Stanza del
Giudice istruttore D'Andrea. Grande scaffale che prende quasi tutta la parete di
fondo, pieno di scatole verdi a casellario, che si suppongono zeppe d'incartarnenti.
Scrivania, sovraccarica di
fascicoli, a destra, in fondo e, accanto, addossato
alla parete di destra, un altro palchetto. Un
seggiolone di cuojo per il
Giudice, davanti la scrivania. Altre seggiole antiche. Lo stanzone è squallido.
La comune è nella parete di destra. A sinistra, un'ampia finestra, alta, con
vetrata antica, scompartita.
Davanti alla finestra, come un quadricello alto,
che regge una grande gabbia. Lateralmente, a sinistra, un usciolino nascosto.
Il giudice D'Andrea entra per la comune col cappello in capo e il soprabito.
Reca in mano una gabbiola
poco più grossa d'un pugno. Va davanti alla gabbia
grande sul quadricello, ne apre lo sportello, poi apre
lo sportellino della
gabbiola e fa passare da questa nella gabbia grande un cardellino.
D'Andrea:
Via, dentro! - E su, pigrone! - Oh! finalmente... - Zitto adesso, al solito, e
lasciami amministrare la giustizia a questi poveri piccoli uomini feroci.
Si leva il
soprabito e lo appende insieme col cappello all'attaccapanni. Siede alla
scrivania, prende il
fascicolo del processo che deve istruire, lo scuote in aria
con impazienza, sbuffa:
Benedett'uomo!
Resta un po'
assorto a pensare, poi suona il campanello e dalla comune si presenta l'usciere
Marranca.
Marranca:
Comandi, signor cavaliere!
D'Andrea: Ecco, Marranca: andate al vicolo del Forno, qua vicino; a casa
del Chiàrchiaro.
Marranca (con un balzo indietro, facendo le corna): Per amor di
Dio, non lo nomini, signor cavaliere!
D'Andrea (irritatissimo, dando un pugno sulla scrivania): Basta,
perdio! Vi proibisco di manifestare così, davanti a me, la vostra bestialità,
a danno d'un pover'uomo. E sia detto una volta per sempre.
Marranca: Mi scusi, signor cavaliere. L'ho detto anche per il suo bene!
D'Andrea: Ah, seguitate?
Marranca: Non parlo più. Che vuole che vada a fare in casa di... di
questo... di questo galantuomo?
D'Andrea: Gli direte che il giudice istruttore ha da parlargli, e lo
introdurrete subito da me.
Marranca: Subito, va bene, signor cavaliere. Ha altri comandi?
D'Andrea: Nient'altro. Andate.
Marranca esce,
tenendo la porta per dar passo ai tre Giudici colleghi, che entrano con le toghe
e i
tocchi in capo e scambiano i saluti col D'Andrea, poi vanno tutti e tre a
guardare il cardellino nella
gabbia.
Primo giudice:
Che dice eh, questo signor cardellino?
Secondo giudice: Ma sai che sei davvero curioso con codesto cardellino
che ti porti appresso?
Terzo giudice: Tutto il paese ti chiama: il Giudice Cardello.
Primo giudice: Dov'è, dov'è la gabbiolina con cui te lo porti?
Secondo giudice (prendendola dalla scrivania a cui s'è accostato):
Eccola qua! Signori miei, guardate: cose da bambini! Un uomo serio...
D'Andrea: Ah, io, cose da bambini, per codesta gabbiola? E voi, allora,
parati così?
Terzo giudice: Ohè, ohè, rispettiamo la toga!
D'Andrea: Ma andate là, non scherziamo! siamo in "camera caritatis".
Ragazzo, giocavo coi miei compagni «al tribunale». Uno faceva da imputato;
uno, da presidente; poi, altri da giudici, da avvocati... Ci avrete giocato
anche voi. Vi assicuro, che eravamo più serii allora!
Primo giudice: Eh, altro!
Secondo giudice: Finiva sempre a legnate!
Terzo giudice (mostrando una vecchia cicatrice alla fronte): Ecco
qua: cicatrice d'una pietrata che mi tirò un avvocato difensore mentre fungevo
da regio procuratore!
