Inculturazione.
È la parola-chiave che spiega il grande progetto di
Matteo Ricci, e anche il suo fallimento.
Il padre gesuita viene inviato in Cina (dove entra nel
1583) per diffondere il messaggio
cristiano. Non è il primo tentativo di
evangelizzazione dell'immenso paese. Comunità cristiane
vi si erano sviluppate fin dal VII secolo, grazie
all'arrivo di fedeli in fuga dagli odierni Iraq e Iran;
ma di esse si sa poco, come si ignora quando si sono
estinte. Nel XIII secolo i Francescani avevano fondato
comunità cristiane a Pechino, che però si erano estinte
nel giro di un centinaio di anni. Il cristianesimo,
insomma, non riusciva a mettere radici.
Matteo Ricci ha cercato un'altra strada. Ha capito che
far accettare il cristianesimo non significava imporre
anche il "costume europeo", che gli interessi di Cristo
non dovevano necessariamente coincidere con quelli della
politica e dell'economia europei e che occorreva trovare
una mediazione tra i valori cristiani e quelli cinesi,
in particolare confuciani (di cui considerava compatibili, in
particolare, l'aspirazione ad una società
buona e l'invito a coltivare le virtù).
Per questo ha imparato perfettamente il cinese
mandarino, in questo aiutato da una memoria prodigiosa; ha studiato con profondità la cultura locale,
ha preso un nome cinese (Li Ma Dou - 利瑪竇) e ha cominciato a
vestirsi con lunghe tuniche, come un saggio confuciano.
Farsi cinese con i cinesi (ma anche 'indiano' in
India e 'nipponico' in Giappone): questo raccomandava Li
Ma Dou ai suoi confratelli.
Per non far apparire il
cristianesimo un credo alieno e imposto da stranieri
occorreva privilegiare, pensava il saggio gesuita, i punti in comune tra le due
civiltà, e usare concetti e categorie cinesi adattabili
al cristianesimo.
Ecco l'inculturazione.
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Perchino, La Città Proibita (dinastia Ming)
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La cultura è stato il grimaldello per entrare in Cina:
scienza, tecnica e filosofia considerate come terreno
comune tra Oriente e Occidente, e quindi come elementi
di condivisione e reciproca comprensione. Matteo Ricci
ha introdotto nella Cina dei Ming la conoscenza di Cicerone e di
Lucrezio, della matematica e della geometria dell'Occidente
(traducendo, ad esempio,
i primi sei libri
degli Elementi di
Euclide)
e, anche, delle nuove acquisizioni in campo geografico,
astronomico e cartografico dell'Occidente rinascimentale
(ad esempio, tracciando il grande Mappamondo Cinese,
1ª edizione del 1584). Ma ha anche fatto conoscere la
civiltà cinese in Occidente (traduce in latino i Quattro
libri confuciani), tanto da essere considerato il
fondatore della moderna 'Sinologia' e da essere ancora
oggi citato tra i 100 intellettuali più importanti della
Cina.
Un progetto lungimirante, il suo. Che
richiedeva, come tutti i progetti di ampio
respiro, tempi di attuazione lunghi (quando
Li Ma Dou muore, l'11 maggio 1610, c'erano
'solo' 3000 convertiti, che sarebbero
diventati 200.000 il secolo successivo).
Non tutti, però, avevano la sua pazienza.
Non tutti, soprattutto, digerivano la
visione 'multiculturale' del gesuita, la sua
flessibilità intellettuale, la programmatica
indipendenza dal potere politico ed
economico. Per farla breve, sia i
tradizionalisti della curia romana sia
i mercanti occidentali e le autorità
portoghesi lo vedevano come il fumo negli
occhi.
Dopo la sua morte la sua strategia viene
contestata e abbandonata. I pontefici
condannano più volte i riti cinesi (ad
esempio Clemente XI con la Ex illa die
nel 1715, e
Benedetto XIV con la bolla
Ex quo singolari
nel 1742), di fatto sconfessando l'opera di
Matteo Ricci. Ma nel frattempo l'imperatore
Chunxi aveva espulso i missionari dalla Cina
(1724), chiudendo le porte di quel mondo non
solo alla Chiesa, ma all'Occidente in
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Pescatore sul fiume in autunno,
T'ang Yin (1470-1523)
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Mattino di
primavera nel Palazzo Han,
Qui Ying (1494?
- 1552) |
generale.
Un atteggiamento di cui si pagano ancora le
conseguenze.
E che aiuta a capire come mai Matteo Ricci
sia più conosciuto in Cina che in Europa
(Italia compresa), al punto che
"Per
vedere riconosciuta la gloria del gesuita dobbiamo
andare nel Millennium Museum di Pechino dentro il
monumento celebrativo di uno Stato socialista e
ateo. Mirabile esempio di eterogenesi dei fini. O di
ironia di Dio, come preferisco dire" (Antonio Paolucci, in L'Osservatore Romano, 2 agosto
2009).
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