Un buon Ministro dell’Istruzione cancellerebbe immediatamente gli
inutili (e dannosi) corsi di formazione e aggiornamento e manderebbe
subito tutti gli insegnanti in montagna. Se andassero ai rifugi,
magari accompagnando un gruppo di amici inesperti, imparerebbero
molto, ma molto di più.
L’ATTREZZATURA - Scoprirebbero
che per andare in montagna servono scarponi seri, calzettoni di
lana, una maglietta assolutamente di cotone, un maglione e una
giacca a vento. E scoprirebbero anche che per arrivare in un rifugio
a 2500 o 3000 metri non serve portarsi dietro ramponi e bombole di
ossigeno o, peggio, vestirsi come Walter Bonatti alla conquista del
K2.
I TEMPI – Scegliere il traguardo
giusto vuol dire che se abbiamo a disposizione 10 ore di luce è poco
opportuno puntare a un rifugio a 8 ore di distanza. Al ritorno si
incapperebbe nel buio.
LA SALITA – L’inizio è ripido e
faticoso: tocca andare lentamente, molto più lentamente di quanto il
fiato consentirebbe. Per un dislivello di 300 metri ci si mette
mediamente un’ora. Partire in quarta e riuscire a percorrerlo in
meno tempo si può. Ma dopo un’ora ci si sente col fiato spaccato e
le gambe mozze.
Non chiediamo comunque agli amici di seguire il “nostro” passo.
Ognuno ha il suo e ognuno dovrà imparare a regolare il proprio passo
sincronizzandolo col proprio respiro. Chi ha il cuore che batte
lentamente andrà un po’ più avanti, chi ha il fiato corto starà un
po’ più indietro. Al rifugio arriveremo tutti: ma dove sta scritto
che si debba arrivarci tutti insieme?
LA PIANURA – Dopo le prime
salite (che chiameremo convenzionalmente A1/A2) è probabile che si
trovi in una bella vallata piana, percorsa da un ruscelletto
scrosciante. È
il momento di riprendere fiato: perché sprecare un’occasione così
bella? Perché disperdere energie magari rincorrendosi o
giocherellando? Questo è il momento per ricaricarsi. Quindi: non
corriamo, non facciamo giochini scemi, rilassiamoci (ma non
sdraiamoci per riposare, altrimenti dopo sarà durissima
rialzarsi).
Se si ha sete è il caso di bere. Chi ha portato la Ferrarelle da
casa può buttala via: qui è pieno di rivoli d’acqua fresca e buona.
Però è meglio non abbeverarsi al ruscello grande che viene
probabilmente proprio dal rifugio dove stiamo andando e che magari è
stato sporcato da qualche escursionista maleducato. Guardiamo i
rivoletti che vengono da quelle alture deserte. Quell’acqua si può
berla tranquillamente. Le fonti, le fonti sono importanti: uno non
può bersi tutto quello che gli passa davanti!
Comunque è sempre meglio non abboffarsi di acqua. Se la pancia si
riempie, andando su, sentiremo le onde che si infrangono sulle
pareti dello stomaco a ogni passo e sembrerà di portare con sé un
otre pesante come un acquapark. |
NUOVE SALITE – Ricomincia la
salita, ancora più dura (e la chiameremo convenzionalmente B1/B2).
Quando il fiato comincia a mancare non è detto che uno non possa
fermarsi, ma sempre resistendo alla tentazione di sdraiarsi. Ci si
può voltare indietro a guardare il percorso già fatto e gustarselo
con gli occhi; si può semplicemente guardare qualche pianta strana
che cresce fra le rocce e perfino farle qualche fotografia; si
possono anche fare due chiacchiere coi compagni di salita per
riposarsi un po’. Ma appena possibile è meglio ripartire: il
sentiero è ancora lungo.
RIFUGIO IN VISTA – Eccolo lì il
tetto del rifugio! Si vede bene, proprio sopra quello spuntone
roccioso. Questo è il momento più pericoloso: la montagna fa strani
scherzi e per quanto ti sembri vicino in realtà ‘sto benedetto
rifugio è ancora lontano e probabilmente sei solo a metà strada. Non
accelerare, quindi, non spremerti come se potessi buttar via le
ultime energie. Mantieni il passo e, se vuoi un consiglio, non
guardarlo proprio il rifugio. Ci rimarresti troppo male a scoprire
che, dopo aver sudato un’altra ora, lui è sempre lì, che ti sorride
beffardo sopra quello spuntone roccioso.
IL SENTIERO – Il sentiero è
segnato ed è bene seguire quelle indicazioni. Se uno conosce
perfettamente la via ok, può anche tentare la scorciatoia più ripida
e più veloce... ma improvvisare è rischioso: decidere di percorrere
una strada che sembra più breve e poi trovarsi davanti un torrente
impossibile da attraversare non fa bene né al morale né alle gambe!
L’ARRIVO – Gli ultimi cento
metri di dislivello sono quelli che fanno più male. Non finiscono
mai. Rassegnati e, di nuovo, non accelerare e non perdere il ritmo!
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IL RIFUGIO – Siamo arrivati.
Adesso sì che ci si può rilassare davvero. Vuoi farti una birra o un
grappino per darti il “benvenuto”? Sei un fumatore e vuoi farti una
sigaretta? Be’, non fa bene, ma è concesso! La soddisfazione è tanta
e un premio ci vuole! Festeggia come ti pare... ma anche qui, non
esagerare a autocelebrarti. Non sei Reinhold Messner; per un vero
alpinista quel rifugio è solo il punto di partenza per scalare il
giorno dopo vette assai più alte e pericolose (vette che noi
convenzionalmente chiameremo C1 e C2).
Noi ci accontentiamo del rifugio: godiamocelo quindi, ma evitiamo di
diventare ridicoli!
LA DISCESA – Anche in discesa
ognuno mantiene il suo stile e il suo passo: i più giovani e quelli
con le caviglie sicure non resisteranno alla tentazione di
saltellare un po’ e perfino di correre. Qualche rischio c’è, ma
diciamo pure che a quell’età un capitombolo di solito non porta
conseguenze gravi. I più anziani o i più insicuri scenderanno invece
lentamente. E va bene anche questo. Ma anche a loro vale la pena
consigliare di non irrigidirsi troppo per la paura di cadere. Un
passo leggero, morbido e zigzagante, quello che qualcuno chiama
“passo dell’ubriaco”, ci risparmierà gran parte del mal di muscoli
il giorno dopo.
Quelli che hanno frequentato i
corsi di formazione e aggiornamento (per alpinisti, s’intende:
parlavamo di questo, no?) li riconosci subito. Hanno il fisico
palestrato, l’attrezzatura perfetta e uno zaino gonfio di sorprese.
Nonostante questo peso, fisicamente allenatissimi, arrivano spesso
al rifugio prima degli altri.
Ma di solito ci arrivano da soli: il gruppo naturalmente se lo sono
persi per strada.
E una volta arrivati ci rimangono malissimo a vedere che, un po’ alla
volta, al rifugio arrivano tutti, vecchietti traballanti, signore
obese, ragazzini saltellanti, studentelli rumorosi e pensionati
sbuffanti come vecchie locomotive.
Loro arrivano prima ma arrivano da soli. Il peggio però è che loro
arrivano. E non si ricordano più perché cazzo sono partiti.
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