ATTENZIONE
ATTENZIONE ATTENZIONE
Questo materiale
riproduce in modo sistematico quello che si può fare (certo, non quello che
si "deve" fare!) in una classe
beginner di adulti il primo giorno di lezione, senza mai usare la lingua degli
studenti e dando agli studenti le chiavi per ampliare progressivamente
lessico, strutture e capacità comunicative in modo corretto.
01
TUTTO
ORALMENTE |
Questo procedimento può funzionare bene
(solo) se fatto
oralmente: i vari passi, le varie domande e risposte,
tutto deve essere fatto
parlando, con gli occhi dell’insegnante
rivolti agli studenti e quelli degli studenti rivolti
all’insegnante. Molto meglio se gli studenti non
usano per niente carta e penna, se non hanno fogli o
fotocopie a cui chiedere aiuto, ma come supporto solo la lavagna su
cui l’insegnante scriverà (a stampatello e in modo
perfettamente leggibile) quello che ritiene utile.
Dare
agli studenti le fotocopie di
questo
materiale
all'inizio della lezione
NE CANCELLA
INEVITABILMENTE L'UTILITÀ.
Eventualmente si
possono dare ALLA FINE della lezione per il ripasso a casa. |
02
PROGRESSIONE |
L’utilità del materiale è nel
procedimento, nella progressione. Se invece di gatto,
naso o scarpa si preferisce usare qualche parola
riferita a oggetti cosiddetti hic et nunc, cioè presenti in classe (penna, quaderno
o bottiglia) non cambia evidentemente nulla, purché i
sostantivi utilizzati siano sempre in –o e in –a e
facilmente riconoscibili, identificabili, comprensibili.
Ovviamente da evitare sono i nomi in –e (verranno subito dopo) e
le parole astratte (non è il momento).
Per “procedimento”
intendiamo i seguenti passaggi che, nel materiale di
partenza, sono corredati di suggerimenti e di esercizzi per
la automatizzazione:
1 |
Come ti chiami? - Io mi chiamo… |
2 |
Come si chiama questo in italiano? - Questo
si chiama… |
3 |
Come si dice? - Si dice… |
4 |
E’ maschile? - Sì, è maschile perché finisce
con –o |
5 |
E’ un …? - No sono due … |
6 |
Di che colore è/sono? – È rosso, sono rossi |
7 |
Di che nazionalità è/sono? - È italiano, sono
italiani
|
|
03
FRASI CHIAVE E RISPOSTA VINCENTE |
Seguendo lo schema
in modo rigoroso non ci sarà mai bisogno di usare lingue
diverse dall’italiano. Parole straniere possono naturalmente
comparire nelle formule legate all’espressione “come si
dice?” (“Come si dice book in italiano?” può chiedere
uno studente. “Book in italiano si dice libro” può
rispondere l’insegnante).
Tutte le conversazioni illustrate propongono quindi “frasi
chiave” alle quali è bene attenersi senza digressioni. Solo
due “frasi chiave” non sono riportate nei testi ma sarà bene
comunque “darle” agli studenti, magari scrivendole sulla
lavagna. Si tratta di:
Sono frasi che
permettono agli studenti di “uscire vincenti” anche da una
situazione di svantaggio (non so come si chiama questo in
italiano, non riesco a capire quello che ha detto
l’insegnante).
Se il procedimento viene seguito con cura nessuno studente
resterà mai deluso dalla propria capacità di apprendimento.
La non-conoscenza di una parola sarà risolta da una frase
come “Come si dice in /mia lingua/?” o anche da un “Non lo
so”.
L’insegnante farà in modo comunque che sulla lavagna siano
scritte sempre le parole importanti in modo che non sia
necessario stare a combattere con
problemi di memoria. Non si tratta infatti di memorizzare
libro, tavolo o sedia ma di automatizzare strutture
espressive.
