Matdid, materiali didattici di italiano per stranieri a cura di Roberto Tartaglione e Giulia Grassi, Scuola d'Italiano Roma |
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LA COMPIUTEZZA |
L’aspetto
di completezza del passato prossimo - che esprime normalmente
un’azione o un fatto ben determinato nei suoi termini di inizio
e di conclusione - è talmente marcato in italiano da
provocarne perfino un uso improprio, nel senso che può riferirsi
a fatti presenti e anche futuri purché "compiuti". |
cronologica
dell’azione di
capire (cioè "ho capito prima") perché in
molti altri casi, il sistema grammaticale italiano si mostra assai più
elastico e flessibile. Allo
stesso modo il passato prossimo mostra una
grande capacità di sovrapporsi anche al futuro anteriore in
frasi come stasera alle
quattro ho finito, oppure uscirai
quando hai finito di
mangiare, in quanto esprime appunto la completezza di una azione
anche quando è vista
in un momento futuro. |
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LA DURATIVITÀ |
Se
dico che oggi è una bella
giornata è subito chiaro che sto parlando di qualcosa che non si è
ancora esaurito; ma se dico che ieri
era una bella giornata ecco che la parola incompletezza non basta
più a spiegare l’uso dell’imperfetto, giacché la giornata
di ieri si è certo
conclusa per sempre. Si
può ancora aggiungere che il presente indicativo, oltre al suo aspetto
principale che è quello di
esprimere una azione in corso, ha anche aspetti secondari di
carattere iterativo (esprime cioè anche una abitudine e
una ripetizione e non solo un fatto occasionale) e serve
ancora per esprimere verità e qualità durature oltre a quelle
istantanee. Il presente insomma comprende una vasta serie di
possibilità espressive; ma quando trasferiamo in un tempo passato
qualcosa che abbiamo espresso al presente abbiamo almeno due
possibilità: l’imperfetto ha infatti come
al suo fianco il passato prossimo e per questo la sua scelta
richiede maggiori attenzioni e fatiche. |
LA SITUAZIONE |
Il
termine situazione
contrapposto a fatto pare
invece più appropriato per introdurre la questione
dell’imperfetto, non tanto per la sua chiarezza (perché
poi si può discutere a lungo sul concetto
"filosofico" di situazione e di fatto),
ma perché tende a distinguere tra una funzione temporale e
una aspettuale. Nella scelta fra passato
prossimo e imperfetto, infatti, assai
importante è la considerazione se l’azione espressa dal verbo
sia avvenuta in un determinato momento e se questo momento possa
addirittura avere una certa rilevanza ai fini della narrazione: in
questo caso ci si indirizzerà
verso un passato prossimo. Se invece la determinazione temporale non
riveste importanza o non è identificabile
allora é più probabile
l’uso del tempo imperfetto. L’imperfetto di
situazione, che raccoglie in sé gran parte dei casi che vedremo,
é quello che costituisce lo sfondo, il panorama sul quale, in primo
piano, avvengono i fatti espressi dal passato
prossimo. In un racconto l’imperfetto rappresenta
una buona introduzione per stimolare l’attenzione dell’ascoltatore e
preparare il terreno a un’azione avvenuta che riteniamo
importante comunicare: Una
frase di questo genere, in cui l’uso dei tempi può essere
ulteriormente chiarito da una lettura fatta con l’opportuna
intonazione della voce, risponde a uno schema tipico con cui viene rappresentato graficamente l’imperfetto
sulla linea del tempo: Il
segno ondulato, senza confini precisi (sulla linea del tempo blu) è l’imperfetto; il punto
rosso é il passato prossimo, ovvero il fatto che si inserisce
nella situazione. Lo stesso grafico si adatta perfettamente alle
frasi introdotte da un mentre temporale in cui l’imperfetto
rappresenta da un lato l’azione cominciata prima di un’altra (che
é comunque passata) e dall’altro una situazione di sfondo in cui
avviene un fatto. Il
termine situazione
appare dunque estremamente funzionale (anche se non esaustivo) a
raffigurare l’aspetto dell’imperfetto: ne esalta i valori di descrittività
di immagine rispetto a quelli di azione e ingloba in sé i valori di abitudine,
di fatto ripetuto o solito, che pure hanno notevole
importanza nel suo uso. |
LA MUTABILITÀ |
(1)
Lui è italiano In
queste due espressioni viene usato il presente del verbo
essere. In tutti e due i casi il valore temporale di questo
presente è fortemente minimizzato, giacché in (1) si
esprime una verità immutabile, che era, e sarà;
in (2) si tratta di una qualità certamente mutabile,
ma presumibilmente duratura e non legata a un preciso (matematico)
arco
temporale. Se
voglio riportare le due espressioni al passato la differenza fra
l’immutabilità di essere italiano e la possibilità di
modificazione della bellezza dell’uomo provoca differenti opportunità.
