Matdid, materiali didattici di italiano per stranieri a cura di Roberto Tartaglione e Giulia Grassi, Scuola d'Italiano Roma

 
 

Roberto Tartaglione

 
 

ELOGIO DELL'IMPERFEZIONE
 
 

Una nota linguistica sull'uso dell'imperfetto indicativo, il tempo (il modo) più complicato del sistema verbale italiano.
Note di storia dell'arte a cura di Giulia Grassi

  
 

Livello intermedio 1


 

LA  COMPIUTEZZA

 
L’unico  tempo dell’indicativo che  esprime  compiutezza dell’azione è il perfetto che nella terminologia grammaticale italiana corrisponde al passato prossimo e al passato remoto. Naturalmente anche i due trapassati hanno caratteristiche analoghe, ma sono tempi che in qualche modo "dipendono" dal perfetto e quindi dispongono di minore autonomia.
Il passato prossimo è il perfetto che ha maggiore frequenza d’uso nella lingua italiana parlata.

L’aspetto di completezza del passato prossimo - che  esprime normalmente un’azione o un fatto ben determinato nei suoi termini di  inizio e di conclusione - è talmente marcato in  italiano  da provocarne perfino un uso improprio, nel senso che può riferirsi a fatti  presenti e anche futuri purché "compiuti". 
In italiano, ad esempio,  è normale l’espressione ho capito  decisamente più usata di capisco. La spiegazione di  quest’uso (ho capito un secondo fa e non proprio in questo momento) non  può essere collegata all’esigenza
di una  precisa collocazione 

cronologica dell’azione di capire (cioè "ho capito prima")  perché in molti altri casi, il sistema grammaticale italiano si mostra assai più elastico e flessibile.
Ho capito in luogo di capisco si spiega non in chiave temporale quanto in chiave  aspettuale: l’azione di
capire è completa e conclusa
. In pratica dicendo 
ho capito
voglio rendere l'idea che ho capito tutto, 
"ho finito di" capire
e quindi non ho bisogno di ulteriori spiegazioni. Dicendo capisco (cioè sto capendo
inviterei il mio interlocutore ad andare avanti con il suo discorso.

Allo  stesso  modo  il passato prossimo  mostra  una  grande capacità  di sovrapporsi anche al futuro anteriore in frasi  come stasera alle quattro ho finito, oppure uscirai quando hai finito di mangiare, in quanto esprime appunto la completezza di una azione  anche quando è  vista in un momento futuro.

ANTONIO CANOVA, Cenotafio degli ultimi Stuart - particolare del "genio funebre", 1817-1819, marmo (Roma, Basilica di San Pietro in Vaticano)

Le forme perfette del corpo, la morbidezza delle carni, la posa dolente, la luminosa superficie del marmo creano un'immagine di bellezza ideale ed eterna, che sfida il tempo

 
 

LA  DURATIVITÀ

 
Il presente e l’imperfetto indicativo hanno in comune la  caratteristica di esprimere entrambi azioni o situazioni  in corso. Tutti e due si presentano infatti con i caratteri dell’incompletezza:  una incompletezza che appare molto evidente  nel  caso del  presente (proprio perché si riferisce a un’azione colta  nel suo  svolgersi) e  meno evidente forse nel caso  dell’imperfetto, perché parlando  di tempi passati qualunque  azione appare  ovviamente conclusa, specie agli stranieri che non hanno nella loro lingua tempi o modi verbali corrispondenti.

Se dico che oggi è una bella giornata è subito chiaro che sto parlando di qualcosa che non si è ancora esaurito; ma se dico che ieri era una bella giornata ecco che la parola incompletezza non basta più a spiegare l’uso dell’imperfetto, giacché la  giornata di ieri si  è certo conclusa per sempre.

