È fosco l'aere,
è l'onda muta,
ed io sul tacito
Veron seduta,
in solitaria
malinconia
ti guardo e lagrimo,
Venezia mia.
Sui rotti nugoli
dell'occidente
il raggio perdesi
del sol morente,
e mesto sibila
per l'aura bruna
l'ultimo gemito
della Laguna.
Passa una gondola
della città:
ehi della
gondola, qual novità ?
«Il morbo infuria,
il pan ci manca,
sul ponte sventola
bandiera bianca».
No, non risplendere
su tanti guai,
Sole d'Italia,
non splender mai:
e sulla veneta
spenta fortuna
s'eterni il gemito
della Laguna.
Venezia, l'ultima
ora è venuta,
illustre martire
tu sei perduta;
il morbo infuria,
il pan ti manca,
sul ponte sventola
bandiera bianca.
Ma non le ignivome
palle roventi,
nè i mille fulmini,
su te stridenti,
troncan ai liberi
tuoi dì lo stame:
viva Venezia,
muor della fame!
Sulle tue pagine
scolpisci, o Storia,
le altrui nequizie
e la tua gloria,
e grida ai posteri
tre volte infame
chi vuol Venezia
morta di fame.
Viva Venezia!
feroce, altera,
difese intrepida
la sua bandiera;
ma il morbo infuria,
il pan le manca,
sul ponte sventola
bandiera bianca.
Ed ora infrangasi
qui sulla pietra,
finché ancor libera,
questa mia cetra.
A te Venezia
l'ultimo canto,
l'ultimo bacio,
l'ultimo pianto!
Ramingo ed esule
sul suol straniero,
vivrai Venezia
nel mio pensiero;
vivrai nel tempio
qui del mio cuore,
come l'immagine
del primo amore.
Ma il vento sibila,
ma l'onda è scura,
ma tutta in gemito
è la natura:
le corde stridono,
la voce manca,
sul ponte sventola
bandiera
bianca.