Matdid, materiali didattici di italiano per stranieri a cura di Roberto Tartaglione e Giulia Grassi, Scuola d'Italiano Roma

 
 

Giulia Grassi  

 

I TESTI DI TACITO
E SVETONIO

  

 

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"SMANIOSO DI COSE IMPOSSIBILI" 


 
                                                        LA MORTE DI NERONE 

[...] ognuno dei suoi compagni, a turno, lo invitava a sottrarsi senza indugio agli oltraggi che lo attendevano, [...] A ognuno di questi preparativi piangeva e ripeteva continuamente: "Quale artista muore con me!". [...] Intanto ora invitava Sporo a cominciare i lamenti e i pianti, ora supplicava che qualcuno lo incoraggiasse a darsi la morte con il suo esempio; qualche volta rimproverava la propria neghittità con queste parole: "La mia vita è ignobile, disonorante - Non è degna di Nerone, non è proprio degna - Bisogna avere coraggio in questi frangenti - Su, svegliati!".
Ormai si stavano avvicinando i cavalieri ai quali era stato raccomandato di condurlo vivo. Quando li sentì esclamò tremando: "Il galoppo dei cavalli dai piedi rapidi ferisce i miei orecchi". Poi si affondò la spada nella gola con l'aiuto di Epafrodito suo segretario. Respirava ancora quando un centurione arrivò precipitosamente e, fingendo di essere venuto in suo aiuto, applicò il suo mantello alla ferita; Nerone gli disse soltanto: "È troppo tardi!" e aggiunse "Questa è fedeltà!". E così dicendo morì, e i suoi occhi sporgendo dalla testa assunsero una tale fissità da ispirare orrore e terrore in coloro che li vedevano. (Svetonio, Le vite dei dodici Cesari, libro VI, capp.50-51)

Morì nel suo trentaduesimo anno d'età, il giorno stesso in cui, un tempo, aveva fatto morire Ottavia e la pubblica esultanza fu così grande che i plebei corsero per tutta la città coi berretti di feltro sulla testa. (Svetonio, Le vite dei dodici Cesari, libro VI, cap.57)
 

Charles Laughton è Nerone nel film "Il segno della croce", di C. de Mille (1932). L'attore  dichiarò di essersi ispirato a Mussolini per caratterizzare l'imperatore

 

                                                             LA CRUDELTÀ  

Oltre ad Ottavia,
[Nerone] ebbe altre due mogli: prima Poppea Sabina, [...] sposata in precedenza ad un cavaliere romano, poi Statilia Messalina [...]. Per poter sposare quest'ultima fece uccidere suo marito Attico Vestino perfino mentre esercitava il consolato. Si stancò subito di Ottavia, [...] In seguito, avendo tentato più volte, senza riuscirci, di farla strangolare, la ripudiò con il pretesto della sterilità, ma poiché il popolo disapprovava il suo divorzio e non gli risparmiava le sue invettive, la relegò ed infine la fece mettere a morte, sotto l'imputazione di adulterio: [...] Nerone sposò poi Poppea, che amò più di tutto, e tuttavia uccise anche lei con un calcio perché, incinta e malata, lo aveva rimproverato aspramente una sera che era rincasato tardi da una corsa di carri. [...] Non vi è nessuna categoria di parenti che fosse al riparo dai suoi delitti. [...] tra gli altri abusò del giovane Aulo Plauzio, prima di mandarlo a morte, poi gli disse: "Venga subito mia madre e baci il mio successore", per far capire che Agrippina lo aveva amato e lo aveva spinto a sperare di impossessarsi dell'Impero. [...] Costrinse il suo precettore Seneca a suicidarsi, benché gli avesse solennemente giurato [...] che avrebbe potuto morire, piuttosto che fargli del male. (Svetonio, Le vite dei dodici Cesari, libro VI, cap.35)


                                                      LA MORTE DI PETRONIO  

Caio Petronio [...] fu ammesso tra i pochi intimi di Nerone, per il quale divenne arbitro di buon gusto, tanto che nulla trovava, nel fasto che lo circondava, elegante e raffinato se non quanto incontrava l'approvazione di Petronio. Di qui il livore di Tigellino, che [...] denuncia Petronio
[...] togliendo all'accusato ogni possibilità di difesa. [...] egli non sopportò l'idea di starsene più a lungo sospeso fra il timore e la speranza. Tuttavia non si tolse la vita con precipitazione ma, secondo il suo capriccio, si fece tagliare le vene, poi richiudere, poi aprire di nuovo, mentre conversava con gli amici, non già su argomenti austeri o tali che gli procurassero fama di grande fermezza; né dagli amici egli voleva sentire nulla che trattasse dell'immortalità dell'anima o delle massime dei filosofi; ma solo poesie leggere e versi scherzosi. [...] si mise a tavola e si abbandonò al sonno, affinché la morte, sebbene imposta, sembrasse fortuita. Nelle disposizioni testamentarie [...] descrisse accuratamente la vita scandalosa del principe [Nerone] citando con i loro nomi giovani corrotti e donne di malaffare e, per filo e per segno, l'enormità di ogni dissolutezza del principe; quindi postovi il sigillo, mandò ogni cosa a Nerone. Spezzò poi l'anello del sigillo, perché non dovesse più tardi servire a provare altre vittime. (Tacito, Gli annali, libro XVI, capp.18-19)