Si può ancora aggiungere che il presente indicativo, oltre al suo  aspetto principale che è  quello di esprimere una  azione  in corso, ha anche aspetti secondari di carattere iterativo (esprime cioè anche una abitudine e una ripetizione e non solo un  fatto occasionale) e serve ancora per esprimere verità e qualità  durature oltre a quelle istantanee. Il presente insomma comprende una vasta serie di possibilità espressive; ma quando trasferiamo in un tempo passato qualcosa che abbiamo espresso al presente abbiamo almeno due possibilità: l’imperfetto  ha  infatti come  al suo fianco il passato prossimo e per questo la sua  scelta richiede maggiori attenzioni e fatiche.
 
 

LA  SITUAZIONE

 
Se la parola incompletezza non è sufficiente per definire  il tempo  imperfetto  (ma  anzi per uno straniero  può  addirittura essere fonte di errore), anche il termine duratività appare  più destinato a specialisti o a madrelingua che a studenti  stranieri: questi ultimi infatti collegano spesso questa parola alla durata dell’azione e finiscono  col privilegiare l’imperfetto per i tempi lunghi e  il passato prossimo per quelli brevi (errore gravissimo).

Il termine situazione contrapposto a fatto pare invece più appropriato  per  introdurre la questione dell’imperfetto,  non tanto  per la sua chiarezza (perché poi si può discutere a lungo sul concetto "filosofico"  di situazione e di fatto), ma perché tende a distinguere tra una funzione temporale e una aspettuale. Nella scelta  fra passato prossimo  e imperfetto, infatti, assai importante è la considerazione se l’azione espressa dal verbo sia avvenuta in un determinato momento e se questo momento possa addirittura avere una certa rilevanza ai fini della narrazione: in questo caso ci  si  indirizzerà verso un passato prossimo. Se invece la determinazione temporale non riveste importanza o non è  identificabile allora é più  probabile l’uso del tempo imperfetto.

L’imperfetto di situazione, che raccoglie in sé gran parte dei casi che vedremo, é quello che costituisce lo sfondo, il panorama sul quale, in primo piano, avvengono i fatti espressi dal passato  prossimo.  In un racconto l’imperfetto rappresenta una buona introduzione per stimolare l’attenzione dell’ascoltatore e preparare  il  terreno a un’azione avvenuta che  riteniamo  importante comunicare:

Era  una bella giornata, gli uccellini cantavano e la gente
camminava felice: all’improvviso si è sentito un colpo di fucile.

Una frase di questo genere, in cui l’uso dei tempi può essere ulteriormente  chiarito  da  una lettura fatta con  l’opportuna intonazione  della  voce, risponde a uno schema  tipico con  cui viene rappresentato graficamente l’imperfetto sulla  linea  del tempo:  

Il segno ondulato, senza confini precisi (sulla linea del tempo blu) è l’imperfetto;  il punto rosso é il passato prossimo, ovvero il fatto che si  inserisce nella situazione. Lo stesso grafico si adatta perfettamente  alle frasi  introdotte da  un mentre temporale  in  cui  l’imperfetto rappresenta da un lato l’azione cominciata prima di un’altra  (che é comunque passata) e dall’altro una situazione di sfondo in cui avviene un fatto.

Il  termine situazione appare dunque estremamente  funzionale (anche se non esaustivo) a raffigurare l’aspetto dell’imperfetto: ne esalta i valori di descrittività di immagine rispetto a quelli di azione e ingloba in sé i valori di abitudine, di fatto ripetuto o solito, che pure hanno notevole importanza nel suo uso.
 
 

LA  MUTABILITÀ

 
Vediamo  però altri casi di utilizzazione  dell’imperfetto partendo da due esempi:

(1)        Lui è italiano
(2)        Lui è un bell’uomo

In  queste due espressioni viene usato il presente del  verbo essere.  In  tutti e due i casi il valore temporale di questo  presente è fortemente  minimizzato,  giacché in (1) si esprime una  verità immutabile,  che era, e sarà; in (2) si tratta di  una  qualità certamente  mutabile, ma presumibilmente duratura e non legata  a un preciso (matematico) arco temporale. 
Sia (1) che (2) sono comunque caratterizzati dal fatto che non si esprime una azione ma uno stato, un modo  di essere, una condizione personale. Non sarebbe diverso  il caso se al posto di Lui ci fosse un soggetto diverso, un nome di città, una cosa o altro.

