Matdid: Materiale didattico di italiano per stranieri aggiornato ogni 15 giorni.
A cura di Roberto Tartaglione e Giulia Grassi

 
   

Giulia Grassi

 
IL DE ARTI VENANDI
CUM AVIBUS

 
 

 Il celebre trattato sulla falconeria scritto da Federico II
 


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Facsimile del codice

 
 
 
Federico II aveva una vera passione per la caccia. Da questa passione, e dalla sua insaziabile curiosità intellettuale, nasce il celebre trattato De arte venandi cum avibus (Sull'arte di cacciare con gli uccelli), dedicato alla caccia col falcone e scritto prima del 1248.
Il manoscritto originale, in sei libri e illustrato con miniature, è andato perduto. Ne possediamo delle copie. La più antica, considerata una copia diretta dell'originale federiciano, è il Vat.Pal.Lat. 1071, conservato alla Biblioteca Apostolica Vaticana: di proprietà del figlio Manfredi (a cui il trattato, peraltro, era dedicato), è da datarsi prima del 1258; purtroppo contiene solo due dei sei libri che componevano il trattato.
Ci sono poi copie più tarde, ma complete: di esse, le più importanti sono il Ms.Lat. 717, della Biblioteca Universitaria di Bologna, e il Ms.Lat. 3716, della Biblioteca Mazarino di Parigi.

Si tratta di un'opera innovativa, perché è al tempo stesso un manuale di caccia col falcone (con tutte le indicazioni pratiche: addomesticamento, addestramento, tecniche venatorie) e un trattato di ornitologia, basato sull'osservazione diretta della natura e quindi animato da una concezione sperimentale della scienza.
Scrive Federico che l'arte della falconeria "è subordinata alla scienza naturale, poiché fa conoscere le nature degli uccelli" e quindi lui si propone di illustrare le cose per come sono nella realtà (manifestare ea quae sunt sicut sunt). Ecco perché fa precedere il trattato di caccia da una analisi del mondo degli uccelli in generale.
Il suo modello non sono state le opere venatorie precedenti (cinegetica), considerate inaffidabili, ma il Libro degli animali di Aristotele, nella versione araba di Avicenna tradotta in latino da Michele Scoto. Addirittura Federico non esita a "correggere" l'illustre modello nel caso in
cui abbia il dubbio che le osservazioni del filosofo non siano basate su fonti dirette.
 
De arte venandi cum avibus, fol. 11v C'è una profonda differenza anche dai Bestiari, libri diffusissimi al tempo, che contenevano la descrizione di animali sia reali che fantastici le cui caratteristiche erano interpretate in chiave simbolica o allegorica. Federico mette alla prova alcune informazioni dei Bestiari largamente accettate, ad esempio che gli avvoltoi individuano le carogne degli animali di cui si cibano solo grazie all'olfatto.
Fa cucire le palpebre ad alcuni avvoltoi che, così accecati (ciliati), vengono messi davanti a delle carogne; dovrebbero mangiarle, se è vero che le percepiscono con l'olfatto, ma non lo fanno. È la verifica sperimentale, diretta, che nei libri non c'è scritta la verità.
Sul margine sinistro del fol. 11v del trattato, in alto, è illustrato un altro esperimento, volto a dimostrare la preferenza di questi uccelli per le carogne: a un avvoltoio monaco, affamato, viene posta di fronte una gallina viva, che viene ignorata.

 
La descrizione degli uccelli è minuziosa: vengono analizzati la forma delle zampe, del
collo, delle ali, delle ossa, dei becchi e ben otto paragrafi sono dedicati al colore del piumaggio. Una piccola enciclopedia aviaria, con 80 specie di animali illustrate da 500 immagini.
 
Le immagini miniate sono funzionali al testo scritto, che illustrano. Tra le più belle, ci sono quelle dedicate al volo degli uccelli, che colpiscono per la loro immediatezza e la loro "verità" (foll. 6v,11r, 16v: gru, avvoltoi, cicogne bianche e cicogne nere).
 

 

   
 
 
Le illustrazioni sono molto naturalistiche: con una estrema "semplicità sintetica di linee e di colori [riescono] a esprimere l'aspetto, i moti e qualche volta l'indole degli svariatissimi uccelli, la vita dello stagno gravemente vigilato dal trampoliere, il volo pesante e veloce dei migratori" (P. TOESCA).
Un vero capolavoro.

Questa grande passione di Federico II è stata oggetto di ammirazione, ma anche di critiche. Nel momento di massimo conflitto del sovrano con papa Gregorio IX, un biografo del pontefice è arrivato a scrivere che "egli aveva trasformato il titolo di maestà in una carica relativa alla caccia, si circondava non d'arme e leggi bensì di cani e di uccelli vocianti, e ancor peggio, aveva dimenticato d'imporre la giusta vendetta sui suoi nemici, preferendo sguinzagliare le sue aquile trionfali nella caccia con gli uccelli".
Ma noi non siamo assolutamente d'accordo.