Se uno studente non risponde correttamente l’insegnante non
deve chiedersi dove sbaglia lo studente: deve chiedersi
invece dove ha sbagliato
lui stesso. Ogni errore dello studente è in realtà un errore
dell’insegnante. Le risposte devono essere sempre
"vincenti". |
04
SEMPRE IN ITALIANO |
Si
è detto che seguendo lo schema in modo rigoroso non
ci sarà mai bisogno di usare lingue diverse dall’italiano:
non si parla però di un marziale “divieto di usare lingue straniere in
classe”. Piuttosto che “avvitarsi” in discutibili esibizioni
mimiche o di perdere inutilmente tempo davanti a un avverbio
di cui gli studenti chiedono spiegazione, mille volte
meglio la traduzione. Il “buon insegnante” dovrebbe però in questi casi
domandarsi dove non ha funzionato il suo modo di procedere:
se la progressione viene infatti seguita in modo corretto
NON dovrebbe mai crearsi una situazione del genere.
Quindi diciamo: lo studente ha le chiavi per non usare mai
lingue diverse dall’italiano. L’insegnante può farlo in caso
di necessità, ma quel “caso di necessità” è sintomo di qualche
imprecisione procedurale. |
05 IL TU E IL LEI |
In questo materiale si è scelto di
usare l'allocutivo TU con gli studenti. Nulla vieta di usare
il LEI.
La scelta del TU è qui determinata dal fatto che abbiamo
voluto semplificare al massimo le cose.
La seconda persona
del presente indicativo infatti è più semplice perché in
tutti i verbi ha sempre la terminazione -i. Usando il LEI di
cortesia troviamo invece casi dove la terminazione è -a (lei
canta, lei parla, lei cammina) e altre dove la terminazione
è -e (lei scrive, lei dorme, lei vede). Poco male, perché per
il momento è tutta automazione e quindi una forma o l'altra
vengono comunque acquisite senza particolari riflessioni.
Tuttavia nelle lezioni successive la scelta della forma di
cortesia potrebbe provocare qualche (piccola e
superabilissima) complicazione in più che per il momento
ci sembra opportuno evitare. |
06
POSTURA
|
Ogni
lezione, ogni classe, ogni insegnante ha ovviamente una sua
individualissima personalità irripetibile. Impossibile
quindi sostenere “atteggiamenti” validi in ogni situazione.
Tuttavia questa fase di insegnamento (se non in tutti,
almeno nella stragrande maggioranza dei casi) prevede che
l’insegnante sia sempre in piedi e mai seduto, sia
possibilmente sempre “in movimento” e quindi costringa gli
studenti a seguirlo con gli occhi (il movimento del collo
per seguire i movimenti dell'insegnante è anche un ottimo
antidoto a eventuali tendenze anestetiche). Le domande, fatte a ritmo
sostenuto, ripetute ma imprevedibili riguardo al
destinatario, vanno poste agli
studenti in modo serrato: è buona norma porle prima a chi
prevedibilmente risponderà subito in modo adeguato e poi a
chi, prevedibilmente, potrebbe avere più difficoltà. Evitare
di fare domande agli studenti seguendo l’ordine
in cui sono disposti in classe: se nessuno sa quando “toccherà
a lui”, nessuno potrà distrarsi o perdere la
concentrazione aspettando il proprio turno.
Evitiamo comunque di creare tempi morti e imbarazzanti
silenzi: se uno studente esita molto prima di dare una
risposta bisognerà trovare qualche soluzione, soprattutto se
quel silenzio mostra uno stato di frustrazione o di
imbarazzo (chi di noi non ricorda quelle terribili
situazioni scolastiche in cui il professore faceva una
domanda, noi non sapevamo rispondere e lui continuava a
guardarci gelido, in silenzio, per lunghissimi secondi, come
aspettando una risposta che sapeva benissimo non sarebbe mai
arrivata?). |
07
INSEGNARE A IMPARARE |
Che reazioni possono avere gli studenti
davanti a una lezione impostata così?