Se voglio riportare le due espressioni al passato la differenza  fra  l’immutabilità di essere italiano e  la possibilità di modificazione della bellezza dell’uomo provoca differenti  opportunità. In (1) infatti abbiamo l’unica possibilità di dire:

(1.1)     Lui era italiano

e  l’uso  del passato prossimo sarebbe  improprio  o legato a situazioni estremamente particolari (lui è stato italiano per un determinato periodo; dopo la guerra la sua regione è stata assegnata a un altro Stato e lui ha cambiato nazionalità: insomma una storia piuttosto contorta).
  
In (2) invece la forma più probabile al passato è

certamente:
  

(2.1)     Lui era un bell’uomo

ma non è tuttavia impossibile la formulazione:

(2.2)     Lui é stato un bell’uomo

Dagli esempi scaturisce con chiarezza  il fatto che  l’imperfetto  serve a esprimere una condizione, un modo di  essere,  uno stato fisico o psichico, diluito nel tempo passato o anche relativo  a un periodo del passato. L’uso del passato prossimo,  come in  (2.2)  rende questa condizione fortemente legata a  un  certo momento del  passato e sottolinea la  cessazione della  qualità espressa.  
Useremo quindi (2.2)  solo se vorremo accentuare  il  tramonto definitivo  della bellezza dell’uomo in questione, la brusca  frattura  fra passato e presente. L’imperfetto illustra invece l’evoluzione di questa condizione del passato,  narrandola nella sua continuità.

LEONARDO, Sant'Anna, la Vergine, Gesù e Battista bambini, circa 1501-1503, carboncino, biacca e chiaroscuro su cartone (London, National Gallery)

La Vergine siede sulle ginocchia della madre, Sant'Anna: ma quali sono le gambe della Vergine e quali quelle della madre? Morbidezza, sfumato, mutevolezza delle forme che esprime la  mutevolezza della natura, e il suo continuo trasformarsi. 

 
 

L'ESSERE  E  IL  FARE

 
Vediamo ancora questa serie di esempi:

(3.1)     Parlo velocemente per abitudine
(3.2)     Parlo velocemente quando sono nervoso
(3.3)     Parlo velocemente perché ho pochi soldi nella scheda telefonica

Nel caso (3.1) l’aver precisato il fatto che parlo velocemente  per  abitudine colloca immediatamente il verbo  parlare  non tanto  nel quadro di un’azione compiuta, quanto in quello di  una condizione normale o abituale. Riportando questa  frase in un tempo passato avremo assai probabilmente:

(3.1a)    Parlavo velocemente per abitudine

Esiste certamente la possibilità di un uso del passato prossimo, ma, in questo caso, la frase viene fortemente caratterizzata da un senso diverso:

(3.1b)    (In quella determinata circostanza in cui avrei dovuto parlare lentamente) ho parlato velocemente per abitudine

Questi casi rendono ancora più evidente che la differenza fra passato  prossimo e imperfetto può essere intesa come una  differenza tra il fare e l’essere.  In (3.1a) infatti c’è una  persona che  dice quello che è (vale a dire uno che parla  velocemente o che  parlava velocemente per "natura"). In (3.1b) c’è invece una  persona  che dice  quello che fa (vale a dire uno che parla velocemente o che ha parlato velocemente in un determinato caso).

