La lettura di un articolo pubblicato su Culturiana (Italiano lingua di
civiltà, in Culturiana, anno VII, n. 26, settembre 1995,
pagg. 30-31) mi suggerisce qualche considerazione.
La Dante Alighieri ha fallito.
Nonostante una vecchia legge le abbia messo a
disposizione i proventi della tassa sulle insegne in
lingua straniera proprio perché si prodigasse nella
difesa dell'italiano, la nostra lingua è ormai
inevitabilmente corrotta. Perciò una proposta:
ripristiniamo il decreto legge dell'11 febbraio 1923,
destinando stavolta i proventi della tassazione all'autore
dell'articolo di cui sopra, affinché si prodighi lui
nella difesa di quello che ha definito "il
capolavoro italiano": la nostra bella lingua che dell'opera
d'arte ha il senso della misura e della proporzione, l'eleganza
e l'armonia, tant'è che ha generato innumerevoli
capolavori di letteratura.
Disarmonico è invece lo stile di Firduzi e
notoriamente sproporzionata la lingua di Shakespeare: e
tuttavia accade che anche gli stranieri si illudano
talvolta di parlare una lingua bella. Da Peire Vidal che
diceva almans trob deschauzitz e vilas e quan negus
se fen d'esser cortes ira mortals et dols et enois es
(quando i tedeschi si sforzano di fare poesia lo fanno in
modo brutto e villano: e quando provano a sembrar cortesi
non riescono che a provocare ira, noia e dolore),
a Neidhart, che essendo tedesco se l'era giustamente
presa a male Uf minen sanc ahtent die Wahlen niht, so
wol dir, diutschiu zunge! (Ah, perché non si
rallegrano sul mio canto i barbari? Salute a te, lingua
tedesca mia!).
Sicché, in realtà, solo il nostro Petrarca
aveva capito come stavano davvero le cose: "Ben
provvide natura al nostro stato quando de l'Alpi schermo
pose fra noi e la tedesca rabbia!"
La crisi della nostra lingua dipende dai forestierismi (anzi, chiamiamoli per quello che sono:
barbarismi!) entrati nel lessico italiano. "Il fatto
è che gli italiani sono da sempre esterofili convinti",
segue il nostro articolo. Perciò non si può restare insensibili di fronte alla penetrazione di arabismi che,
insinuatisi nella nostra lingua attraverso la breccia di
Villa Literno, minacciano la candida purezza dell'idioma
parlato a Caserta. Ma specialmente è dai francesismi e
dagli anglismi che dobbiamo guardarci. E fare il mea
culpa (anzi, il "colpa mia"). Per esempio, io
stesso, insegnante di italiano, mi sono un tempo
appassionato alle note di "29 settembre" e ne
ho perfino canticchiato i versi: "Seduto in quel
caffè, io non pensavo a teee...". Come ho potuto?
Si tratta infatti di una canzone che, pur scritta dall'italico
Lucio Battisti (cognome che ci evoca subito un palpito
unitario e risorgimentale) è stata poi lanciata da un
complesso che portava il bastardissimo nome di Equipe
84: eppure la nostra bella lingua dispone del
termine squadra che, come dice giustamente l'articolo
citato, è perfettamente equivalente. Una tassa anche sui
nomi in lingua straniera, ci vorrebbe!
Ecco la mia proposta. Addio ai grandi del
western all'italiana (Bob Robertson, pseudonimo
di Sergio Leone, Montgomery Wood nome con cui si
è lanciato Giuliano Gemma. E poi Terence Hill-Mario
Girotti, per non parlare di Bud Spencer-Carlo
Pedersoli). Una multa straordinaria poi per il patetico Little
Tony (Antonio Ciacci di Ciampino). Ma soprattutto
leviamoci golf (e golfetti e golfettini) e
indossiamo maglioni, licenziamo le baby sitter
olandesi e assumiamo bambinaie ciociare, smettiamola di
giocare a tennis e smaltiamo i lardelli
addominali con l'italico "pallacorda". E per
strada non suoniamo il clacson, per carità, che
è pure fastidioso!
E se proprio non riusciamo ancora a "fiorellare"
col nostro amore, lasciamoci pure andare a qualsiasi
perversione sessuale, ma, per favore, non flirtiamo!
S'intende, non sono solo i barbarismi a
"imbastardirci", dice il nostro articolo, ma
anche "il riemergere del sostrato dialettale e il
turpiloquio, per non parlare delle bestemmie! ... I
grandi geni del passato si esprimevano in italiano"
(be', almeno quelli nati in Italia, ndr.) Il perché è
ovvio: prima in Italia non si dicevano tante parolacce!
Insomma sono questi i mali della lingua
italiana. Se invece ci si esprime senza usare barbarismi,
dialetto e turpiloquio, al massimo dovremo correggere con
la matita rossa e blu qualche strafalcione:
«Quando
noi assistiamo durante l'ultima campagna
elettorale lo stesso Bossi che ha definito razza
meridionale, e sia ben chiaro che non sto
cercando di fare del razzismo, perché parlo nell'interesse
della collettività nazionale, e quindi un'Italia
unita il Mezzogiorno, che in questo varo di
governo ci siamo ritrovati che lo stesso
Berlusconi, sia chiaro che io parlo da uomo di
destra, però mi rendo conto che il cavalier
Berlusconi nulla ha detto sul Mezzogiorno d'Italia,
solo alla fine del discorso ha detto dei 4 mila
miliardi sul Mezzogiorno che ne stava parlando
anche Ciampi da tre o quattro anni, soldi che non sono mai arrivati»
(N. Rangeri, Cito-horror a
Tribuna Politica, in Il Manifesto, 25 maggio
1994, pag. 24)
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Questa è misura, eleganza e
proporzione: la nostra bella lingua parlata dai grandi
geni del passato.
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