La reazione più
normale è quella di credere che si debbano "imparare a
memoria parole":
borsa, cappello, gatto, tavolo. Del resto gran parte
delle domande è del tipo "come si chiama questo, come si
dice questo?". E di solito leggiamo negli occhi dei
principianti quasi l'angoscia per la memoria messa alla
prova: "Me l'ha detto due minuti fa che questo si chiama
tavolo e adesso non me lo ricordo!".
Ecco: va bene anche se gli studenti pensano questo. Ma è
importante che noi sappiamo che non è questo il
punto. Le parole borsa, cappello, tavolo o sedia
possono essere scritte sulla lavagna e quando il
principiante deve dirle possiamo benissimo indicargliele col
dito (e così superiamo l'angoscia). Quello che noi insegnamo è una struttura: "Questo in
italiano si chiama tavolo", "Hat in italiano si dice
cappello". Bisogna insomma insegnare a imparare, a imparare
formule nel modo più corretto possibile perché in questa
fase in cui si acquisiscono i primi automatismi gli errori
che si consolidano sono quelli che più difficilmente si
riusciranno a estirpare in futuro. |
OBIEZIONE 1
Nella lingua parlata "come ti
chiami?" non è l'unico modo per chiedere il nome di una
persona. E a questa domanda si danno risposte diverse: mi chiamo,
io mi chiamo, il mio nome è, oppure si risponde
semplicemente dicendo il nome. Pretendere la risposta io
mi chiamo... è falsare l’autenticità della lingua |
A parte le lunghe considerazioni che
potremmo fare sulla “lingua autentica” (noi preferiamo
eventualmente parlare di lingua “autoriale”, ma non è questo
il momento di dilungarci sull’argomento), la risposta io
mi chiamo è quella preferibile perché:
a) è certamente corretta
b) abitua gli studenti a rispondere utilizzando in
parte gli elementi della domanda (e specialmente nelle prime
lezioni il compito dell’insegnante non è tanto quello di
insegnare la lingua ma quello di insegnare a imparare una
lingua, come abbiamo detto)
c) Il verbo chiamarsi è il più frequente per “dare un
nome” alle cose: io mi chiamo, questo si chiama, come si
chiama ecc.
Fra l’altro si introduce l’abitudine a non farsi troppe
domande: non parliamo di verbi riflessivi, non alludiamo
alle coniugazioni: mi chiamo serve a dire il mio
nome, ti chiami serve a chiedere il tuo nome, si
chiama serve a dire il nome di qualcuno o qualcosa.
Questo qualcuno o qualcosa è un lui/lei
(se si tratta di persona) o un questo/questa
(se si tratta di cosa). Non c’è altro.
d) questa è una lezione di italiano, non il remake di un
film neorealista. Se scegliamo formule espressive non
necessariamente identiche a quelle pronunciate in un bar non
è un reato: nessun cantante lirico durante un'opera
gorgeggia come fa nei suoi esercizi di preparazione. E nello
stesso tempo non si prepara a eseguire l'opera cantando
immediatamente "Casta diva".
|
OBIEZIONE 2
Tavolo è maschile perché finisce con
–o!
Sedia è femminile perché finisce con –a!
Si tratta di frasi scandalosamente
grammaticali, si tratta di metalingua: la frequenza d’uso è
bassa, le formulazione di questi enunciati è contronatura e
per giunta lo schema grammaticale (-o -a -i -e) precede la
proposta di materiali da cui gli studenti potrebbero intuire
la regola. |
Suona davvero paradossale che proprio chi sostiene la necessità di
insegnare la lingua viva e autentica sia poi propenso a
sollevare obiezioni di questo genere. Infatti:
a) Che cosa c'è di più autentico e vivo che parlare della lingua
il primo giorno di lezione di lingua in una classe di
lingua? Forse è più autentico fare le presentazioni e
sentirsi dire da una persona che è di una certa nazionalità,
di una certa città, che fa l'mpiegato e che ha due figli?