In  (3.2) la situazione é diversa: qui abbiamo due verbi  che esprimono  fatti  simultanei, il parlare velocemente  e  l’essere nervoso. Anche questa frase poi, come la precedente, si riferisce generalmente  a un qualcosa di abituale. L’essere nervoso è qui  chiaramente una condizione personale e non un fatto (quindi un essere e non  un fare); il suo trasferimento al passato richiederà  quindi l’impiego di un tempo imperfetto. Il parlare velocemente è invece un  fatto certamente più  determinato nei suoi confini  temporali, ma da  un lato è simultaneo all’essere  nervoso  (già  espresso all’imperfetto),  dall’altro non è legato a  nessuna  particolare occasione  o circostanza (salvo che alla condizione nervosismo). Due buoni motivi per  ricorrere  ancora una volta al tempo imperfetto:

(3.2a)    Parlavo velocemente quando ero nervoso

L’uso di un passato prossimo in (3.2) appare altamente improbabile.

In  (3.3)  abbiamo invece varie possibilità: chiaramente  chi dice questa  frase è una persona che sta al telefono e si  scusa  del fatto di parlare velocemente giustificandolo con i pochi  soldi a disposizione. Se vogliamo trasferire in un tempo passato questa espressione dobbiamo considerare almeno due opportunità:

(3.3a)    Parlavo velocemente perché avevo soldi nella scheda telefonica
(3.3b)    Ho parlato velocemente perché avevo pochi soldi nella scheda telefonica

Per quanto riguarda il verbo avere riferito al tempo  passato sottolineeremo  più  avanti  come ho  avuto possa significare ricevere mentre  avevo  significhi essere in possesso. Per  il  momento  è sufficiente considerare che nel senso generale della frase l’idea di non avere soldi non é intesa come un fatto avvenuto, ma come una  condizione o uno stato, appunto una condizione di possesso.  Per  questo motivo  sia in (3.3a) che in (3.3b) il verbo avere prende  sempre le forme dell’imperfetto indicativo.

Più  complesso il trasferimento al passato del verbo  parlare: in (3.3a) viene usato l’imperfetto da un lato per rendere  l’idea della simultaneità temporale fra il non avere gettoni e il parlare. Dall’altro (e questo é forse il motivo principale) chi  dice questa frase racconta l’episodio del parlare velocemente come  un  fatto  in  corso di svolgimento: chi ascolta (3.3a)  vive  questa storia  nella  sua evoluzione e l’uso dell’imperfetto  lascia  lo spazio alla possibilità di nuovi accadimenti. Per esempio:

(3.3a.1)  Parlavo velocemente perché  avevo pochi gettoni (ma poi mi sono accorto che avevo un' altra scheda e ho cominciato a parlare piano)

In (3.3b) l’uso del passato prossimo rende l’azione di avere parlato come un fatto concluso immodificabile. 
La stessa differenza si può scorgere nei due diversi modi  di porre la domanda:

(4.1)     Perché parlavi così velocemente?
(4.2)     Perché hai parlato così  velocemente?

In  (4.1) chiedo spiegazioni di una condizione, della  condizione  di essere uno che parla velocemente. In (4.2) richiedo  la spiegazione  di  un fatto compiuto. Ancora una  volta  quindi  si manifesta la differenza fra l’essere e il fare.
 
 

ANCORA  SULL'ESSERE  E  SUL  FARE

 

(5.1)     VOGLIO andare in Cina
(5.2)     DEVO partire
(5.3)     SO queste cose
(5.4)     CONOSCO quella persona
(5.5)     CONOSCO il problema
(5.6)     POSSO parlare chiaro
(5.7)     HO una macchina
(5.8)     SONO contento
(5.9)     AMO la musica
(5.10)   HO paura

Fra queste  dieci  frasi alcune hanno in comune fra loro il fatto di essere  costruite  su  verbi che, riferiti a  un tempo  passato, possono cambiare significato a seconda della scelta d’uso di un imperfetto o  di un passato prossimo. Il cambiamento di significato,  è strettamente  correlato con la questione del fare e dell’essere, ovvero con quella del fatto e della situazione.

(5.1a)  HO VOLUTO andare in Cina
(5.1b)  VOLEVO andare in Cina

sono  due frasi che manifestano nel primo caso una  volontà realizzata,  nel secondo un desiderio; chi dice ho voluto intende dire che in Cina c’è stato; chi dice volevo intende esprimere la sua condizione di  persona desiderosa di andare: se poi sia andato davvero é cosa  da  vedersi.

