(già
in “il Manifesto” del 14 novembre 2007).
Se La Sapienza chiama
il Papa e lascia a casa Mussi
Signor Rettore, apprendo
da una nota del primo novembre dell’agenzia di stampa
Apcom che recita: «è cambiato il programma
dell’inaugurazione del 705esìmo Anno Accademico
dell’università di Roma La Sapienza, che in un primo
momento prevedeva la presenza del ministro Mussi a
ascoltare la Lectio Magistralis di papa Benedetto XVI».
Il papa «ci sarà, ma dopo la cerimonia di
inaugurazione, e il ministro dell’Università Fabio
Mussi invece non ci sarà più».
Come professore emerito
dell’università La Sapienza - ricorrono proprio in
questi giorni cinquanta anni dalla mia chiamata a far
parte della facoltà di Scienze matematiche fisiche e
naturali su proposta dei fisici Edoardo Amaldi, Giorgio
Salvini e Enrico Persico - non posso non esprimere
pubblicamente la mia indignazione per la Sua proposta,
comunicata al Senato accademico il 23 ottobre,
goffamente riparata successivamente con una toppa che
cerca di nascondere il buco e al tempo stesso ne
mantiene sostanzialmente l’obiettivo politico e
mediatico.
Non commento il triste
fatto che Lei è stato eletto con il contributo
determinante di un elettorato laico. Un cattolico
democratico - rappresentato per tutti dall’esempio di
Oscar Luigi Scalfaro nel corso del suo settennato di
presidenza della Repubblica - non si sarebbe mai sognato
di dimenticare che dal 20 settembre del 1870 Roma non è
più la capitale dello stato pontificio. Mi soffermo
piuttosto sull’incredibile violazione della
tradizionale autonomia delle università - da più 705
anni incarnata nel mondo da La Sapienza dalla Sua
iniziativa.
Sul piano formale, prima
di tutto. Anche se nei primi secoli dopo la fondazione
delle università la teologia è stata insegnata accanto
alle discipline umanistiche, filosofiche, matematiche e
naturali, non è da ieri che di questa disciplina non
c’è più traccia nelle università moderne, per lo
meno in quelle pubbliche degli stati non confessionali.
Ignoro lo statuto dell’università di Ratisbona dove
il professor Ratzinger ha tenuto la nota lectio
magistralis sulla quale mi soffermerò più avanti, ma
insisto che di regola essa fa parte esclusivamente degli
insegnamenti impartiti nelle istituzioni universitarie
religiose. I temi che sono stati oggetto degli studi del
professor Ratzinger non dovrebbero comunque rientrare
nell’ambito degli argomenti di una lezione, e tanto
meno di una lectio magistralis tenuta in una università
della Repubblica italiana. Soprattutto se si tiene conto
che, fin dai tempi di Cartesio, si è addivenuti, per
porre fine al conflitto fra conoscenza e fede culminato
con la condanna di Galileo da parte del Santo ufficio, a
una spartizione di sfere di competenza tra l’Accademia
e la Chiesa. La sua clamorosa violazione nel corso
dell’inaugurazione dell’anno accademico de La
Sapienza sarebbe stata considerata, nel mondo, come un
salto indietro nel tempo di trecento anni e più.
Sul piano sostanziale poi
le implicazioni sarebbero state ancor più devastanti.
Consideriamole partendo proprio dal testo della lectio
magistralis del professor Ratzinger a Ratisbona, dalla
quale presumibilmente non si sarebbe molto discostata
quella di Roma. In essa viene spiegato chiaramente che
la linea politica del papato di Benedetto XVI si fonda
sulla tesi che la spartizione delle rispettive sfere di
competenza fra fede e conoscenza non vale più: «Nel
profondo.., si tratta - cito testualmente -
dell’incontro tra fede e ragione, tra autentico
illuminismo e religione. Partendo veramente
dall’infima natura della fede cristiana e, al
contempo, dalla natura del pensiero greco fuso ormai con
la fede, Manuele II poteva dire: Non agire “con il
logos” è contrario alla natura di Dio».
