Matdid, materiali didattici di italiano per stranieri a cura di Roberto Tartaglione e Giulia Grassi, Scuola d'Italiano Roma |
|
Caro
Direttore, entrando ieri in una mia casetta di campagna
in terra toscana, dove amo spesso ritirarmi per evitare i
fastidi del fastidioso mondo circostante, ho trovato ad
aspettarmi in bella mostra sul mio tavolo da lavoro una
lettera, perfettamente personalizzata (nome, cognome -
scritto per bene, il che nel caso mio è una vera rarità,
- CAP, indirizzo, ecc. ecc.), che, all'apertura, si è
rivelata esser quella, di cui molto già s'è parlato,
che l'Onorevole Silvio Berlusconi ha spedito ad alcuni
milioni d'italiani, prendendo a pretesto le prossime
elezioni regionali. Superato il primo momento di gioiosa sorpresa per esser stato scovato anche nella mia solitudine agreste da una così illustre personalità, mi sono precipitato a leggere la missiva, - leggo qualsiasi cosa di stampato mi capiti a tiro - di cui avevo avuto fino a quel momento solo approssimative informazioni giornalistiche, e sono rimasto abbagliato da questo saggio di pensiero politico contemporaneo. Se non le dispiace, vorrei cercare di trasmetterle il senso di questa mia stupefatta ammirazione. La lettera di Silvio Berlusconi, retoricamente analizzata, si compone, secondo un modello imposto dai classici, di tre parti, la cui logica complessiva deve tuttavia esser tenuta sempre presente, non dimenticando al tempo stesso che contraddizioni e omissioni, come in ogni sistema complesso che si rispetti, vi occupano uno spazio almeno altrettanto grande di quello delle affermazioni esplicite e dichiarate. La prima parte, di circa dieci intensissime righe, rivela un'impronta chiaramente e lucidamente filosofica: Silvio Berlusconi vi espone infatti la sua Weltanschauung, la sua concezione del mondo. Le elezioni sono regionali ma, com'è noto, le concezioni del mondo prescindono dalle condizioni storiche concrete, e in ogni momento, quale che ne sia l'occasione o il pretesto, la scelta è totale, sicché Berlusconi può fingere tranquillamente che in questo momento gli italiani stiano andando ad una consultazione politica generale, anzi, ad una specie di definitiva palingenesi. Gli riesce così più facile collocare in un contesto tanto anomalo la sua concezione del mondo, la quale è, come tutti sanno, la cosiddetta "scelta di campo", che in questo caso egli sintetizza in una formula intellettuale, la cui pregnanza non può sfuggire ad alcuno: "o di qua o di là". Ha letto bene, caro Direttore: "o di qua o di là". In un mondo in cui tutto ci dice che tutto s'è complicato, intrecciato e, ahimè, se vogliamo, confuso e pasticciato, Berlusconi chiede dunque a ognuno di noi di recitare la parte di quell'ultimo soldato giapponese che, nella giungla impenetrabile del Borneo, a trent'anni dalla fine della guerra, pensava che fosse ancora in atto il conflitto sterminatore e risolutivo fra l'Impero del Sol Levante e il Demonio Bianco Americano. (Contraddizione-omissione: o non s'era convertito il Berlusconi al proporzionale? - e come si farebbe a stare "o di qua o di là", se la politica tornasse ad esser misurata sulle percentuali dei singoli partiti?). A questa Weltanschauung così nobilmente dicotomica e così coraggiosa nell'ostentare la propria elementarità segue la seconda parte della lettera, in cui Berlusconi espone più modestamente il proprio punto di vista politico-programmatico. Agli entusiasmi suscitati in me dagli squilli di tromba iniziali, - finalmente qualcuno che pensa in grande in questo paese di mediocri, - segue una lista d'intenzioni per lo più grigie e dimesse, le quali testimoniano che Silvio Berlusconi, se ha una forte teoria politica nella testa (quella, appunto, del "o di qua o di là"), come uomo di governo non saprebbe bene come rigirarsi. Vuole insegnare ai giovani a parlar bene l'inglese e a usare i computers (fissazione, bisogna riconoscerlo, che condivide con molti politici della nuova sinistra), vuole sostenere le piccole e piccolissime imprese (cosa con la quale anche noi concordiamo, se non altro per solidarietà nei confronti di tutti coloro che si battono sul basso della scala sociale), vuole ridurre le tasse (cosa che, notoriamente, tutti vorrebbero fare), vuole ridurre il peso dello Stato (chiedendo però al tempo stesso una sua più incisiva e capillare presenza per combattere la criminalità organizzata). Omissioni: non parla né di grandi imprese né di lavoratori: la grande "riforma liberale" si farebbe secondo lui con gli artigiani, i