Quindi:
 
(5.1a)      Ho voluto andare in Cina = ci sono andato
(5.1b.1)
  Volevo andare in Cina = e poi ci sono andato
(5.1b.2)   Volevo andare in Cina = ma poi non ci sono andato

ARTE ROMANA, Ritratto di Augusto

Particolare dal "Monumento equestre del Gattamelata" a Padova, opera di DONATELLO (dopo 1443)

L'espressione latina Faber est suae quisque fortunae significa "ciascuno è artefice della propria sorte": vuol dire che ogni uomo può realizzare i propri obiettivi grazie alla sua determinazione, alla virtù delle sue azioni. Il destino è nelle sue mani: fare per essere.  
La stessa convinzione è alla base dell'Umanesimo e del Rinascimento.
E la vediamo riflessa nei volti determinati e intelligenti dell'imperatore Augusto  e del condottiero rinascimentale Gattamelata  

(5.1b.3)   Volevo andare in Cina = era un mio desiderio. Che io ci sia o non ci sia andato non è questa la questione

Lo stesso può essere osservato per le frasi

(5.2a)     SONO DOVUTO partire
(5.2b)     DOVEVO partire

In  un caso la persona  è partita, nell’altro aveva il  dovere di partire ma non sappiamo se l’ha fatto.
Quindi:

(5.2a)    Sono dovuto partire = e sono partito
(5.2b.1) Dovevo partire = e poi sono partito
(5.2b.2) Dovevo partire = ma poi non sono partito
(5.2b.3) Dovevo partire = era un mio dovere. Che io l'abbia fatto o meno non è questa la questione

Con il verbo SAPERE il discorso é ancora più evidente giacché ho saputo significa che in un certo momento sono stato  messo  a conoscenza  di  un  certo fatto  da  qualcuno. Sapevo  significa tutt’altra cosa: la cosa che io sapevo faceva parte del mio bagaglio  di  conoscenze, da tempo, e non c’è nessun  riferimento  al  momento in cui questa informazione mi veniva data.  Per cui:

(5.3a)    Ho saputo queste cose (da un mio amico, ieri alle tre)
(5.3b)    Sapevo queste cose (già ne ero a conoscenza, tu non mi dici niente di nuovo)

Con il verbo conoscere abbiamo numerose possibilità: ho conosciuto può essere detto solo di persona e si fa  riferimento proprio all’atto della presentazione. Conoscevo significa invece  essere conoscente di qualcuno o a conoscenza  di  qualche cosa, cioè saperla. Quindi, trasferendo al passato la frase (5.4) potremo avere:

(5.4a)    HO CONOSCIUTO quella persona
(5.4b)    CONOSCEVO quella persona        

laddove in un caso (5.4a) racconto del momento in cui io e quella persona  siamo stati presentati e nell’altro (5.4b) sottolineo che fra  me  e quella persona esisteva già un rapporto di conoscenza.

In (5.5) invece avremo solo la possibilità di dire

(5.5a) CONOSCEVO il problema

giacché  un  problema non può esserci presentato così  come  una persona.
Non è impossibile tuttavia l'eventualità di una frase come:

(5.5b) Ho conosciuto quel problema


Tuttavia qui entriamo in un linguaggio figurato, cosicché conoscere assume il senso di confrontarsi o scontrarsi: ho conosciuto quel problema in gioventù significa che in un determinato periodo della mia vita ho dovuto confrontarmi con una questione. Diverso quindi dal dire conoscevo quel problema nel senso di esserne a conoscenza.