Non insisto sulla
pericolosità di questo programma dal punto di vista
politico e culturale: basta pensare alla reazione
sollevata nel mondo islamico dall’accenno alla
differenza che ci sarebbe tra il Dio cristiano e Allah -
attribuita alla supposta razionalità del primo in
confronto all’imprevedibile irrazionalità del secondo
- che sarebbe a sua volta all’origine della mitezza
dei cristiani e della violenza degli islamici. Ci vuole
un bel coraggio sostenere questa tesi e nascondere sotto
lo zerbino le Crociate, i pogrom contro gli ebrei, lo
sterminio degli indigeni delle Americhe, la tratta degli
schiavi, i roghi dell’Inquisizione che i cristiani
hanno regalato al mondo. Qui mi interessa, però, il
fatto che da questo incontro tra fede e ragione segue
una concezione delle scienze come ambiti parziali di una
conoscenza razionale più vasta e generale alla quale
esse dovrebbero essere subordinate. «La moderna ragione
propria delle scienze naturali - conclude infatti il
papa - con l’intrinseco suo elemento platonico, porta
in sé un interrogativo che la trascende insieme con le
sue possibilità metodiche. Essa stessa deve
semplicemente accettare la struttura razionale della
materia e la corrispondenza tra il nostro spirito e le
strutture razionali operanti nella natura come un dato
di fatto, sul quale si basa il suo percorso metodico. Ma
la domanda {sui perché di questo dato di fatto) esiste
e deve essere affidata dalle scienze naturali a altri
livelli e modi del pensare - alla filosofia e alla
teologia. Per la filosofia e, in modo diverso, per la
teologia, l’ascoltare le grandi esperienze e
convinzioni delle tradizioni religiose dell’umanità,
specialmente quella della fede cristiana, costituisce
una fonte di conoscenza; rifiutarsi a essa
significherebbe una riduzione inaccetabile del nostro
ascoltare e rispondere».
Al di là di queste
circonlocuzioni (i corsivi sono miei) il disegno mostra
che nel suo nuovo ruolo l’ex capo del Sant’uffizio
non ha dimenticato il compito che tradizionalmente a
esso compete. Che è sempre stato e continua a essere
l’espropriazione della sfera del sacro immanente nella
profondità dei sentimenti e delle emozioni di ogni
essere umano da parte di una istituzione che rivendica
l’esclusività della mediazione fra l’umano e il
divino. Un’appropriazione che ignora e svilisce le
innumerevoli differenti forme storiche e geografiche di
questa sfera così intima e delicata senza rispetto per
la dignità personale e l’integrità morale di ogni
individuo.
Ha tuttavia cambiato
strategia. Non potendo più usare roghi e pene corporali
ha imparato da Ulisse. Ha utilizzato l’effige della
Dea Ragione degli illuministi come cavallo di Troia per
entrare nella cittadella della conoscenza scientifica e
metterla in riga. Non esagero. Che altro è, tanto per
fare un esempio, l’appoggio esplicito del papa dato
alla cosiddetta teoria del Disegno Intelligente se non
il tentativo - condotto tra l’altro attraverso una
maldestra negazione dell’evidenza storica, un volgare
stravolgimento dei contenuti delle controversie interne
alla comunità degli scienziati e il vecchio artificio
della caricatura delle posizioni dell’avversario - di
ricondurre la scienza sotto la pseudo-razionalità dei
dogmi della religione? E come avrebbero dovuto reagire i
colleghi biologi e i loro studenti di fronte a un
attacco più o meno indiretto alla teoria danwiniana
dell’evoluzione biologica che sta alla base, in tutto
il mondo, della moderna biologia evolutiva?
Non riesco a capire,
quindi, le motivazioni della Sua proposta tanto
improvvida e lesiva dell’immagine de La Sapienza nel
mondo. Il risultato della Sua iniziativa, anche nella
forma edulcorata della visita del papa (con «un saluto
alla comunità universitaria») subito dopo una
inaugurazione inevitabilmente clandestina, sarà
comunque che i giornali del giorno dopo titoleranno (non
si può pretendere che vadano tanto per il sottile): «Il
Papa inaugura l’Anno Accademico dell’Università La
Sapienza».
Congratulazioni, signor
Rettore. Il Suo ritratto resterà accanto a quelli dei
Suoi predecessori come. simbolo dell’autonomia, della
cultura e del progresso delle scienze.
Marcello Cini |