Quasi ce ne importasse qualcosa?
b) Da quando si è definitivamente appurato che la
grammatica non è assolutamente un elemento determinante
nell'acquisizione di una lingua,
l'ossessione grammaticale
degli antigrammaticalisti è a volte paradossale: tavolo è maschile perché finisce con -o
è una frase estremamente collegata al contesto-classe, è una
struttura di altissima utilità, introduce il fatto che in
italiano la stessa parola "perché" si usa nelle domande e
anche nelle risposte, introduce il verbo finire che,
per la sua diffusione internazionale è comprensibile ai più,
abitua l'orecchio ai verbi in -isco che sono molto più
frequenti dei normali verbi in -ire cosiddetti
regolari, trasmette l'idea che esistono reggenze verbali (finisce
con) sollecitando l'attenzione sul fatto che
determinati verbi si costruiscono con determinate
preposizioni (cosa che in futuro ci tornerà molto utile!),
maschera tutto questo con l'illusoria convinzione che
l'insegnante voglia sapere se lo studente ha capito che i nomi in -o
si chiamano maschili e quelli in -a si chiamano
femminili.
Diciamoci la verità: uno studente medio capisce
che i nomi in -o si chiamano maschili e
quelli in -a si chiamano femminili un minuto dopo che
l'insegnante gliel'ha detto. E del resto se invece che
maschili e femminili li chiamassimo bianchi e neri, alti e
bassi, oppure grassi e magri andrebbe benissimo lo stesso.
Il punto è esercitarsi a parlare, a parlare correttamente,
con frasi "sempre vincenti" (ripetendo queste frasi mille
volte durante la lezione nessuno si sente "meno adeguato"
degli altri) e con la opportuna correttezza: rifiutiamo la
risposta "tavolo-maschile-o" perché sappiamo benissimo che
lo studente ha capito (ci mancherebbe!), ma vogliamo che
sappia dire in italiano quello che
ha capito. Il linguaggio da ET-telefono-casa non è il
nostro obiettivo.
c) Che le strutture possano essere acquisite dagli studenti
attraverso il diretto confronto col materiale didattico è
utile e certamente consigliabile in numerosi casi. Noi
stessi qui lasciamo all' "intuito" degli studenti la
decodificazione di frasi come "finisce con" e "si dice";
addirittura non ci sono particolari spiegazioni delle forme
del verbo essere è/sono. Ma
giocare con l'intuizione del genere dei sostantivi in -o
(maschili) e in -a (femminili) per il puro piacere di non
dare preventivamente uno schema facilissimo, sarebbe come
chiedere a un amico di venirci a trovare dicendogli il nome
della strada dove abitiamo e non il numero civico. Tanto se
bussa a tutte le porte prima o poi ci troverà.
Se si vuole chiamarla metalingua o retaggio di sistemi
grammatical traduttivi condannati dalla storia si può farlo. Ma chi non sa staccarsi
dall'ossessione grammaticale è proprio chi fa questa
obiezione, non chi dice che "tavolo è maschile perché finisce
con -o"!
|
OBIEZIONE 3
Il gioco è ripetitivo, quasi
berlitziano. La classe si annoia se ripeto cento volte lo
stesso schema. |
Non esiste una classe che si annoia ma solo un insegnante
che è noioso. |
OBIEZIONE 4
Una lezione del genere trascura
l'elemento culturale: le lingue rispecchiano la cultura del
luogo in cui sono parlate e in questo primo approccio
all'italiano non c'è nessun riferimento alle caratteristiche
proprie dei nativi. |
Sostenevamo che la dimensione culturale nell'insegnamento
dell'italiano è un elemento fondamentale per la sua
didattica quando i nostri obiettori ancora combattevano con
i complementi di causa efficiente.