L’esempio (5.6) trasferito al passato dà due distinte formulazioni:

(5.6a)      HO POTUTO parlare chiaro  
(5.6b)      POTEVO parlare chiaro

sono  due frasi che manifestano nel primo caso una  possibilità realizzata,  nel secondo una possibilità e basta; chi dice ho potuto parlare chiaro intende dire che lo ha fatto; chi dice potevo parlare chiaro intende esprimere la sua condizione di  persona con la possibilità di parlare: se poi lo abbia fatto davvero é cosa irrilevante o comunque da accertare.
Quindi:

(5.6a)    Ho potuto parlare chiaro = e ho parlato chiaro
(5.6b.1) Potevo parlare chiaro = e l'ho fatto
(5.6b.2) Potevo parlare chiaro = e ho preferito rimanere in silenzio
(5.6b.3) Potevo parlare chiaro = Era una situazione in cui c'era libertà di parola. Che poi io abbia sfruttato o meno questa occasione non è rilevante in questo momento


Il  verbo  avere  al  passato  prossimo  può significare  ricevere, all’imperfetto  possedere.  Le  due frasi seguenti  sono  perciò differentissime fra loro:

(5.7a.1)   HO AVUTO una macchina (come regalo di Natale)
(5.7a.2)   HO AVUTO una macchina (dal 1995 al 1998)
(5.7b)     AVEVO una macchina  (la possedevo ed ed ero felice per questo)

In (5.7a.1) il passato prossimo è l’unico tempo che può dare al verbo avere il significato di ricevere.

In (5.7a.2) e (5.7b) la differenza fra passato prossimo e imperfetto del verbo avere, sempre nel senso di possedere, si riaggancia ancora a quello che si era detto a proposito di fare e di essere, alla differenza cioè tra fatto e situazione. (5.7a.2) è un’informazione sul periodo in cui si è posseduta la macchina, è un fatto. (5.7b) è la condizione di chi possedeva una macchina.

Le ultime tre frasi sono caratterizzate dal fatto di  manifestare un sentimento. L’imperfetto quindi indicherà la condizione  di  essere  una persona che provava  quei  sentimenti,  il passato  prossimo sottolineerà il momento in cui  sono stati provati  (e richiederà  forse anche una spiegazione del motivo per cui si sono provati).

Quindi:

(5.8a)    SONO STATO contento (di avere detto quello che ho detto)
(5.8b)    ERO CONTENTO (da bambino, come carattere)

(5.9a)    HO AMATO la musica (in un certo periodo della mia vita quando frequentavo  i concerti
(5.9b)    AMAVO la musica (ero un amante della musica, una persona sensibile)

(5.10a) HO AVUTO PAURA (quando ho sentito quel rumore improvviso)
(5.10b) AVEVO PAURA (ero in uno stato d'animo caratterizzato da paura normalmente o regolarmente in certe situazioni: da bambino avevo paura del buio)
 
 

L'EFFETTO  FOTOGRAMMA

 
L’uso  del tempo imperfetto in una frase come la seguente  ha molteplici significati:

(6.1)     Nel 1974 il Papa era Paolo VI

Il  primo é certamente quello di raffigurare una  situazione, un panorama in cui si svolgono certi fatti: per esempio  potremmo dire che quando c’é stato il periodo del terrorismo, nel 1974 ad esempio,  il Papa era Paolo VI.

Ma un aspetto  assi  importante, che  sarebbe più evidente se aggiungessimo alla frase  la  parola ancora  o la parola già è quello di indicare la parte di un tutto: Paolo VI insomma è stato Papa dal 1964 al 1978 e quindi nel ‘74 era ancora  lui il Papa. Questo è importante per osservare che nella frase originale  nel 1974 il Papa era Paolo VI quella data non é  indicativa di  un tempo compiuto, ma di un tempo che fa parte di un  periodo più lungo.

