Matdid: Materiale didattico di italiano per stranieri aggiornato ogni 15 giorni a cura di Roberto Tartaglione e Giulia Grassi - Scudit, Scuola d'Italiano Roma

 
    Roberto Tartaglione

DIDATTICA E
ALTA MONTAGNA

 

Riflessioni dal "Rifugio Ponte di Ghiaccio" (Valle Aurina, Alto Adige): un testo dedicato agli insegnanti, a quelli che studiano per insegnare, e anche a studenti che frequentano corsi di lingua e che vogliono  diventare più bravi
Più che un esercizio, uno spunto
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PER INSEGNANTI E PER STUDENTI PIUTTOSTO BRAVI

 

   

INDICI MATDID:    cronologico   |  per argomento   |   per livello   |   analitico

 

 
 

 

 

 

Un buon Ministro dell’Istruzione cancellerebbe immediatamente gli inutili (e dannosi) corsi di formazione e aggiornamento e manderebbe subito tutti gli insegnanti in montagna. Se andassero ai rifugi, magari accompagnando un gruppo di amici inesperti, imparerebbero molto, ma molto di più.

L’ATTREZZATURA - Scoprirebbero che per andare in montagna servono scarponi seri, calzettoni di lana, una maglietta assolutamente di cotone, un maglione e una giacca a vento. E scoprirebbero anche che per arrivare in un rifugio a 2500 o 3000 metri non serve portarsi dietro ramponi e bombole di ossigeno o, peggio, vestirsi come Walter Bonatti alla conquista del K2.  

I TEMPI – Scegliere il traguardo giusto vuol dire che se abbiamo a disposizione 10 ore di luce è poco opportuno puntare a un rifugio a 8 ore di distanza. Al ritorno si incapperebbe nel buio.

LA SALITA – L’inizio è ripido e faticoso: tocca andare lentamente, molto più lentamente di quanto il fiato consentirebbe. Per un dislivello di 300 metri ci si mette mediamente un’ora. Partire in quarta e riuscire a percorrerlo in meno tempo si può. Ma dopo un’ora ci si sente col fiato spaccato e le gambe mozze.
Non chiediamo comunque agli amici di seguire il “nostro” passo. Ognuno ha il suo e ognuno dovrà imparare a regolare il proprio passo sincronizzandolo col proprio respiro. Chi ha il cuore che batte lentamente andrà un po’ più avanti, chi ha il fiato corto starà un po’ più indietro. Al rifugio arriveremo tutti: ma dove sta scritto che si debba arrivarci tutti insieme?

LA PIANURA – Dopo le prime salite (che chiameremo convenzionalmente A1/A2) è probabile che si trovi in una bella vallata piana, percorsa da un ruscelletto scrosciante. È il momento di riprendere fiato: perché sprecare un’occasione così bella? Perché disperdere energie magari rincorrendosi o giocherellando? Questo è il momento per ricaricarsi. Quindi: non corriamo, non facciamo giochini scemi, rilassiamoci (ma non sdraiamoci per riposare, altrimenti dopo sarà durissima rialzarsi).
Se si ha sete è il caso di bere. Chi ha portato la Ferrarelle da casa può buttala via: qui è pieno di rivoli d’acqua fresca e buona. Però è meglio non abbeverarsi al ruscello grande che viene probabilmente proprio dal rifugio dove stiamo andando e che magari è stato sporcato da qualche escursionista maleducato. Guardiamo i rivoletti che vengono da quelle alture deserte. Quell’acqua si può berla tranquillamente. Le fonti, le fonti sono importanti: uno non può bersi tutto quello che gli passa davanti!
Comunque è sempre meglio non abboffarsi di acqua. Se la pancia si riempie, andando su, sentiremo le onde che si infrangono sulle pareti dello stomaco a ogni passo e sembrerà di portare con sé un otre pesante come un acquapark.