D'Andrea: Tutto il bello era nella toga con cui ci paravamo. Nella toga
era la grandezza, e dentro di essa noi eravamo bambini. Ora è al contrario:
noi, grandi, e la toga, il giuoco di quand'eravamo bambini. Ci vuole un gran
coraggio a prenderla sul serio! Ecco qua, signori miei,
prende dalla
scrivania il fascicolo del processo Chiàrchiaro
io debbo istruire
questo processo. Niente di più iniquo di questo processo. Iniquo, perché
include la più spietata ingiustizia contro alla quale un pover'uomo tenta
disperatamente di ribellarsi, senza nessuna probabilità di scampo. C'è una
vittima qua, che non può prendersela con nessuno! Ha voluto, in questo
processo, prendersela con due, coi primi due che gli sono capitati sotto mano, e
- sissignori - la giustizia deve dargli torto, torto, torto, senza remissione,
ribadendo così, ferocemente, la iniquità di cui questo pover'uomo è vittima.
Primo giudice:
Ma che processo è?
D'Andrea: Quello intentato da Rosario Chiàrchiaro.
Subito, al
nome i tre Giudici, come già Marranca, danno un balzo indietro, facendo
scongiuri, atti di
spavento, e gridando.
Tutti e tre:
Per la Madonna Santissima! - Tocca ferro! - Ti vuoi star zitto?
D'Andrea: Ecco, vedete? E dovreste proprio voi rendere giustizia a questo
pover'uomo!
Primo giudice: Ma che giustizia! È un pazzo!
D'Andrea: Un disgraziato!
Secondo giudice: Sarà magari un disgraziato! ma scusa, è pure un pazzo!
Ha sporto querela per diffamazione, contro il figlio del sindaco, nientemeno, e
anche -
D'Andrea: - contro l'assessore Fazio -
Terzo giudice: - per diffamazione? -
Primo giudice: - già, capisci? perché dice, li sorprese nell'atto che
facevano gli scongiuri al suo passaggio.
Secondo giudice: Ma che diffamazione se in tutto il paese, da almeno due
anni, è diffusissima la sua fama di jettatore?
D'Andrea: E innumerevoli testimonii possono venire in tribunale a giurare
che in tante e tante occasioni ha dato segno di conoscere questa sua fama,
ribellandosi con proteste violente!
Primo giudice: Ah, vedi? Lo dici tu stesso!
Secondo giudice: Come condannare, in coscienza, il figliuolo del sindaco
e l'assessore Fazio quali diffamatori per aver fatto, vedendolo passare, il
gesto che da tempo sogliono fare apertamente tutti?
D'Andrea: E primi fra tutti vojaltri?
Tutti e tre: Ma certo! - È terribile, sai? - Dio ne liberi e scampi!
D'Andrea: E poi vi fate meraviglia, amici miei, che io mi porti qua il
cardellino... Eppure, me lo porto - voi lo sapete - perché sono rimasto solo da
un anno. Era di mia madre quel cardellino; e per me è il ricordo vivo di lei:
non me ne so staccare. Gli parlo, imitando, così, col fischio, il suo verso, e
lui mi risponde. Io non so che gli dico; ma lui, se mi risponde, è segno che
coglie qualche senso nei suoni che gli faccio. Tale e quale come noi, amici
miei, quando crediamo che la natura ci parli con la poesia dei suoi fiori, o con
le stelle del cielo, mentre la natura forse non sa neppure che noi esistiamo.
Primo giudice: Séguita, séguita, mio caro, con codesta filosofia, e
vedrai come finirai contento!
Si sente
picchiare alla comune, e, poco dopo, Marranca sporge il capo.
Marranca:
Permesso?
D'Andrea. Avanti, Marranca.
Marranca: Lui in casa non c'era, signor cavaliere. Ho lasciato detto a
una delle figliuole che, appena arriva, lo mandino qua. È venuta intanto con me
la minore delle figliuole: Rosinella. Se Vossignoria vuol riceverla..,
D'Andrea: Ma no: io voglio parlare con lui!
Marranca: Dice che vuol rivolgerle non so che preghiera, signor
cavaliere. È tutta impaurita.
Primo giudice. Noi ce n'andiamo. A rivederci, D'Andrea!
Scambio di
saluti: e i tre Giudici vanno via.
D'Andrea:
Fate passare.
