il buono accoglitor del quale,
 4.140    Diascoride dico; e vidi Orfeo,
 4.141    Tulio e Lino e Seneca morale;

 4.142       Euclide geomètra e Tolomeo,
 4.143    Ipocràte, Avicenna e Galieno,
 4.144    Averoìs, che 'l gran comento feo.

 4.145       Io non posso ritrar di tutti a pieno,
 4.146    però che sì mi caccia il lungo tema,
 4.147    che molte volte al fatto il dir vien meno.

 4.148       La sesta compagnia in due si scema:
 4.149    per altra via mi mena il savio duca,
 4.150    fuor de la queta, ne l'aura che trema.
 4.151       E vegno in parte ove non è che luca.

Nel IV canto dell'Inferno Dante Dante entra nel "limbo" il luogo in cui si trovano le anime di chi è morto senza ricevere il battesimo: in particolare nel limbo dimorano le anime di chi è vissuto prima della venuta di Cristo sulla terra e che per questo non ha avuto la possibilità di ottenere la salvezza.
Fra queste anime, naturalmente, si trovano quelle di molti grandi uomini del passato, i Patriarchi del Vecchio Testamento, grandi poeti come Omero, Orazio, Lucano e lo stesso Virgilio.
Fra i grandi del passato ricordiamo in particolare:
 
Cicerone: nato nel 106 a.C si distinse subito come grande oratore: nell'80 difendendo Sesto Roscio Amerino (accusato di Parricidio) e in seguito come avvocato nella causa intentata contro Verre. Entrato in politica si schierò dalla parte dei conservatori sostenitori di Pompeo.
Dopo la battaglia di Farsalo e la sconfitta di Pompeo, Cicerone fu dalla parte di Cesare e dopo la morte di quest'ultimo fu tra i sostenitori di Ottaviano contro Antonio. E da alcuni sicari di Antonio fu assassinato nella sua vila di Formia.

 
Zenone: non è certo se Dante sapesse che esistono due persone con lo stesso nome:  Zenone di Cizio (333-263 a.C.), filosofo greco fondatore dello stoicismo, o Zenone di Elea (V sec. a.C.), filosofo e matematico inventore della dialettica.
Può darsi quindi che Dante abbia riassunto tutti e due in un unico personaggio, ma questo non cambia niente per quel che riguarda la Divina Commedia.
 

Ippocrate: È considerato il padre della medicina. Medico greco nato intorno al 460 a.C., Ippocrate fu autore degli Aforismi, opera che Dante, come tutto il suo tempo, considera la base dell'apprendimento della medicina.
Fu il primo a considerare la medicina una scienza basata su un metodo razionale di diagnosi e terapia.