                                                             LA VITA "SFRENATA" 

La sua impudenza, la sua libidine, la sua lussuria, la sua cupidigia e la sua crudeltà si manifestarono da principio gradualmente e in forma clandestina, come una follia di gioventù, ma anche allora nessuno ebbe dubbi che si trattasse di vizi di natura e non dovuti all'età.Dopo il crepuscolo, calzato un berretto o un parrucchino
[Nerone] penetrava nelle taverne, vagabondava per i diversi quartieri facendo follie [...] che consistevano, generalmente, nel picchiare la gente che ritornava da cena, nel ferirla e immergerla nelle fogne se opponeva resistenza, come pure rompere e scardinare le porte delle botteghe: [...] Qualche volta, anche durante il giorno, si faceva portare segretamente a teatro in lettiga e dall'alto del proscenio assisteva alle dispute che scoppiavano intorno ai pantomimi e ne dava anche il segnale. Un giorno che si era venuti alle mani e si battagliava a colpi di pietra e di pezzi di sgabelli, anche lui gettò sulla folla un bel po' di proiettili e perfino ferì gravemente un pretore alla testa.
Ma a poco a poco, ingigantendosi i suoi vizi, rinunciò alle scappatelle e ai misteri, e senza preoccuparsi di nasconderli, si gettò apertamente nei più grandi eccessi. Faceva durare i suoi banchetti da mezzogiorno a mezzanotte, ristorato assai spesso da bagni caldi o, durante l'estate, freddi come la neve. Arrivava anche a cenare in pubblico [...] e si faceva servire da tutti i cortigiani e da tutte le baiadere di Roma. Ogni volta che discendeva il Tevere per portarsi a Ostia [...] si istallavano di tanto in tanto sulle coste e sulle rive alcune taverne nelle quali si potevano vedere donne di facili costumi, trasformate in ostesse, che lo invitavano ad approdare. (Svetonio, Le vite dei dodici Cesari, libro VI, capp.26-27)

Una scena del film "Quo Vadis?", di Mervyn Le Roy (1951): Lycia/Deborah Kerr  assiste ad un'orgia nel palazzo di Nerone

 

                                                         LE COLPE DEI CRISTIANI 

Ma nessun mezzo umano, né largizioni del principe o sacre cerimonie espiatorie riuscivano a sfatare la tremenda diceria per cui si credeva che l'incendio
[della città] fosse stato comandato. Per far cessare dunque queste voci, Nerone inventò dei colpevoli e punì con i più raffinati tormenti coloro che, odiati per le loro nefande azioni, il volgo chiamava Cristiani. Il nome derivava da Cristo, il quale, sotto l'imperatore Tiberio, era stato condannato al supplizio dal procuratore Ponzio Pilato [...] Ordunque, prima furono arrestati tutti quelli che confessavano la loro fede; poi, dietro indicazioni di questi, una grande moltitudine di gente fu ritenuta colpevole non tanto del delitto di incendio quanto di odio contro l'umanità. E non bastò farli morire, ché fu aggiunto anche lo scherno; sicché, coperti da pelli di fiera, morivano straziati dal morso dei cani o venivano crocifissi o dovevano essere dati alle fiamme perché, quando la luce del giorno veniva meno, illuminassero la notte come torce. Per questo spettacolo Nerone aveva offerto i suoi giardini, intanto che dava un gioco circense, mescolandosi al popolino vestito da auriga e partecipando alla corsa ritto su un cocchio. Per questo, sebbene essi fossero colpevoli e meritassero le punizioni più gravi, sorgeva verso di loro un moto di compassione, sembrando che venissero immolati non già per il pubblico bene, ma perché avesse sfogo la crudeltà di uno solo. (Tacito, Gli annali, libro XV, cap.44)


                                                          LA DOMUS AUREA 

Nerone sfruttò la rovina della città [dopo l'incendio del 64] per costruire una residenza in cui facessero gridare al miracolo non tanto le gemme e l'oro, adoperati già da tempo in un lusso ormai banale, quanto i campi e i laghetti e - a imitazione della natura selvaggia - di qua i boschi, di là spazi aperti e vedute panoramiche, secondo il progetto degli architetti Severo e Celere, i quali avevano anche l'ingegno e l'audacia di osare, con l'arte, dilapidando le risorse del principe, ciò che la natura aveva negato (Tacito, Gli annali)