In (1) infatti abbiamo l’unica possibilità di dire: (1.1)
Lui era italiano e
l’uso del passato prossimo sarebbe improprio o
legato a situazioni estremamente particolari (lui è stato
italiano per un determinato periodo; dopo la guerra la sua regione è
stata assegnata a un altro Stato e lui ha cambiato nazionalità:
insomma una storia piuttosto contorta). |
certamente: ma
non è tuttavia impossibile la formulazione: (2.2)
Lui é stato un bell’uomo Dagli
esempi scaturisce con chiarezza il
fatto che l’imperfetto serve a esprimere una
condizione, un modo di essere, uno stato fisico o psichico,
diluito nel tempo passato o anche relativo a un periodo del
passato. L’uso del passato prossimo, come in (2.2) rende
questa condizione fortemente legata a un certo momento del
passato e sottolinea la cessazione della qualità
espressa. |
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L'ESSERE E IL FARE |
(3.1)
Parlo velocemente per abitudine Nel
caso (3.1) l’aver precisato il fatto che parlo velocemente per
abitudine colloca immediatamente il verbo parlare non
tanto nel quadro di un’azione compiuta, quanto in quello di
una condizione normale o abituale. Riportando questa frase
in un tempo passato avremo assai probabilmente: (3.1a)
Parlavo velocemente per abitudine Esiste
certamente la possibilità di un uso del passato prossimo, ma, in questo
caso, la frase viene fortemente caratterizzata da un senso diverso: (3.1b)
(In quella determinata circostanza in cui avrei dovuto parlare lentamente) ho
parlato velocemente per abitudine Questi
casi rendono ancora più evidente che la differenza fra passato prossimo
e imperfetto può essere intesa come una differenza tra il fare e
l’essere. In (3.1a)
infatti c’è una persona che dice quello che è (vale a
dire uno che parla velocemente o che parlava
velocemente per "natura"). In (3.1b) c’è invece una persona che dice
quello che fa (vale a dire uno che parla velocemente o
che
ha parlato velocemente in un determinato caso). In
(3.2) la situazione é diversa: qui abbiamo due verbi che
esprimono fatti simultanei, il parlare velocemente e
l’essere nervoso. (3.2a)
Parlavo velocemente quando ero nervoso L’uso
di un passato prossimo in (3.2) appare altamente improbabile. In
(3.3) abbiamo invece varie possibilità: chiaramente
chi dice questa frase è una persona che sta al
telefono e si scusa del fatto di parlare velocemente
giustificandolo con i pochi soldi a disposizione. Se vogliamo
trasferire in un tempo passato questa espressione dobbiamo considerare
almeno due opportunità: (3.3a)
Parlavo velocemente perché avevo soldi nella scheda telefonica
Per
quanto riguarda il verbo avere riferito al tempo passato
sottolineeremo più avanti come ho avuto
possa significare ricevere mentre avevo significhi
essere in possesso. Per il momento è
sufficiente considerare che nel senso generale della frase l’idea di
non avere soldi non é intesa come un fatto avvenuto, ma come una
condizione o uno stato, appunto una condizione di possesso. Per
questo motivo sia in (3.3a) che in (3.3b) il verbo avere
prende sempre le forme dell’imperfetto indicativo. Più
complesso il trasferimento al passato del verbo parlare: in
(3.3a) viene usato l’imperfetto da un lato per rendere l’idea
della simultaneità temporale fra il non avere gettoni e il parlare. Dall’altro
(e questo é forse il motivo principale) chi dice questa frase
racconta l’episodio del parlare velocemente come un
fatto in corso di svolgimento: chi ascolta (3.3a)
vive questa storia nella sua evoluzione e
l’uso dell’imperfetto lascia lo spazio alla possibilità
di nuovi accadimenti. Per esempio: (3.3a.1)
Parlavo velocemente perché
avevo pochi gettoni (ma poi mi sono accorto che avevo un' altra scheda e ho cominciato a parlare piano) In
(3.3b) l’uso del passato prossimo rende l’azione di avere parlato
come un fatto concluso immodificabile. (4.1)
Perché parlavi così velocemente? In
(4.1) chiedo spiegazioni di una condizione, della condizione
di essere uno che parla velocemente. In (4.2) richiedo la
spiegazione di un fatto compiuto. Ancora una volta
quindi si manifesta la differenza fra l’essere e il
fare. |
ANCORA SULL'ESSERE E SUL FARE |
(5.1)
VOGLIO andare in Cina Fra
queste
dieci frasi alcune hanno in comune fra loro il fatto
di essere costruite su verbi che, riferiti a
un tempo passato, possono cambiare significato a seconda
della scelta d’uso di un imperfetto o di un passato
prossimo. Il cambiamento di significato, è strettamente
correlato con la questione del fare e dell’essere, ovvero con
quella del fatto e della situazione. (5.1a)
HO VOLUTO andare in Cina sono
due frasi che manifestano nel primo caso una volontà
realizzata, nel secondo un desiderio; chi dice ho voluto intende
dire che in Cina c’è stato; chi dice volevo intende esprimere la sua
condizione di persona
desiderosa di andare: se poi sia andato davvero é cosa da vedersi. |
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(5.1b.3) Volevo andare in Cina = era un mio desiderio. Che
io ci sia o non ci sia andato non è questa la questione (5.2a)
SONO DOVUTO partire In
un caso la persona è partita, nell’altro aveva il dovere di partire ma
non sappiamo se l’ha fatto. (5.2a)
Sono dovuto partire = e sono partito Con
il verbo SAPERE il discorso é ancora più evidente giacché ho saputo
significa che in un certo momento sono stato messo a
conoscenza di un certo fatto da qualcuno.