NUOVE SALITE – Ricomincia la salita, ancora più dura (e la chiameremo convenzionalmente B1/B2). Quando il fiato comincia a mancare non è detto che uno non possa fermarsi, ma sempre resistendo alla tentazione di sdraiarsi. Ci si può voltare indietro a guardare il percorso già fatto e gustarselo con gli occhi; si può semplicemente guardare qualche pianta strana che cresce fra le rocce e perfino farle qualche fotografia; si possono anche fare due chiacchiere coi compagni di salita per riposarsi un po’. Ma appena possibile è meglio ripartire: il sentiero è ancora lungo.

RIFUGIO IN VISTA – Eccolo lì il tetto del rifugio! Si vede bene, proprio sopra quello spuntone roccioso. Questo è il momento più pericoloso: la montagna fa strani scherzi e per quanto ti sembri vicino in realtà ‘sto benedetto rifugio è ancora lontano e probabilmente sei solo a metà strada. Non accelerare, quindi, non spremerti come se potessi buttar via le ultime energie. Mantieni il passo e, se vuoi un consiglio, non guardarlo proprio il rifugio. Ci rimarresti troppo male a scoprire che, dopo aver sudato un’altra ora, lui è sempre lì, che ti sorride beffardo sopra quello spuntone roccioso.

IL SENTIERO – Il sentiero è segnato ed è bene seguire quelle indicazioni. Se uno conosce perfettamente la via ok, può anche tentare la scorciatoia più ripida e più veloce... ma improvvisare è rischioso: decidere di percorrere una strada che sembra più breve e poi trovarsi davanti un torrente impossibile da attraversare non fa bene né al morale né alle gambe!

L’ARRIVO – Gli ultimi cento metri di dislivello sono quelli che fanno più male. Non finiscono mai. Rassegnati e, di nuovo, non accelerare e non perdere il ritmo!

 

IL RIFUGIO – Siamo arrivati. Adesso sì che ci si può rilassare davvero. Vuoi farti una birra o un grappino per darti il “benvenuto”? Sei un fumatore e vuoi farti una sigaretta? Be’, non fa bene, ma è concesso! La soddisfazione è tanta e un premio ci vuole! Festeggia come ti pare... ma anche qui, non esagerare a autocelebrarti. Non sei Reinhold Messner; per un vero alpinista quel rifugio è solo il punto di partenza per scalare il giorno dopo vette assai più alte e pericolose (vette che noi convenzionalmente chiameremo C1 e C2).
Noi ci accontentiamo del rifugio: godiamocelo quindi, ma evitiamo di diventare ridicoli!

LA DISCESA – Anche in discesa ognuno mantiene il suo stile e il suo passo: i più giovani e quelli con le caviglie sicure non resisteranno alla tentazione di saltellare un po’ e perfino di correre. Qualche rischio c’è, ma diciamo pure che a quell’età un capitombolo di solito non porta conseguenze gravi. I più anziani o i più insicuri scenderanno invece lentamente. E va bene anche questo. Ma anche a loro vale la pena consigliare di non irrigidirsi troppo per la paura di cadere. Un passo leggero, morbido e zigzagante, quello che qualcuno chiama “passo dell’ubriaco”, ci risparmierà gran parte del mal di muscoli il giorno dopo.



Quelli che hanno frequentato i corsi di formazione e aggiornamento (per alpinisti, s’intende: parlavamo di questo, no?) li riconosci subito. Hanno il fisico palestrato, l’attrezzatura perfetta e uno zaino gonfio di sorprese. Nonostante questo peso, fisicamente allenatissimi, arrivano spesso al rifugio prima degli altri.
Ma di solito ci arrivano da soli: il gruppo naturalmente se lo sono persi per strada.
E una volta arrivati ci rimangono malissimo a vedere che, un po’ alla volta, al rifugio arrivano tutti, vecchietti traballanti, signore obese, ragazzini saltellanti, studentelli rumorosi e pensionati sbuffanti come vecchie locomotive.
Loro arrivano prima ma arrivano da soli. Il peggio però è che loro arrivano. E non si ricordano più perché cazzo sono partiti.
 

 

   

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