Marranca: Subito, signor cavaliere.
Via, anche
lui. Rosinella, sui sedici anni, poveramente vestita, ma con una certa decenza,
sporge il
capo dalla comune, mostrando appena il volto dallo scialle nero di
lana.
Rosinella:
Permesso?
D'Andrea. Avanti, avanti.
Rosinella: Serva di Vossignoria. Ah, Gesù mio, signor giudice,
Vossignoria ha fatto chiamare mio padre? Che cosa è stato, signor giudice?
Perché? Non abbiamo più sangue nelle vene, dallo spavento!
D'Andrea: Calmatevi! Di che vi spaventate?
Rosinella: È che noi, Eccellenza, non abbiamo avuto mai da fare con la
giustizia!
D'Andrea: Vi fa tanto terrore, la giustizia?
Rosinella: Sissignore. Le dico, non abbiamo più sangue nelle vene! La
mala gente, Eccellenza, ha da fare con la giustizia. Noi siamo quattro poveri
disgraziati. E se anche la giustizia ora si mette contro di noi...
D'Andrea: Ma no. Chi ve l'ha detto? State tranquilla. La giustizia non si
mette contro di voi.
Rosinella: E perché allora Vossignoria ha fatto chiamare mio padre?
D'Andrea: Perché vostro padre vuol mettersi lui contro la giustizia.
Rosinella: Mio padre? Che dice!
D'Andrea: Non vi spaventate. Vedete che sorrido... Ma come? Non sapete
che vostro padre s'è querelato contro il figlio del sindaco e l'assessore
Fazio?
Rosinella: Mio padre? Nossignore! Non ne sappiamo nulla! Mio padre s'è
querelato?
D'Andrea: Ecco qua gli atti!
Rosinella: Dio mio! Dio mio! Non gli dia retta, signor giudice! È come
impazzito mio padre: da più d'un mese! Non lavora più da un anno, capisce?
perché l'hanno cacciato via, l'hanno gettato in mezzo a una strada; fustigato
da tutti, sfuggito da tutto il paese come un appestato! Ah, s'è querelato?
Contro il figlio del sindaco s'è querelato? È pazzo! È pazzo! Questa guerra
infame che gli fanno tutti, con questa fama che gli hanno fatto, l'ha levato di
cervello! Per carità, signor giudice: gliela faccia ritirare codesta querela!
gliela faccia ritirare!
D'Andrea: Ma sì, carina! Voglio proprio questo. E l'ho fatto chiamare
per questo. Spero che ci riuscirò. Ma voi sapete: è molto più facile fare il
male che il bene.
Rosinella: Come, Eccellenza! Per Vossignoria?
D'Andrea: Anche per me. Perché il male, carina, si può fare a tutti e
da tutti; il bene, solo a coloro che ne hanno bisogno.
Rosinella: E lei crede che mio padre non ne abbia bisogno?
D'Andrea: Lo credo, lo credo. Ma è che questo bisogno d'aver fatto il
bene, figliuola, rende spesso così nemici gli animi di coloro che si vorrebbero
beneficare, che il beneficio diventa difficilissimo. Capite?
Rosinella: Nossignore, non capisco. Ma faccia di tutto Vossignoria! Per
nojaltri non c'è più bene, non c'è più pace, in questo paese.
D'Andrea: E non potreste andar via da questo paese?
Rosinella: Dove? Ah, Vossignoria non lo sa com'è! Ce la portiamo
appresso, la fama, dovunque andiamo. Non si leva più neppure col coltello. Ah,
se vedesse mio padre, come s'è ridotto! S'è fatto crescere la barba. Una
barbaccia, che pare un gufo... e s'è tagliato e cucito da sé un certo abito.
Eccellenza, che quando se lo metterà, farà spaventare la gente, fuggire i cani
finanche!
D'Andrea. E perché?
Rosinella: Se lo sa lui perché! È come impazzito, le dico! Gliela
faccia, gliela faccia ritirare la querela, per carità!
Si sente di
nuovo picchiare alla comune.
D'Andrea:
Chi è? Avanti.
Marranca (tutto tremante): Eccolo, signor cavaliere! Che... che
debbo fare?
Rosinella: Mio padre?
Balza in piedi.
Dio! Dio! Non mi
faccia trovare qua, Eccellenza, per carità!