E’ come se l’imperfetto cogliesse un fotogramma di una pellicola cinematografica:

(6.2)     Alle cinque ero a casa

sta  a  significare  che chi parla  vuole  esprimere  un’immagine legata al prima e al poi, vuole segnalare un punto in una  storia che si sviluppa. Tant’è vero che suonano assai logiche espressioni caratterizzate dalla parola ancora e del contrario già:

(6.2a)    Alle cinque ero già a casa  (sono tornato alle tre, se tu mi avessi telefonato alle 5 mi avresti sicuramente trovato)

(6.2b)    Alle cinque ero ancora a casa  (sono uscito alle sei, se tu mi avessi telefonato alle 5 mi avresti sicuramente trovato)

Da notare che perfino con una indicazione di tempo compiuto molto marcata (dalle 5 alle 6) c'è la possibilità di usare l'imperfetto:

(6.3a)  Dalle 5 alle 6 sono stato a casa = sono arrivato alle 5 e sono uscito alle 6
(6.3b)  Dalle 5 alle 6 ero a casa = certamente in quell'ora ero a casa, ma probabilmente ero arrivato prima delle 5 e sono uscito più tardi delle 6. Non è importante quando io sono arrivato e quando sono uscito: è importante che in quell'arco temporale ero a casa.

 

Questa caratteristica dell’imperfetto, che abbiamo chiamato "effetto fotogramma" lo rende particolarmente  adatto a raccontare una storia, una favola, un  racconto,  per rendere - con una certa volontà stilistica - ogni fatto parte di un tutto più complesso e in  continua evoluzione.  Per esempio vediamo un racconto di questo  tipo,  la trama di un film:

Il film racconta di un uomo che viveva a New York: un giorno dei teppisti gli uccidono la moglie  e i figli. Sconvolto, l’uomo decide  di  farsi giustizia da sé. Va nella  metropolitana  della città e comincia a sparare a tutti i teppisti che incontra.

Ora si è usato il presente per rendere immediato il racconto. 

GIACOMO BALLA, Bambina che corre sul balcone, 1912, olio su tela ( Milano, Civiche Raccolte d'Arte - Colezione Grassi)

Il movimento della bambina che corre è reso attraverso una serie di immagini successive, analoghe ai fotogrammi di una sequenza cinematografica

Collocandolo la narrazione nel tempo passato è chiaro che potrei usare  il  passato prossimo, ma, come precisa scelta stilistica, l’imperfetto rende il racconto più sfumato e avvincente:  

(nel film) Un giorno i teppisti gli uccidevano la  moglie,  lui  decideva di farsi giustizia da sé e a un certo punto  andava nella metropolitana...

Insomma,  se uso il passato prossimo fornisco un’informazione,  con l’imperfetto segnalo che il mio racconto coglie solo parte di  un tutto più complesso e che forse io non posso  descrivere con precisione.
Racconto insomma la storia quasi come un sogno (non a caso anche i sogni si raccontano spesso all'imperfetto) collocandola su un piano di indeterminatezza temporale.

Di  qui all’imperfetto storico (Cristo nasceva in  Palestina, Costantino  emanava  il suo famoso editto nell'anno 313 ecc.) il  passo  è breve.

Perfino un verbale dei Carabinieri in cui il fermato  “dichiarava che,  faceva resistenza, rispondeva alla domanda” non è distante - nella sua volontà stilistica da queste considerazioni.

Qualche volta insomma l’imperfetto "chiede scusa" per l'imperfezione, sottintende un “tra l’altro”, specie quando si riferisce al contenuto di un messaggio ( e non a caso poi è il tempo privilegiato nel discorso indiretto):

(7.1) Ho ricevuto una lettera che DICEVA che...
 
 

L'IRREALTÀ

 
L’imperfetto  del resto serve anche a indicare  un  qualcosa che  poteva  o doveva succedere ma non è successo, un  fatto  non reale in  generale, nel passato, nel presente o nel  futuro.  

(8.1)  Volevo un caffè
(8.2) Ah, dimenticavo!
(8.3) A momenti cadevo!
(8.4) Per poco morivo!
(8.5) Quasi quasi me ne andavo
(8.6) Ma se ero ricco...
(8.7) Facciamo che io ero il Re e tu la Regina?
(8.8) Non vieni? Peccato, sono sicuro che ci divertivamo insieme!