Ritenere però che la nostra cultura "vada insegnata" in un corso
di lingua così come si insegna a un gatto a fare i propri
bisognini nella lettiera è quanto di più anticulturale (e
perfino di antiitaliano, direi!) possa
pensarsi.
Siamo in una "prima lezione". Come insegnanti ci
poniamo in
primo luogo il problema di:
- insegnare qualcosa che riteniamo utile
- guadagnarci la fiducia degli studenti
- creare una dinamica comunitaria nella classe
Per raggiungere questi tre obiettivi c'è una sola
possibilità: comunicare con gli studenti.
Ma parliamo del
"comunicare" vero, e cioè di "mettere in comune" con la
classe qualcosa; non parliamo dell'insulso chiacchiericcio
che troppo spesso viene definito "comunicazione". Questo qualcosa
da mettere in comune è
noi stessi, il nostro ruolo, la nostra personalità, la
nostra cultura.
(Bizzarro effettivamente che si parli di corsi di lingua che
permettono di "raggiungere la comunicazione". La
comunicazione è un presupposto, non un fine! Se non comunico
fin da subito, difficilmente i miei studenti impareranno
l'italiano).
I miei studenti vedono in me una persona che si muove in un
certo modo, che parla con una certa musicalità e un
determinato timbro di voce, che è vestita in un certo modo,
che ha un preciso sguardo. Su questo si basa la prima forma
di comunicazione e su questo vale la pena giocarsi le prime
carte: gli studenti diranno "mi piace/non mi piace" prima di
tutto per questi elementi di comunicazione.
Elementi che, pur non andando "contro" la mia personalità,
come insegnante posso almeno in parte manipolare e comunque
non lasciare al caso.
Non è casuale il mio vestito: qualunque esso sia, dal
formale più serioso allo sportivo più alternativo è questa
la prima immagine della mia comunicazione. Non sarà casuale
il mio volume di voce sempre abbastanza alto da non
costringere chi è seduto lontano a sforzare più il
talento uditivo che quello linguistico. E soprattutto non sarà
lasciato al caso il mio comportamento in chiave
interculturale: sappiamo che nella cultura dei nostri
studenti un professore non è mai autorizzato ad avvicinarsi
troppo allo studente e ancor meno a mettergli una mano solla
spalla? Bene, sarà nostra scelta se adeguarci alla cultura
dello studente (magari mostrando furbescamente la nostra
"competenza interculturale") oppure in modo fintamente ingenuo e
sempre estremamente moderato trasgredire la sua "norma
culturale" sorprendendolo con un comportamento o un gesto
per lui inconsueto.
In questa fase non "facciamo lezioni di cultura":
siamo
modelli culturali.
Mal digerite teorie sulla "centralità dello studente" hanno
emarginato a tal punto il ruolo dell'insegnante come
elemento attivo della lezione che quasi ci si dimentica che in
qualunque tipo di "educazione" il modello proposto supera di
gran lunga ogni enunciazione teorica o descrittiva.
L'insegnante può porsi alla classe come "stereotipo
dell'italianità" (sono italiano e quindi canto canzoni
d'amore, mangio gli spaghetti e tifo per una certa squadra);
può porsi come anti-stereotipo (sono italiano ma non è vero
che "noi" siamo in un certo modo: sono stonato come una
campana, detesto il calcio e quanto al mangiare sono
vegano!). O posso, con controllo, romanzare la mia
personalità individuale (canto bene ma non mangio pasta e il
calcio mi interessa solo un po'). Ma in qualunque caso
questo mio "pormi" davanti alla classe sarà il primo
elemento culturale che impatterà con gli studenti.
E specialmente nella prima lezione questo è fondamentale:
come nella vita "reale" gli elementi e le impressioni
delle "prime esperienze" restano particolarmente
impressi. Su questo ci giochiamo gran parte del futuro
(didattico).