Sapevo significa tutt’altra cosa: la cosa che io sapevo faceva
parte del mio bagaglio di conoscenze, da tempo, e non c’è
nessun riferimento al momento
in cui questa informazione mi veniva data.
Per cui: (5.3a)
Ho saputo queste cose (da un mio amico, ieri alle tre) Con
il verbo conoscere abbiamo numerose possibilità: ho conosciuto può
essere detto solo di persona e si fa riferimento proprio
all’atto della presentazione.
Conoscevo
significa invece essere conoscente di qualcuno o a conoscenza
di qualche cosa, cioè saperla. Quindi, trasferendo al
passato la frase (5.4) potremo avere: (5.4a)
HO CONOSCIUTO quella persona laddove
in un caso (5.4a) racconto del momento in cui io e quella persona
siamo stati presentati e nell’altro (5.4b) sottolineo che fra
me e quella persona esisteva già un rapporto di conoscenza. In
(5.5) invece avremo solo la possibilità di dire (5.5a)
CONOSCEVO il problema giacché
un problema non può esserci presentato così come
una persona. L’esempio
(5.6) trasferito al passato dà due distinte formulazioni: (5.6a)
HO POTUTO parlare chiaro sono
due frasi che manifestano nel primo caso una possibilità
realizzata, nel secondo una possibilità e basta; chi dice ho
potuto parlare chiaro intende
dire che lo ha fatto; chi dice potevo parlare chiaro intende esprimere la sua
condizione di persona con la
possibilità di parlare: se poi lo abbia fatto davvero é cosa
irrilevante o comunque da accertare.
(5.7a.1)
HO AVUTO una macchina (come regalo di Natale) In
(5.7a.1) il passato prossimo è l’unico tempo che può dare al verbo
avere il significato di ricevere. In
(5.7a.2) e (5.7b) la differenza fra passato prossimo e imperfetto del
verbo avere, sempre nel senso di possedere, si riaggancia ancora a
quello che si era detto a proposito di fare e di essere, alla differenza
cioè tra fatto e situazione. (5.7a.2) è un’informazione sul periodo in
cui si è posseduta la macchina, è un fatto. (5.7b) è la condizione di
chi possedeva una macchina. Le
ultime tre frasi sono caratterizzate dal fatto di manifestare un
sentimento. L’imperfetto quindi indicherà la condizione di
essere una persona che provava quei sentimenti,
il passato prossimo sottolineerà il momento in cui
sono stati provati (e richiederà forse anche una
spiegazione del motivo per cui si sono provati). Quindi: (5.8a)
SONO STATO contento (di avere detto quello che ho detto) (5.9a)
HO AMATO la musica (in un certo periodo della mia
vita quando frequentavo i concerti (5.10a)
HO AVUTO PAURA (quando ho sentito quel rumore improvviso) |
L'EFFETTO FOTOGRAMMA |
(6.1)
Nel 1974 il Papa era Paolo VI Il
primo é certamente quello di raffigurare una situazione, un
panorama in cui si svolgono certi fatti: per esempio potremmo dire
che quando c’é stato il periodo del terrorismo, nel 1974 ad esempio,
il Papa era Paolo VI. Ma
un aspetto assi importante, che sarebbe più evidente
se aggiungessimo alla frase la parola ancora
o la parola già è quello di
indicare la parte di un tutto: Paolo VI insomma è stato Papa dal 1964
al 1978 e quindi nel ‘74 era ancora lui il Papa. Questo è
importante per osservare che nella frase originale nel 1974 il
Papa era Paolo VI quella data non é indicativa di un tempo
compiuto, ma di un tempo che fa parte di un periodo più lungo. E’
come se l’imperfetto cogliesse un fotogramma di una pellicola
cinematografica: (6.2)
Alle cinque ero a casa sta
a significare che chi parla vuole esprimere
un’immagine legata al prima e al poi, vuole segnalare un punto
in una storia che si sviluppa. Tant’è vero che suonano assai
logiche espressioni caratterizzate dalla parola ancora e del contrario
