Matdid, materiali didattici di italiano per stranieri a cura di Roberto Tartaglione e Giulia Grassi, Scuola d'Italiano Roma |
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In una serie di poesie medievali il protagonista è un uccello che vola via lasciando una donna sola e in lacrime. Si pensa che l'uccello - uno sparviero in età cortese e feudale o anche un usignolo che fugge dalla gabbia in età comunale - simboleggi un amante che abbandona la sua amata per un'altra donna. Secondo qualche critico, inoltre, l'uccello e la gabbia sono chiari simboli sessuali. Abbiamo finalmente capito perché nell'opuscolo su sesso e amore fatto per gli studenti si parla di uccelli: è un modo di parlare di letteratura mentre si spiegano i misteri della sessualità e dei sentimenti. Bene... Solo, non capiamo perché gli uccelli sono brasiliani. Forse che non esistono uccelli italici adatti |
allo scopo? Si vede che non
sono stati interpellati gli esponenti della Lega Nord: sicuramente i
leghisti avrebbero saputo indicare qualche uccello padano da utilizzare
come esempio nell'opuscolo. Ich zôch mir einen valken mêre danne ein jâr di Sire di Kürenberc (metà XII secolo) Ich zôch mir einen valken mêre danne ein jâr, dô ich in gezamete als ich in wolte hân und ich im sîn gevidere mit golde wol bewant, er huop sich ûf vil hôhe und fluog in anderiu lant. Sît sach ich den valken schône fliegen: er fuorte an sînen fuoze sîdîne riemen, und was im sîn gevidere alrôt guldîn, got sende si zesamene die gerne geliep wellen sîn. |
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Allevai un falco per più di un
anno e riuscii ad ammaestrarlo proprio come lo volevo avere; e al falco ornai le penne con l'oro. Ma lui si alzò e volò in un'altra terra. Rividi il falco che volava bellamente: portava alle zampe geti di seta e aveva le sue penne tutte rosse d'oro. Dio riunisca gli amanti che vogliono stare assieme. |
Tapina ahimé, ch'amava uno
sparvero (Anonimo, XIII secolo) Tapina ahimé, ch'amava uno sparvero: amaval tanto ch'io me ne moria; a lo richiamo ben m'era manero, e dunque pascer troppo nol dovia. Or è montato e salito sì altero, assai più alto che far non solìa ed è assiso dentro a uno verzero: un'altra donna lo tene in balìa. Isparvero mio, ch'io t'avea nodrito, sonaglio d'oro ti facea portare perché dell'uc(c)ellar fosse più ardito: or se' salito sì come lo mare, ed ha' rotto li geti e se' fuggito, quando eri fermo nel tuo uc(c)ellare. |
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Povera me, che amavo uno sparviero: lo amavo così tanto che quasi ne morivo; al mio richiamo era obbediente e per questo non dovevo curarlo troppo Ora è volato via e salito così in alto assai più in alto di quel che era solito fare, e s'è sistemato dentro a un giardino un'altra donna lo tiene in suo potere |
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Per concludere, una brevissima poesia giapponese piena di doppi sensi scritta sul ventaglio del protagonista di una delle xilografie di Kitagawa Utamaro (1754-1806). La stampa raffigura l'interno di un bordello: in una sala al piano superiore, aperta su un giardino, una coppia sta per fare l'amore. Si tratta del primo foglio dell'album di 12 scene erotiche "Il canto del guanciale" (Utamakura), prodotto nel 1788 da Tsutaya Juzaburo, il più raffinato editore del tempo. |
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Il becco intrappolato in una conchiglia, il beccaccino non se ne può volare via, una sera d'autunno. |
La segnalazione ci è pervenuta dalla dott.ssa Pisana Grossi, che qui ringraziamo per aver messo a nostra disposizione la sua competenza sugli uccelli del Giappone. |