Quando l'Italia era ancora in bianco e
nero e gli italiani viaggiavano con la Fiat 500, i soldi erano
pochini, ma a casa, sulla tavola, una bottiglia di vino non mancava
mai.
Certo non si trattava un vino doc o un vino docg: la
bottiglia non aveva un'etichetta con scritto nome, produttore,
gradazione e piatti da abbinare. Il vino era solo vino bianco o vino
rosso.
Si andava dal vinaio all'osteria con una bottiglia vuota
e si comprava il vino sfuso: un litro di bianco o un litro di
rosso.
L'osteria, a quei tempi, era un localaccio, con qualche
tavolo di marmo, tre o quattro vecchietti mezzi ubriachi che
chiacchieravano e giocavano a carte, un bancone e i grandi
contenitori del vino sfuso, con un rubinetto per prenderlo. Qualche
volta nello stesso locale si poteva comprare anche l'olio e allora
sulla porta c'era scritto VINI E OLI.
A quei tempi mangiare senza un po' di
vino a tavola sarebbe stato impossibile.
Se un ospite a pranzo diceva "vorrei un po' d'acqua",
subito qualcuno rispondeva "L'acqua serve per lavarsi le mani!" e
gli riempiva il bicchiere di vino.
Se una donna aspettava un bambino doveva bere il vino
perché "fa latte".
Se un bambino era un po' pallido, invece,
immediatamente la mamma gli dava due dita di vino rosso da bere
perché "fa sangue".
E poi si sa, il vino fa bene al cuore, alla circolazione
del sangue, contro l'influenza, combatte il raffreddore e la
depressione.
Negli ultimi venti anni però le cose
sono un po' cambiate: anche gli italiani, come gli stranieri, hanno
imparato a scegliere vini di qualità, frequentano le enoteche (enoteca
in italiano è parola molto nuova, solo trent'anni fa non
esisteva), bevono vini imbottigliati e bevono anche il vino fuori
pasto (cosa questa che una volta avrebbero fatto solo gli
alcolisti).
E spesso i giovani, che bevono alcolici e superalcolici
nei pub, nelle discoteche o nei bar,a tavola invece bevono solo
acqua: o tempora, o mores!
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