già: (6.2a)
Alle cinque ero già a casa
(sono tornato alle tre, se tu mi avessi telefonato alle 5 mi
avresti sicuramente trovato) (6.2b) Alle cinque ero ancora a casa (sono uscito alle sei, se tu mi avessi telefonato alle 5 mi avresti sicuramente trovato) (6.3a)
Dalle 5 alle 6 sono stato a casa = sono arrivato alle 5 e sono uscito
alle 6 |
Questa
caratteristica dell’imperfetto, che abbiamo chiamato "effetto
fotogramma" lo rende particolarmente adatto a
raccontare una storia, una favola, un racconto, per rendere
- con una certa volontà stilistica - ogni fatto parte di un tutto più complesso e in continua
evoluzione. Per esempio vediamo un racconto di questo tipo,
la trama di un film: Il
film racconta di un uomo che viveva a New York: un giorno dei
teppisti gli uccidono la moglie e
i figli. Sconvolto, l’uomo decide di farsi giustizia da
sé. Va nella metropolitana della città e comincia
a sparare a tutti i teppisti che incontra.
Ora
si è usato il presente per rendere immediato il racconto. |
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Collocandolo la narrazione nel tempo passato è chiaro che potrei usare
il passato prossimo, ma, come precisa scelta stilistica, l’imperfetto rende il
racconto
più sfumato e avvincente: Di
qui all’imperfetto storico (Cristo nasceva in Palestina,
Costantino
emanava il suo famoso editto nell'anno 313 ecc.) il passo è
breve. Perfino
un verbale dei Carabinieri in cui il fermato “dichiarava che,
faceva resistenza, rispondeva alla domanda” non è distante
- nella sua volontà stilistica da
queste considerazioni. Qualche
volta insomma l’imperfetto "chiede scusa" per l'imperfezione,
sottintende un “tra l’altro”, specie quando si riferisce al
contenuto di un messaggio ( e non a caso poi è il tempo privilegiato
nel discorso indiretto): (7.1)
Ho ricevuto una lettera che DICEVA che... |
L'IRREALTÀ |
(8.1)
Volevo un caffè Il
caso (8.1) non pone l'accento sulla volontà di avere un caffè, quanto
piuttosto sul desiderio di averlo. In pratica la differenza fra vorrei
e volevo consiste in questo: vorrei un caffè è un
desiderio condizionato (vorrei, se lei fosse così gentile da farmelo);
volevo è solo un desiderio, esposto così, senza condizioni (come
dire: io ero desideroso di un caffè: se lei me lo fa lo berrò
volentieri, altrimenti amici come prima). Ma
non sarebbe carino se il barman domandasse "Lei cosa vorrebbe?"
(In questo caso infatti sarebbe come dire invitare il cliente a andarsene
"cosa chiederebbe se io - e mi pare improbabile - avessi voglia di
lavorare per lei?") |
L'IMMINENZA |
La
forma STARE PER + infinito (per esempio sto per partire)
trasferita al passato richiede l'uso dell'imperfetto (stavo per
partire). Questo perché anche l'imminenza di una
azione che deve realizzarsi nel passato non può essere resa da un passato prossimo (che esprime completezza) ma necessariamente da un tempo o un modo non-perfetto. Talmente forte è questo uso dell'imperfetto nel presentare una azione di imminenza che, specialmente nel parlato, non è raro trovarlo anche al posto di un condizionale composto, il tempo verbale che esprime il "futuro del passato": (9.1) Ha detto che sarebbe venuto - Ha detto che veniva (9.2) Ho immaginato che saresti tornato subito - Ho immaginato che tornavi subito |
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CONCLUSIONI |
Ebbene ecco qui due esempi fatti apposta per rompere le uova nel paniere: (10.1)
L'omicidio è avvenuto proprio mentre il fratello della vittima gli ha
telefonato Come
si spiegano questi due strani casi? |