(Prime esperienze culturali che colpiscono: come quella
giovane studentessa olandese che il primo giorno a Roma,
a causa di un terribile male al braccio, è andata a farsi
visitare da un dottore e il giorno dopo mi ha detto: "Come
siete espansivi voi italiani: dopo la visita il dottore mi
ha salutato con due baci sulle guance. In Olanda non fanno
così!")
|
OBIEZIONE 5
Il procedimento è estremamente
rigido: non ci sono nemmeno le formule di saluto
(buongiorno, ciao ecc.) |
Il procedimento è rigido, d'accordo. Ma non abbiamo scritto
da nessuna parte che non si possa o debba dire "buongiorno" agli
studenti quando si arriva, stringere la mano alle persone
quando si dice "io mi chiamo...", dire "arrivederci" quando
si va via. Certo: non abbiamo concepito la prima lezione
come una lezione sulle presentazioni. Ma (e basta leggere
quanto scritto nel paragrafo "obiezione 4") nessuno ha
proposto di cancellare elementi culturali e perfino di buona
educazione.
La comunicazione (quella vera!) è fatta di mille dettagli
non linguistici (gestualità ecc.) e di mille dettagli
linguistici non direttamente connessi al linguaggio
referenziale: l'uso di interiezioni (eh, eh?, ah!, ehi,
eheh ecc.) e di segnali discorsivi (allora...),
così come quello dei saluti o delle normali formule di
convivenza, non è certo sconsigliato.
La rigidità del procedimento, eventualmente sta nella
selezione del lessico (nomi in -o e nomi in -a), non tanto
per rispettare chissà quale teorema grammaticale, ma solo
per evitare domande inopportune da parte di studenti che
potrebbero chiedesi perché cane, con quella
terminazione in -e, non sia un plurale (femminile). E
perfino se si decidesse di non rispettare la nostra rigida
progressione non ci sarebbe nessuna catastrofe. Noi
consigliamo questa solo per "ottimizzare" i tempi. |
|
|
OBIEZIONE 6
I miei studenti sono di lingua
neolatina: queste cose le capiscono in due minuti. Oppure: i
miei studenti sono di lingue molto diverse dall'italiano:
questo materiale non è sufficiente. |
Se si desse retta a tutti coloro i quali dicono "Tu non sai come
sono i miei studenti!", bisognerebbe elaborare materiali
didattici personalizzati per ciascuno studente non solo in
base a nazionalità
e età (il nostro materiale è comunque per studenti dai 16/17 anni
in su), ma anche per titolo di studio, interessi culturali, numero di
lingue straniere conosciute, sesso, religione, e perfino umore
quotidiano.
Non abbiamo parlato di "tempi" per l'utilizzazione di questo
materiale proprio perché, a seconda della tipologia di
studenti in classe, possono essere molto diversi. Ma il
problema non è stabilire che "con gli spagnoli questo
procedimento deve occupare 30 minuti di lezione e con
i giapponesi quattro ore". Il problema è che l'insegnante deve
valutare (e solo lui può farlo) quando gli elementi che
si vogliono insegnare sono davvero fissati ed acquisiti (si
badi che non abbiamo detto "capiti").
Compito per niente semplice! Proprio perché se una classe è
fatta di spagnoli un (cattivo) insegnante può essere portato
a trascurare la correttezza formale degli enunciati
(chiaro che uno spagnolo capisce tutte queste frasi in un
battibaleno): da questa fase didattica, invece, anche lo spagnolo
potrà uscire solo quando la formula io mi chiamo o
si dice è realmente automatizzata. Se dopo trenta minuti
ancora dice "*io mi chiama" o
"*se dice" significa che ancora
non ci siamo.
Allo stesso modo un (cattivo) insegnante può essere portato
a sottovalutare l'acquisizione di strutture da parte di
studenti con lingua di partenza distante dall'italiano
(chiaro che un giapponese avrà più difficoltà a memorizzare
queste formule). Tuttavia se dopo un paio di ore uno
studente giapponese non è ancora arrivato alla perfetta
automatizzazione e memorizzazione delle formule in questione
ma ha comunque acquisito una discreta autonomia espressiva, potremo comunque
dichiararci soddisfatti e andare oltre.
