Oggi,
nonostante xenofobia e ostilità verso migranti e
rifugiati, i dati, cioè i numeri, sono
chiarissimi: la presenza di immigrati in Italia
non è altissima (nel 2018 siamo a circa i 7%
della popolazione, cioè meno di sei milioni di
stranieri su una popolazione di 60 milioni di
persone); gli immigrati producono per lo Stato
un reddito superiore rispetto a quello che dallo
Stato ricevono e questa cifra in più è
indispensabile per pagare le pensioni degli
italiani che hanno una percentuale di vecchi
altissima; gli attuali immigrati non bastano a
coprire il fabbisogno di lavoratori in Italia e
per non alzare ulteriormente l'età pensionabile
degli italiani sarà necessario rendere più vasti
i flussi migratori; una recente indagine ha
calcolato che senza immigrati in 40 anni l'Italia
vedrebbe scendere il suo PIL (prodotto interno
lordo) del 50%.
Questi e tanti altri dati fanno a pugni con la
PERCEZIONE della gente.
La percezione è quello che la gente pensa della
realtà, anche se i dati dimostrano tutt'altro.
Per esempio è stato calcolato che in Europa in
genere la percezione sulla presenza dei migranti
è doppia rispetto alla realtà: se si chiede a un
europeo quanti migranti ci sono nel suo paese,
se ce ne sono un milione, lui risponderà due
milioni. In Italia la PERCEZIONE è ancora più
alta, è tripla: se ci sonodue milioni di
migranti noi ne vediamo sei!
Da che dipende la percezione?
Noi lo sappiamo benissimo, ma non vogliamo
contrastare le vostre idee. Non siamo così
democratici però da pensare che se la maggior parte
della popolazione pensa una cosa quella cosa è
vera. Pensate pure quello che vi pare, ma i dati
sono dati.
Questa percezione
sbagliata è cosa vecchia: già nel 1999 si
sentiva che l'onda xenofoba stava salendo e un
giornalista ha giocato a immaginare cosa sarebbe
successo in Italia senza immigrati. Un articolo
divertente, intelligente e anche un po'
profetico.
Gregorio S., svegliandosi una mattina da sogni
agitati, si domandò la causa dello strano
silenzio che regnava in casa.
Di solito, lo stridulo chiacchiericcio tra la
figlia Deborah e Bogena, la domestica polacca
che le preparava la colazione, e soprattutto i
lamenti del piccolo Alberto, che non voleva
assolutamente alzarsi dal letto e andare
all'asilo, gli rendevano difficile assaporare i
pochi, piacevolissimi minuti che precedevano la
faticosa decisione di sollevarsi, guardare
l'orologio e cominciare finalmente la giornata.
Allungò la mano verso il cuscino della moglie,
ma finì per ficcarle un dito nell'orecchio,
facendola sobbalzare: anche lei dormiva ancora.
Eppure l'orologio parlava chiaro: erano quasi le
otto! «Cosa è successo? Non ho sentito i
bambini». La moglie era già in piedi, aveva
spalancato la finestra, ed era corsa a vedere
nella stanza dei ragazzi. «Bambini, è
tardissimo, cosa fate ancora a letto? Dov'è
finita Bogena?». «Non ne ho idea, mamma, si sarà
rotta la sveglia! E io devo fare pure il compito
in classe!». Debora era già volata nel bagno,
anticipando il padre.
Scosso il piccolo Alberto, che s'era voltato
dall'altra parte e aveva nascosto la testa sotto
il cuscino, la signora Franca corse alla camera
della polacca: vuota, il letto intatto; in
cucina, tutto spento, le taparelle abbassate, il
caffè ancora da accendere. La ragazza si era
volatilizzata, sembrava non avesse nemmeno
dormito a casa. «Dove diavolo è finita? E adesso
chi li accompagna i ragazzi? Gregorio!!». Il
marito era finalmente riuscito a guadagnare il
bagno. «Non ce la faccio proprio, cara, ho un
appuntamento al cantiere...» «Ho capito, ho
capito, vado io...» «E il nonno?» «Tanto Felipe
ha le chiavi...». Dieci minuti dopo la signora
Franca era già in macchina con i bambini. Ci
voleva meno di un quarto d'ora fino alla scuola.
e quella mattina il traffico era stranamente
ridotto. Non però davanti all'istituto, dove le
automobili sostavano a decine, in seconda e
addirittura in terza fila: i bambini tutti
fuori, i genitori raccolti in capannelli a
discutere, le insegnanti piazzate davanti ai
cancelli a sbarrate l'entrata.
«Ma cosa succede?»
«La scuola è chiusa. Pare che il Provveditorato
abbia soppresso alcune sezioni per mancanza di
bambini»
«Come, a metà anno?».
