A parte l'immagine che viene tramandata dai libri di scuola e dalla
retorica risorgimentale: che cosa pensava esattamente Carlo Pisacane?
Basta leggere quello che ha scritto per capirlo.
Poco prima di partire per la sua spedizione di
Sapri, dove perderà la vita, Pisacane scrive un testo in cui chiarisce bene le
sue intenzioni. Lo scrive - dice - proprio perché sa che la gente è sempre pronte a applaudire i vincitori e a maledire i
vinti. E sente quindi il bisogno di spiegare che morire nella spedizione di Sapri non
significherà per lui essere un "vinto".
Gli argomenti che tratta sono di una attualità impressionante: la violenza come
unica arma per riscattare il popolo oppresso, il gesto isolato come stimolo per
la presa di coscienza delle masse popolari senza istruzione, la convinzione che
l'unità del paese deve essere una conquista rivoluzionaria e non una imposizione
di "padroni" appena più progressisti di altri.
Sono tesi che sostenute oggi... porterebbero diritti in galera!
Eppure, suona bizzarro, a Carlo Pisacane sono intitolate strade, piazze, scuole e poesie.
Ma cosa scrive di così sovversivo questo eroe del Risorgimento italiano?
Vediamolo.
Sostiene Pisacane che il grande progresso
tecnico e industriale ha aumentato di molto i beni prodotti: ma questi beni
restano concentrati in poche mani. La maggior parte delle persone infatti non
trae nessun vantaggio da questo progresso.
(E già
qui sembra di leggere una recente statistica sociale
italiana in cui si dice che oggi, anno 2011, il 50% della
ricchezza è concentrato nelle mani del 10% della popolazione).
Quindi secondo lui c'è poco da fare: l'Italia
deve conquistare la vera libertà o sarà per sempre schiava.
Soluzioni di compromesso (il regime costituzionale concesso dai Savoia in
Piemonte o perfino certe aperture concesse in Lombardia dall'impero asburgico)
peggiorano la situazione perché ritardano la conquista della vera libertà.
E per essere chiaro Pisacane sostiene che per lui Savoia,
Austriaci o Borboni sono proprio la stessa cosa. Anzi, quest'immagine
progressista del Piemonte rallenta il processo di rivoluzione: meglio il regime
Borbonico che, con sua barbarie, prima o poi provocherà una reazione
popolare.
Il punto è questo,
sostiene Pisacane: le idee nascono dai fatti e
non i fatti dalle idee. Il popolo non sarà libero perché sarà istruito, ma
diventerà istruito quando sarà libero.
(Provate a immaginare se
nell'Ottocento invece che i sovrani borbonici o austriaci fosse stata la televisione a
tenere la gente nell'ignoranza... che avrebbe scritto allora Pisacane? Avrebbe
scritto che il popolo non spegnerà la televisione quando sarà istruito ma sarà
istruito quando spegnerà la televisione? Mah... chissà)
Le cospirazioni, i complotti, i tentativi di
insurrezione sono, secondo Pisacane, i fatti attraverso i quali l'Italia
s'incammina verso l'unità. Le violenze di Milano hanno prodotto una propaganda
molto più efficace che mille volumi scritti dai dottrinari.
(Anche qui sembra leggere i giornali di questi giorni: gli studenti
universitari, ribellandosi alla nuova legge che taglia i fondi per cultura
ricerca e scuola, durante una manifestazione hanno distrutto vetrine e
incendiato automobili. Violenza da condannare? Certamente sì, dice qualunque
bravo cittadino democratico: ma da che parte sarebbe stato
Pisacane?)
Ci sono delle persone che dicono che la rivoluzione deve essere fatta dal paese. Ma il paese è composto di individui, e
se
tutti attendono tranquillamente il giorno della rivoluzione senza prepararla con
la cospirazione,
la rivoluzione non scoppierà mai. Se invece pensiamo che la
rivoluzione si deve fare dal paese e io sono parte infinitesimale di questo
paese... allora la rivoluzione sarà fatta immediatamente e sarà
invincibile perché immensa.
(E qui sembra
quasi di leggere una critica agli stanchi intellettuali della
sinistra italiana, ridicolizzati già decenni fa in questa bella
canzone di Giorgio Gaber)
Io, sostiene Pisacane, stimo chi approva la cospirazione anche se lui
stesso, personalmente, non cospira. Ma disprezzo profondamente quelli che non solo non vogliono fare niente ma
adorano biasimare e maledire gli uomini d'azione.
Io non penso di essere il salvatore della patria.
Se riesco ad arrivare a Sapri io avrò ottenuto un grande
successo personale, anche se dovessi lasciar la vita sul patibolo. Io non
posso che fare questo, e lo faccio. Il resto dipende dal paese, e non da me. Io
ho solo la mia vita da sacrificare per quello scopo: ed in questo non ho
esitazioni.
Se l'impresa riesce, otterrò
gli applausi generali: se muoio, il pubblico mi biasimerà. Sarò chiamato pazzo,
ambizioso, turbolento. Quelli, che nella loro vita non hanno mai fatto niente e
sono bravissimi a criticare gli altri, analizzeranno il mio tentativo,
capiranno tutti i miei errori, mi accuseranno di non esser riuscito per mancanza di
spirito, di cuore e di energia... Tutti questi detrattori, lo sappiano bene: li considero non solo incapaci di fare ciò che io ho tentato, ma anche di
incapaci di concepirne l'idea.
E conclude Pisacane: se non
riesco, dovete sapere che disprezzo profondamente l'uomo ignobile e volgare che mi condannerà.
Ma se
riesco apprezzerò assai poco i suoi applausi. Ogni mia ricompensa io la troverò
nel fondo della mia coscienza e nell'animo di questi cari e generosi amici, che
hanno diviso i battiti del mio cuore e le mie speranze.