D'Andrea: Perché? Che cos'è? Vi mangia, se vi trova qua?
Rosinella: Nossignore. Ma non vuole che usciamo di casa. Dove mi
nascondo?
D'Andrea. Ecco. Non temete.
Apre l'usciolino
nascosto nella parete di destra.
Andate via di
qua; poi girate per il corridojo e troverete l'uscita.
Rosinella: Sissignore, grazie. Mi raccomando a Vossignoria! Serva sua.
Via ranca ranca
per l'usciolino a destra. D'Andrea lo richiude.
D'Andrea:
Introducetelo.
Marranca (tenendo aperto quanto più può la comune per tenersi
discosto): Avanti, avanti... introducetevi...
E come Chiàrchiaro entra, va via di furia. Rosario Chiàrchiaro s'è
combinata una faccia da jettatore che
è una meraviglia a vedere. S'è lasciato
crescere su le cave gote gialle una barbaccia ispida e
cespugliuta; s'è
insellato sul naso un paio di grossi occhiali cerchiati d'osso che gli dànno
l'aspetto d'un
barbagianni. Ha poi indossato un abito lustro, sorcigno, che gli
sgonfia da tutte le parti, e tiene una
canna d'India in mano col manico di
corno. Entra a passo di marcia funebre, battendo a terra la canna
a ogni passo,
e si para davanti al giudice.
D'Andrea (con
uno scatto violento d'irritazione, buttando via le carte del processo): Ma
fatemi il piacere! Che storie son queste! Vergognatevi!
Chiàrchiaro (senza scomporsi minimamente allo scatto del giudice,
digrigna i denti gialli e dice
sottovoce): Lei dunque non ci crede?
D'Andrea: V'ho detto di farmi il piacere! Non facciamo scherzi, via, caro
Chiàrchiaro! - Sedete, sedete qua! Gli s'accosta e fa per posargli una mano
sulla spalla.
Chiàrchiaro (subito, tirandosi indietro e tremendo): Non mi
s'accosti! Se ne guardi bene! Vuol perdere la vista degli occhi?
D'Andrea (lo guarda freddamente, poi dice): Seguitate... Quando
sarete comodo... - Vi ho mandato a chiamare per il vostro bene. Là c'è una
sedia: sedete.
Chiàrchiaro (prende la seggiola. Siede, guarda il giudice, poi si
mette a far rotolare con le mani su le
gambe la canna d'India come un matterello
e tentenna a lungo il capo. Alla fine mastica): Per il mio bene... Per il
mio bene, lei dice... Ha il coraggio di dire per il mio bene! E lei si figura di
fare il mio bene, signor giudice, dicendo che non crede alla jettatura?
D'Andrea (sedendo anche lui): Volete che vi dica che ci credo? Vi
dirò che ci credo! Va bene?
Chiàrchiaro (recisamente, col tono di chi non ammette scherzi):
Nossignore! Lei ci ha da credere sul serio, sul se-ri-o! Non solo, ma deve
dimostrarlo istruendo il processo.
D'Andrea. Ah, vedete: questo sarà un po' difficile.
Chiàrchiaro (alzandosi e facendo per avviarsi): E allora me ne
vado.
D'Andrea: Eh, via! Sedete! V'ho detto di non fare storie!
Chiàrchiaro: Io, storie? Non mi cimenti; o ne farà una tale
esperienza... - Si tocchi, si tocchi!
D'Andrea: Ma io non mi tocco niente.
Chiàrchiaro: Si tocchi, le dico! Sono terribile, sa?
D'Andrea (severo): Basta, Chiàrchiaro! Non mi seccate. Sedete e
vediamo d'intenderci. Vi ho fatto chiamare per dimostrarvi che la via che avete
preso non è propriamente quella che possa condurvi a buon porto.
Chiàrchiaro: Signor giudice, io sono con le spalle al muro dentro un
vicolo cieco. Di che porto, di che via mi parla?
D'Andrea: Di questa per cui vi vedo incamminato e di quella là della
querela che avete sporto. Già l'una e l'altra, scusate, sono tra loro così.
Infronta
gl'indici delle due mani per significare che le due vie sembrano in contrasto.
Chiàrchiaro:
Nossignore. Pare a lei, signor giudice.