professionisti, i commercianti e gli agricoltori. Segnali preoccupanti: dice di "voler cambiare da cima a fondo tutti gli apparati di questo Stato, che sono obsoleti, costosi e inefficienti". È né più né meno il famoso programma Pappalardo. Domanda: che pensi alla magistratura? Comunque: in un paese dall'esperienza storica dell'Italia un sano buonsenso spinge a diffidare di chiunque si ponga come obiettivo dichiarato di "cambiare da cima a fondo tutti gli apparati di questo Stato". L'insoddisfazione accumulata nello scorrere i singoli punti del programma trova un ampio risarcimento nel colpo d'ala finale della lettera, dall'ampio respiro religioso. Silvio Berlusconi, infatti, vi si presenta ai nostri occhi né più né meno come Dio. Soltanto Dio avrebbe il coraggio, e la persuasione interiore necessaria, per affermare di sé: "Io credo di sapere ciò che si deve fare e credo di saperlo fare". L'"uomo della Provvidenza" al confronto è una barzelletta. Su questo l'onorevole Berlusconi ha ragione da vendere: nessun politico terreno, gravato dei limiti insuperabili della modestia umana, potrebbe competere con uno che, dotato delle caratteristiche imprescindibili della divinità, e cioè onniscienza e onnipotenza, sia tanto autorevole e, sicuro di sé da dirlo in pubblico. Come riserva, se non dovesse essere riconosciuto unanimemente come Dio, Berlusconi, sempre in ambito di mentalità religiosa, si riserva il ruolo di martire, sceso coraggiosamente in campo in un Colosseo di feroci leoni comunisti: "A questo fine ho rischiato e rischio tutto...". Fra un eccesso di protagonismo (Dio) e un eccesso di vittimismo (martire), intanto del Berlusconi mondano, quello tutto sommato più autentico, attraverso l'invio di questa lettera, brilla un'altra caratteristica, che ha una sua forza intrinseca ed entra a far parte intimamente del discorso. Il credo filosofico, politico, religioso di Silvio Berlusconi è stato efficacemente veicolato dalle Poste Italiane (ahi, questo Stato che non funziona) in milioni e milioni di copie (quante? dieci, dodici, quindici milioni?) su di un flusso di movimento fatto di denaro. Messaggio di altissimo livello intellettuale, dunque, ma inevitabilmente mediocrizzato dal suo supporto materiale. Alla faccia della par condicio. Il problema non è quello dell'eguaglianza televisiva: il problema è quello della mostruosa, incolmabile diseguaglianza del soldo, anzi del danè, fra il nostro cortese ma invadente interlocutore e i suoi troppo umani avversari. Costringere Silvio Berlusconi dentro il rispetto delle regole imposte dalla legge è in queste condizioni impossibile: egualizzato (parzialmente) negli spot, lui ti schizza fuori con le navi da crociera, con i milioni di lettere personalizzate e di manifesti elettorali, e domani, magari, con le manifestazioni aeree, le carovane automobilistiche, i treni azzurri, ecc. ecc. Sono grato all'Onorevole Berlusconi, non solo di essersi ricordato di me, ma anche delle buone e serene riflessioni che mi ha ispirato, portando a compimento un mio processo di chiarimento interiore, che proprio in vista delle prossime elezioni regionali ero venuto facendo. Lei sa, caro Direttore, perché ne è stato il principale destinatario e successivamente il gentile propalatore, quanto io abbia ragionato nei mesi scorsi sui limiti dell'esperienza di centro-sinistra e dei partiti che ne fanno parte. Leggendo Berlusconi mi son fatto tuttavia la seguente persuasione: la mediocrità della politica e dei politici del centro- sinistra è la nostra attuale linea del Piave. Si può e si deve discutere su come è stata condotta finora la guerra: ma non conviene a nessuno che gli austriaci arrivino a Milano e a Roma. Per sconfiggere i nemici interni ci sarà tempo e modo dopo; intanto bisogna sconfiggere il nemico esterno, che ci promette, anzi ci assicura il dominio del denaro più volgare, ammantandolo di motivazioni filosofiche, politiche, parareligiose, ecc. ecc. Il mio programma, - in maniera del tutto opposta a quella indicata da Silvio Berlusconi, - per ora è minimo: penso che basterebbe riconquistare gli italiani al gusto della buona educazione e il Polo della libertà sarebbe sconfitto. Se proprio mi si costringe a "scendere in campo", - me lo ha chiesto Silvio Berlusconi con una lettera personale e non posso dirgli di no, - vorrei farlo a favore delle buone maniere. Spero che nessuno fra gli elettori italiani perda l'occasione, con l' arma eminentemente discreta e silenziosa del voto, di porre fine a tutti questi indecenti clamori. |