Nonostante negli ultimi anni il ruolo dell'insegnante tenda
ad essere sempre più marginalizzato (addestratore,
esercitatore, controllore della flipped classroom e altre
orripilanti cose di questo genere) ringraziando il dio dei
glottodidatti esistono scelte e decisioni di chi insegna che
ancora non possono essere sostituite da un software
informatico o dalla valutazione numerica scaturita da un
test: fra queste scelte c'è il riconoscimento della reale
acquisizione e la valutazione del momento in cui "andare
oltre" che non necessariamente deve coincidere,
appunto, con quello
della reale acquisizione.
Questa procedura dunque, in una classe di veri "principianti
assoluti", dura di solito da trenta minuti a due ore. E tuttavia
anche questa scansione temporale può essere violata senza
remore. |
OBIEZIONE 7
I miei studenti, se parli solo
italiano, reagiscono male: hanno bisogno di rilassarsi ogni
tanto, di parlare la propria lingua con l'insegnante, almeno
per fare delle domande che in italiano non sono in
condizione di fare. |
Non vediamo proprio il motivo per cui gli studenti debbano
fare delle domande in questa lezione. Se hanno problemi di
carattere organizzativo o amministrativo possono rivolgersi
in segreteria. Se hanno domande su questioni linguistiche
non relative alla prima lezione è ottima cosa che non le
sappiano formulare perché rispondere a quelle domande
sarebbe solo una pardita di tempo. Se hanno domande relative
alla lezione (che non siano esprimibili attraverso "come si
dice, come si chiama?") significa che l'insegnante ha fatto
qualche "errore" e quindi è bene che non le facciano perché
potrebbero svelare la nostra manchevolezza. |
SUGGERIMENTO
1: la lavagna che ci piace |
La lavagna ci piace fintamente
disordinata: tutto è scritto a stampatello, con caratteri ben
leggibili. Ma le parole non sono in ordine come in una pagina di
libro o in uno schema di appunti. Lo studente, mentre parla o
risponde alle domande dell'insegnante, non dovrà mai avere problemi
di comunicazione per la "mancanza" di una parola. Non è importante
se non ricorda il sostantivo casa o libro. Potrà
sempre trovarlo sulla lavagna. Ma dovrà un po' cercarselo, saperlo
scegliere fra altre parole.
SUGGERIMENTO
2: la lavagna che non ci piace |
La lavagna che non ci piace è troppo
ordinata. Questa nell'immagine poi ha parole scritte in corsivo,
cioè con caratteri meno leggibili. Nello stesso tempo quell'ordine
che sembra imitare una pagina stampata rende la sua consultazione
simile a quella di un libro o di un dizionario. Insomma non è più un
punto di appoggio per completare qualche enunciato orale ma un
normale testo di studio, da leggere senza sforzo e magari da
imparare a memoria.
SUGGERIMENTO
3: la classe che ci piace |
Nella classe che ci piace gli studenti
possono guardarsi in faccia fra loro.
SUGGERIMENTO
4: la classe che non ci piace |
Nella classe che non ci piace
tutti gli studenti sono rivolti verso l'insegnante ma fra loro si
danno le spalle
SUGGERIMENTO
5: altre parole che capiscono (quasi) tutti |
aereo |
cristiano |
minuto |
pizza |
banca |
espresso |
musica |
scuola |
benzina |
festa |
numero |
sigaretta |
cappuccino |
fotografia |
palazzo |
stato |
cioccolata |
mafia |
passaporto |
telefono |
cornetto |
mamma |
pasta |
vino |
SUGGERIMENTO
6: un libro di grammatica e un libro sul lessico che ci
piacciono (... naturalmente) |
SUGGERIMENTO 5:
una scuola che ci piace (...naturalmente) |
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