D'Andrea: Come no? Là nel processo, accusate come diffamatori due, perché
vi credono jettatore; e ora qua vi presentate a me, parato così, in vesti di
jettatore, e pretendete anzi ch'io creda alla vostra jettatura.
Chiàrchiaro: Sissignore. Perfettamente.
D'Andrea: E non pare anche a voi che ci sia contraddizione?
Chiàrchiaro: Mi pare, signor giudice, un'altra cosa. Che lei non capisce
niente!
D'Andrea: Dite, dite, caro Chiàrchiaro! Forse è una sacrosanta verità,
questa che mi dite. Ma abbiate la bontà di spiegarmi perché non capisco
niente.
Chiàrchiaro: La servo subito. Non solo le farò vedere che lei non
capisce niente; ma anche toccare con mano che lei è un mio nemico.
D'Andrea: Io?
Chiàrchiaro: Lei, lei, sissignore. Mi dica un po': sa o non sa che il
figlio del sindaco ha chiesto il patrocinio dell'avvocato Lorecchio?
D'Andrea: Lo so.
Chiàrchiaro: E lo sa che io - io, Rosario Chiàrchiaro - io stesso sono
andato dall'avvocato Lorecchio a dargli sottomano tutte le prove del fatto: cioè,
che non solo io mi ero accorto da più di un anno che tutti, vedendomi passare,
facevano le corna e altri scongiuri più o meno puliti; ma anche le prove,
signor giudice, prove documentate, testimonianze irrepetibili, sa?
ir-re-pe-ti-bi-li di tutti i fatti spaventosi, su cui è edificata
incrollabilmente, in-crol-la-bilmente, la mia fama di jettatore?
D'Andrea: Voi? Come? Voi siete andato a dar le prove all'avvocato
avversario?
Chiàrchiaro: A Lorecchio. Sissignore.
D'Andrea (più imbalordito che mai): Eh... Vi confesso che capisco
anche meno di prima.
Chiàrchiaro: Meno? Lei non capisce niente!
D'Andrea: Scusate... Siete andato a portare codeste prove contro di voi
stesso all'avvocato avversario; perché? Per rendere più sicura l'assoluzione
di quei due? E perché allora vi siete querelato?
Chiàrchiaro: Ma in questa domanda appunto è la prova, signor giudice,
che lei non capisce niente! Io mi sono querelato perché voglio il
riconoscimento ufficiale della mia potenza. Non capisce ancora? Voglio che sia
ufficialmente riconosciuta questa mia potenza terribile, che è ormai l'unico
mio capitale, signor giudice!
D'Andrea (facendo per abbracciarlo, commosso): Ah, povero Chiàrchiaro,
povero Chiàrchiaro mio, ora capisco! Bel capitale, povero Chiàrchiaro! E che
te ne fai?
Chiàrchiaro: Che me ne faccio? Come, che me ne faccio? Lei, caro
signore, per esercitare codesta professione di giudice - anche così male come
la esercita - mi dica un po', non ha dovuto prendere la laurea?
D'Andrea: Eh sì, la laurea...
Chiàrchiaro: E dunque! Voglio anch'io la mia patente. La patente di
jettatore. Con tanto di bollo. Bollo legale. Jettatore patentato dal regio
tribunale.
D'Andrea: E poi? Che te ne farai?
Chiàrchiaro: Che me ne farò? Ma dunque è proprio deficiente lei? Me lo
metterò come titolo nei biglietti da visita! Ah, le par poco? La patente! Sarà
la mia professione! Io sono stato assassinato, signor giudice! Sono un povero
padre di famiglia. Lavoravo onestamente. Mi hanno cacciato via e buttato in
mezzo a una strada, perché jettatore! In mezzo a una strada, con la moglie
paralitica, da tre anni in un fondo di letto! e con due ragazze, che se lei le
vede, signor giudice, le strappano il cuore dalla pena che le fanno: belline
tutte e due; ma nessuno vorrà più saperne, perché figlie mie, capisce? E lo
sa di che campiamo adesso tutt'e quattro? Del pane che si leva di bocca il mio
figliuolo, che ha pure la sua famiglia, tre bambini! E le pare che possa fare
ancora a lungo, povero figlio mio, questo sacrificio per me? Signor giudice, non
mi resta altro che di mettermi a fare la professione di jettatore!
