|
|
Si parla spesso di "settimanalizzazione
del quotidiano". Questa espressione significa che il giornale
quotidiano oggi non è più il "primo" mezzo di informazione
dei cittadini (le notizie ci arrivano prima attraverso la radio,
attraverso internet e soprattutto attraverso la televisione) e per questo
assume sempre di più le caratteristiche del giornale
settimanale: si specializza così nel commento piuttosto che
nella vera e propria ricerca di informazioni.
In questa progressiva
"settimanalizzazione" anche i titoli tendono a diventare meno
esplosivi dal punto di vista informativo e più impressivi per quanto
riguarda l'impatto sul lettore, ricalcando il modello dello slogan
pubblicitario, quasi a voler raggiungere lo stesso effetto.
Lo stile di questi titoli è infatti proprio quello pubblicitario: si
manipola una
"frase-fatta", un proverbio o un modo di dire per ottenere un
risultato di doppio senso di grande efficacia.
Questo tipo di titolature, che una volta era
caratteristico del settimanale "l'Espresso", è oggi quasi un
marchio che contraddistingue la prima pagina del giornale Il
Manifesto.
Si tratta di titoli che se per gli italiani sono così fortemente
impressivi, per gli stranieri possono essere assolutamente
incomprensibili, visto che si richiamano sempre al bagaglio culturale
proprio dei nativi.
Alcuni sono relativamente facili:
Il pastore tedesco è un cane, un
cane da guardia, non cattivo ma certamente aggressivo. Papa Ratzinger è
tedesco e, come ecclesiastico è un pastore di anime.
L'uomo nero è il personaggio delle favole che spaventa i bambini
(se fai il cattivo viene l'uomo nero che ti si mangia!). Barak
Obama è l'uomo, nero di pelle, che spaventa i Repubblicani.
La primadonna è l'attrice teatrale che ha il ruolo di
protagonista, amata da tutti e spesso con un atteggiamento da grande diva.
Ségolène Royal è la "prima donna" che si candida per la presidenza della
Francia. Bella come un'attrice, non disdegna atteggiamenti da primadonna.
Un po' più complicati i titoli che si
rifanno a testi di canzoni, note a tutti gli italiani, ma certo non
altrettanto familiari all'orecchio di uno straniero:
Avanti popolo, alla riscossa, bandiera
rossa, bandiera rossa... è il testo di un canto della tradizione
comunista italiana. Ma oggi le manifestazioni di piazza le fanno giovani
che sono più legati alla musica pop che non agli antichi canti comunisti.
Quindi: avanti pop!
Ti stai sbagliando, chi hai visto non
è, non è Francesca... cantava Lucio Battisti negli anni Settanta,
augurandosi che la sua Francesca non fosse andata a letto con un altro
uomo. E quando dopo una crisi di governo il politico Francesco Marini
non riesce a formare una coalizione e a diventare Presidente del
Consiglio, Il Manifesto titola: Non è Francesco!
Vengo anch'io? No, tu no... era una
divertente canzone di Enzo Jannacci, popolarissima. Nel bagaglio
culturale dei nativi l'espressione "No tu no!" è diventata
familiare come un proverbio o un modo di dire. E se un extracomunitario
che vive, lavora e paga le tasse in Italia chiede di votare alle
elezioni amministrative della sua città, che risponde il governo? No, tu
no!
Davvero difficili invece titoli come i
tre che seguono:
Il boia è l'uomo che, per
professione, esegue la sentenza di morte: è quello che taglia la testa
al condannato, quello che mette la corda al collo a chi deve essere
impiccato o collega l'elettricità alla sedia elettrica. Brutta parola
quindi. Nell'italiano parlato l'epiteto "boia" è rivolto a
qualcuno che detestiamo, a un affamatore di popoli, a un criminale o genericamente a
un assassino senza pietà. Mollare significa invece
"lasciare, abbandonare, non continuare a resistere" nel senso
di non andare avanti per sfiducia o per stanchezza. "Boia chi
molla" è un famoso slogan nato alla fine del secolo scorso e
diventato negli anni Quaranta un motto dei fascisti che, quando la
guerra era ormai perduta, invitavano i camerati a continuare ad
appoggiare Mussolini; anche dopo la guerra i gruppi di estrema destra
manifestano volentieri gridando "boia chi molla!", come dire
"Maledetto chi lascia la nostra lotta".
Così, quando un boia degli Stati Uniti d'America va in pensione... Il
Manifesto, con un poi di umorismo e un po' di disprezzo, titola: Un boia
che molla.
Il Papa mazzola Rivera. Un
comico italiano (si chiama Rivera) ha detto alcune battute contro il
papa. Il Vaticano ha reagito condannando Rivera e facendo qualche
dichiarazione disgustata nei suoi confronti. Mazzolare significa
appunto "dare un colpo, fare una lavata di testa".
Insomma il papa ha mazzolato Rivera. Fin qui tutto normale.
L'effetto comico lo si percepisce solo in un caso: solo se sappiamo che Sandro
Mazzola e Gianni Rivera sono i due più famosi calciatori
della Nazionale italiana negli anni Settanta. Il papa mazzola Rivera
quindi è un gioco di parole eccezionalmente divertente e suona quasi
come... una lista di nomi.
La Ecoballa è un termine
diventato famoso quando si parlava di smaltimento
dei rifiuti. Alcune società erano incaricate di trasformare i rifiuti
della città in "balle" (come dei contenitori compressi di
immondizia) e poi di smaltire appunto queste ecoballe: tutto questo non
è stato fatto e Napoli si è riempita di spazzatura. In quel periodo
sulla questione "smaltimento rifiuti" si sono dette molte cose
(è colpa della sinistra, è colpa della destra, è colpa della mafia,
ecc.).
Giocando sul fatto che in italiano la parola "balla" significa
anche "bugia, falsità, cosa non vera", il Manifesto titola:
Ecoballa. Non si riferisce alle balle di immondizia ma alle
"balle=bugie" che si raccontano a proposito di ecologia.
|
I titoli
del Manifesto dunque giocano sempre su doppi sensi di questo
tipo. Vale ancora la pena citare il "Divina Sapienza"
riferito all'episodio in cui il
papa ha rinunciato a andare all'Università di Roma
(che si chiama La Sapienza) dove gli studenti avevano
manifestato contro la sua visita.
Lo stile del Manifesto
comunque non è ignorato anche da altri giornali. E infatti
quando gli studenti hanno manifestato contro la legge sulla
scuola voluta dal ministro di destra Mariastella Gelmini, l'Unità
ha titolato "Classe di lotta" alludendo alle classi
delle scuole che si mobilitavano contro il governo. Ma nello
stesso tempo il gioco linguistico è chiarissimo: ricalca
ovviamente l'espressione marxista "lotta di classe".
Se pure non si tratta di un titolo, bisogna infine dire che la
trovata linguistica migliore del Manifesto è forse stata quella
pubblicitaria: anni fa, per pubblicizzare il giornale, sui muri,
negli autobus, lungo le strade e su varie riviste è comparsa la
scritta, vicino all'immagine di un bambino che dorme, "La
rivoluzione non russa".
Per un giornale comunista è davvero una bella trovata.
Guardate l'immagine qui sotto: riuscite a capire il gioco di
parole?
Ah, va detto che lo slogan è stato creato da Sandro Baldoni,
scrittore e regista, giornalista del Manifesto e dell'Espresso,
collaboratore di giornali satirici come Cuore e il
Male. |
|