Il caso (8.1) non pone l'accento sulla volontà di avere un caffè, quanto piuttosto sul desiderio di averlo. In pratica la differenza fra vorrei e volevo consiste in questo: vorrei un caffè è un desiderio condizionato (vorrei, se lei fosse così gentile da farmelo); volevo è solo un desiderio, esposto così, senza condizioni (come dire: io ero desideroso di un caffè: se lei me lo fa lo berrò volentieri, altrimenti amici come prima).

Infatti se questa considerazione vale per il cliente di un bar, lo stesso linguaggio non potrà essere usato dal barista. Il barista perciò potrebbe domandare "Lei cosa voleva?" (e in questo caso sarebbe come dire quali erano i suoi desideri quando è entrato in questo bar? Io sarò felice di esaudirli!).

Ma non sarebbe carino se il barman domandasse "Lei cosa vorrebbe?" (In questo caso infatti sarebbe come dire invitare il cliente a andarsene "cosa chiederebbe se io - e mi pare improbabile - avessi voglia di lavorare per lei?")
 
Negli altri casi sempre una caratteristica comune:

(8.2) Ah, dimenticavo! - ma non ho dimenticato
(8.3) A momenti CADEVO!  - ma non sono caduto
(8.4) Per poco MORIVO - ma non sono morto
(8.5) Quasi quasi me ne andavo - ma non me ne sono andato
(8.6) Ma se ero ricco...  - ma non sono ricco
(8.7) Facciamo che io ero il Re e tu la Regina? - ma non siamo re e regina
(8.8) Non vieni? Peccato, sono sicuro che ci DIVERTIVAMO insieme! - non ci divertiremo
 
 

L'IMMINENZA

 
La forma STARE PER + infinito (per esempio sto per partire) trasferita al passato richiede l'uso dell'imperfetto (stavo per partire).  Questo perché anche l'imminenza di una azione che deve realizzarsi nel passato non può 
essere resa da un passato prossimo (che esprime completezza) ma necessariamente da un tempo o un 
modo non-perfetto.
Talmente forte è questo uso dell'imperfetto nel presentare una azione di imminenza che, specialmente nel parlato, 
non
è raro trovarlo anche al posto di un condizionale composto, il tempo verbale che esprime il "futuro del passato":

(9.1) Ha detto che sarebbe venuto - Ha detto che veniva
(9.2) Ho immaginato che saresti tornato subito - Ho immaginato che tornavi subito

GIAN LORENZO BERNINI, David, marmo, 1623-1624 (Roma, Galleria Borghese)

David sta per lanciare la pietra contro il gigante Golia: la torsione del corpo e l'espressione concentrata del volto rendono bene l'imminenza dell'azione.

 
  

CONCLUSIONI

 
La conclusione di quanto detto fino a questo punto è che non si può concludere qui. Troppi sarebbero ancora i casi da analizzare su questo argomento (sono buffi gli studenti stranieri quando dicono di pensare che il congiuntivo sia difficile: altro che congiuntivo! L'imperfetto sì che è difficile, se non impossibile!)
Tanto per confondere definitivamente le idee ai lettori di MatDid facciamo ancora un paio di esempi che riguardano le poche certezze che uno studente straniero ha riguardo all'uso dell'imperfetto.

Una certezza è che l'imperfetto si usa regolarmente dopo il MENTRE temporale.
L'altra certezza è che STARE PER + infinito, trasferito al passato, richiede l'uso dell'imperfetto del verbo stare.

Ebbene ecco qui due esempi fatti apposta per rompere le uova nel paniere:

(10.1) L'omicidio è avvenuto proprio mentre il fratello della vittima gli ha telefonato
(10.2) Almeno un paio di volte sono stato per mettermi a piangere

Come si spiegano questi due strani casi?
Be', non è difficilissimo. Ma non possiamo mica risolverli tutti oggi i problemi dell'umanità.