D'Andrea: Ma che ci guadagnerete?
Chiàrchiaro: Che ci guadagnerò? Ora glielo spiego. Intanto, mi vede: mi
sono combinato con questo vestito. Faccio spavento! Questa barba... questi
occhiali... Appena lei mi fa ottenere la patente, entro in campo! Lei dice,
come? Me lo domanda - ripeto - perché è mio nemico!
D'Andrea: Io? Ma vi pare?
Chiàrchiaro: Sissignore, lei! Perché s'ostina a non credere alla mia
potenza! Ma per fortuna ci credono gli altri, sa? Tutti, ci credono! Questa è
la mia fortuna! Ci sono tante case da giuoco nel nostro paese! Basterà che io
mi presenti. Non ci sarà bisogno di dir niente. Il tenutario della casa, i
giocatori, mi pagheranno sottomano, per non avermi accanto e per farmene andar
via! Mi metterò a ronzare come un moscone attorno a tutte le fabbriche; andrò
a impostarmi ora davanti a una bottega, ora davanti a un'altra. Là c'è un
giojelliere? - Davanti alla vetrina di quel giojelliere: mi pianto lì,
eseguisce
mi metto a
squadrare la gente così,
eseguisce
e chi vuole che
entri più a comprare in quella bottega una gioja, o a guardare a quella
vetrina? Verrà fuori il padrone, e mi metterà in mano tre, cinque lire per
farmi scostare e impostare da sentinella davanti alla bottega del suo rivale.
Capisce? Sarà una specie di tassa che io d'ora in poi mi metterò a esigere!
D'Andrea: La tassa dell'ignoranza!
Chiàrchiaro: Dell'ignoranza? Ma no, caro lei! La tassa della salute!
Perché ho accumulato tanta bile e tanto odio, io, contro tutta questa schifosa
umanità, che veramente credo, signor giudice, d'avere qua, in questi occhi, la
potenza di far crollare dalle fondamenta un'intera città! - Si tocchi! Si
tocchi, perdio! Non vede? Lei è rimasto come una statua di sale!
D'Andrea,
compreso di profonda pietà, è rimasto veramente come un balordo a mirarlo.
Si alzi, via! E
si metta a istruire questo processo che farà epoca, in modo che i due imputati
siano assolti per inesistenza di reato; questo vorrà dire per me il
riconoscimento ufficiale della mia professione di jettatore!
D'Andrea (alzandosi): La patente?
Chiàrchiaro (impostandosi grottescamente e battendo la canna): La
patente, sissignore!
Non ha finito
di dire così, che la vetrata della finestra si apre pian piano, come mossa dal
vento, urta
contro il quadricello e la gabbia, e li fa cadere con fracasso.
D'Andrea (con
un grido, accorrendo): Ah, Dio! Il cardellino! Il cardellino! Ah, Dio! È
morto... è morto... L'unico ricordo di mia madre... Morto... morto...
Alle grida, si
spalanca la comune e accorrono i tre Giudici e Marranca, che subito si
trattengono allibiti
alla vista di Chiàrchiaro.
Tutti: Che
è stato? Che è stato?
D'Andrea: Il vento... la vetrata... il cardellino...
Chiàrchiaro (con un grido di trionfo): Ma che vento! Che vetrata!
Sono stato io! Non voleva crederci e gliene ho dato la prova! Io! Io! E come è
morto quel cardellino,
subito, gli
atti di terrore degli astanti, che si scostano da lui:
così, a uno a
uno, morirete tutti!
Tutti (protestando, imprecando, supplicando in coro): Per l'anima
vostra! Ti caschi la lingua! Dio, ajutaci! Sono un padre di famiglia!
Chiàrchiaro (imperioso, protendendo una mano): E allora qua,
subito - pagate la tassa! - Tutti!
I tre giudici (facendo atto di cavar danari dalla tasca): Sì, subito!
Ecco qua! Purché ve n'andiate! Per carità di Dio!
Chiàrchiaro (esultante, rivolgendosi al giudice D'Andrea, sempre con
la mano protesa): Ha visto? E non ho ancora la patente! Istruisca il
processo! Sono ricco! Sono ricco!
TELA
|