Matdid, materiali didattici di italiano per stranieri a cura di Roberto Tartaglione e Giulia Grassi, Scuola d'Italiano Roma

 
 

Giulia Grassi

 

VIVERE A ROMA 
2000 ANNI FA

  

  Le domus e le insulae

 

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La domus erano tutte diverse, ma in tutte troviamo presenti una serie di elementi.
C'erano un ingresso principale, detto ostium (1), ed uno secondario, posticum (11), che si apriva sul peristylium (9). Dall'ingresso principale si entrava nel vestibulum (2), dove la mattina sostavano i clientes del padrone di casa: in cambio dell'omaggio mattutino al proprietario chiedevano favori e raccomandazioni, magari solo un invito a pranzo o una borsa con del cibo (sportula): l'origine di parole italiane come "clientela", con significato politico negativo, è da ricercare in questa abitudine.
Dal vestibolo si passava nell'atrium (3), che era una specie di anticamera ed era molto importante, perché dava subito l'idea della famiglia, e quindi della sua nobiltà e potenza. Di forma quadrata, al centro era provvisto di un impluvium (4), cioè una vasca per raccogliere l'acqua piovana che cadeva da un'apertura al centro del tetto, detta compluvium (12); l'acqua finiva in una cisterna. Nell'atrio si trovava il lararium, una cappelletta dedicata ai Lares, gli dèi protettori della casa. E qui c'erano anche gli armaria, armadi in legno contenenti le immagini di cera degli antenati (imagines): il numero di immagini era la testimonianza dell'antichità, e quindi della autorità, della famiglia. 
Nella parete dell'atrio direttamente di fronte all'ingresso si apriva il tablinum (8), una stanza riccamente decorata e con una grande finestra che dava sul peristylium: riceveva infatti luce ed aria sia dall'atrio (poca) che dal peristilio (molta). Il tablino era lo studio del padrone di casa: qui erano conservati gli archivi di famiglia. 
Attorno all'atrio si aprivano una serie di ambienti di dimensioni ridotte (cubicula, 5), destinati a scopi diversi ma soprattutto utilizzati come stanze da letto.
 

 

Pianta, sezione e alzato di una domus (i numeri indicano gli ambienti principali) 
1.
ostium; 2. vestibulum; 3. atrium; 4. impluvium; 5. cubiculum; 6. ala; 7. triclinium; 8. tablinum;
9.
peristylium; 10. exedra; 11. posticum; 12. compluvium
 
Un corridoio chiamato andron collegava l'atrio con il peristylium (9), la parte più interna della casa. Il peristilio era il giardino, circondato da un portico colonnato e arricchito da affreschi, statue, fontane e oggetti in marmo (vasi, tavoli, panche). Era la zona più luminosa, e spesso una delle più sontuose. 
Sul peristilio si aprivano ancora cubicula (5), ma più grandi, luminosi e più decorati di quelli che si trovavano intorno all'atrio. C'erano poi alcune stanze molto grandi e lussuose. Il triclinium (7), cioè la stanza da pranzo: il suo nome deriva dalla presenza dei triclinia, i letti sui quali potevano stare tre persone che mangiavano sdraiate sul lato sinistro, col gomito appoggiato a un cuscino. L'exedra (10), cioè un grande ambiente di ricevimento, utilizzato anche per banchetti. Questi ambienti avevano pavimenti in mosaico e pareti ricoperte di affreschi e marmi colorati.
Naturalmente c'erano una cucina
(culina), in genere di piccole dimensioni, un bagno (balneus), riservato alla famiglia e gli ambienti per la servitù (cellae servorum).
L'arredamento era molto semplice e ridotto all'osso: se un romano entrasse in un appartamento moderno probabilmente di sentirebbe soffocare per l'eccessiva quantità di mobili e oggetti d'arredo. In compenso c'era un ottimo sistema di riscaldamento, con aria calda che circolava sotto il pavimento e all'interno delle pareti.

 

Le insulae erano il tipo di abitazione più diffuso a Roma. Questi palazzi a più piani, alti oltre venti metri, erano così numerosi che Cicerone definiva Roma una città "sospesa per aria". 
Naturalmente c'erano palazzi di tipo più signorile ed altri di tipo più popolare: nei primi al pianterreno c'era un solo appartamento, che aveva le caratteristiche di una domus; nei secondi, al pianterreno c'erano le tabernae, cioè i negozi e i magazzini (dove i commercianti lavoravano e dormivano). 
Ma gli appartamenti erano per lo più di piccole dimensioni, con stanze strette, buie, fredde d'inverno e calde d'estate: le finestre infatti non avevano vetri (erano troppo costosi...) ma solo sportelli di legno e quindi in inverno bisognava scegliere se morire di freddo o stare al buio. Le stanze non avevano funzioni specifiche (come nelle domus) ed erano quasi senza mobili.
Non c'erano comodità: solo gli appartamenti signorili del pianterreno erano collegati all'acquedotto e alla rete fognaria; gli altri erano senz'acqua e senza servizi igienici. Bisognava fare numerosi viaggi per andare a prendere l'acqua alla fontana pubblica, nella piazza; quanto ai rifiuti, "tutti" i rifiuti, venivano eliminati di notte buttandoli giù dalle finestre.

Crolli e incendi, frequentissimi, rendevano ancora più difficile la vita in questi grandi palazzi. Non a caso, a differenza di quello che succede ai giorni nostri, gli appartamenti più costosi erano quelli dei primi piani mentre agli ultimi piani i prezzi erano decisamente più bassi. Senz'acqua, senza servizi igienici, al freddo, col rischio continuo di morire sotto a un crollo o in un incendio: così si viveva nell'attico!
 
Il canone di affitto veniva pagato ogni sei mesi, il primo gennaio e il primo luglio. Poiché gli affitti erano cari, i casi di inquilini morosi erano numerosi e di  conseguenza erano numerosi gli sfratti.
Ogni sei mesi, perciò, le strade di Roma, già affollatissime, si 

riempivano di una folla di sfrattati che, trascinando con sé i propri miseri averi, si aggirava alla ricerca di un alloggio ... e non di rado, l'unica soluzione era dormire sotto i ponti.

Pianta e plastico ricostruttivo di un'insula