Sembrava che tutti gli alunni di provenienza
straniera, che nelle elementari erano quasi il
40 % dei bambini dell'istituto, fossero spariti,
e con loro le loro famiglie. Senza studenti,
metà delle classi rimanevano sotto il numero
minimo: e gli insegnanti rischiavano di perdere
il posto, e di andare a spasso. Affidati i
bambini alla mamma di un compagno di scuola, che
si era offerta di tenerli a casa per la
mattinata, la signora Franca telefonò a casa,
per accertarsi che Felipe, il filippino che
accudiva il nonno, fosse arrivato. Il nonno -
che era un po' svanito ma al mattino di solito
sembrava quasi normale - era agitatissimo:
«No che non è arrivato! E adesso chi mi
accompagna a prendere la pensione? Oggi è
l'ultimo giorno!»
«Non ti preoccupare papà, ci penso io; avverto
l'ufficio e vengo a prenderti a casa».
Al telefono rispose direttamente il capoufficio,
che era già furioso perché mancavano la metà
delle segretarie («Con la scusa dei bambini, non
si trovano più le baby sitter»). Insomma, la
polacca, il filippino, i ragazzini della scuola,
gli extracomunitari erano spariti dappertutto.
La signora Franca era sbalordita, e cominciava a
innervosirsi. Forse dopo la posta, pensò bene,
era il caso di fare un po' di spesa: se Bogena
non fosse tornata prima di pranzo.
Il nonno sembrava aver già perso la lucidità del
mattino: lo trovò seduto in ingresso, senza il
calzino sinistro, la camicia abbottonata tutta
storta, la barba non fatta.
«Come faccio senza Felipe? Ma tu sai dove è
andato?»
«È sparito, sono spariti tutti!».
Un'ora dopo erano alla posta, ma anche lì li
aspettava una brutta sorpresa: un gruppo di
anziani aveva improvvisato una specie di sit-in
davanti agli sportelli, e qualcuno più arzillo
saltellava ansimando:
«Chi non salta pensionato è, è!».
Era successo che l'I.N.P.S. aveva trattenuto
cautelativamente tutte le pensioni del mese,
avevano calcolate le mancate contribuzioni dei
lavoratori immigrati scomparsi nel nulla e
avevano deciso di sospendere i versamenti fino a
data da destinarsi. Non c'era niente da fare,
ogni protesta fu inutile. Il nonno aveva perso
completamente la bussola: la signora Franca lo
mise in macchina quasi di peso, mentre invocava
flebilmente il suo fedele filippino:
«Felipe...».
Attraversarono rapidamente il centro, e
parcheggiarono l'auto a pochi metri dal
mercatino di quartiere.
«Resta qui, papà, faccio in un attimo». Ma anche
il mercato era chiuso. Spariti gli stagionali
africani e albanesi, dalle bancarelle erano
scomparsi anche i pomodori, le carote, i
piselli, le barbabietole. Dileguatisi i
raccoglitori latinoamericani e maghrebini, erano
rimaste sugli alberi tutte le mele del Trentino
e le annurche napoletane; e nessuno aveva
tagliato e raccolto l'insalatina della Val
Trebbia, quella che piaceva tanto al piccolo
Alberto. E anche il supermercato, su in piazza,
era sbarrato, per l'improvvisa mancanza dei
commessi senegalesi, delle donne delle pulizie
capoverdiane, dei facchini macedoni. Non restava
che tornare a casa; anche perché il nonno dava
ormai i numeri, e più tardi bisognava anche
recuperare i bambini parcheggiati dai loro
amichetti. E l'ufficio della signora Franca? Di
fronte al portone, più che seduto. accasciato
sul gradino del marciapiede, in un bagno di
sudore, il signor Gregorio li accolse con una
smorfia che voleva imitare un malinconico
sorriso: « Bella giornata, eh?».
Era tornato prima dal lavoro, perché al
cantiere, dov'era arrivato tardi per
l'appuntamento, non c'erano più gli operai:
tutti gli edili marocchini, le maestranze
jugoslave e anche due contabili pakistani, erano
assenti ingiustificati. Perfino il vigilante, un
ragazzone rumeno che entrava a malapena nella
divisa, si era involato. Il cantiere era fermo,
e i costruttori, i fratelli Caltabidone, stavano
perdendo un milione per ogni ora di lavoro
mancato...
E non era bastato: sulla
via del ritorno, il signor Gregorio aveva
cercato inutilmente una stazione di servizio
aperta, perché i benzinai della zona, quasi
tutti extracomunitari, erano svaniti come tutti
gli altri; quindi la macchina era rimasta senza
benzina, e il nostro amico si era dovuto fare
qualcosa come dieci chilometri a piedi, con la
borsa sotto il braccio, arrivando a casa
praticamente distrutto. Dalla guardiola,
intanto, era uscita in lacrime la moglie del
portiere: il marito, un diligentissimo signore
peruviano, con cui era sposata da oltre 12 anni,
s'era dissolto nel nulla, dalla sera alla
mattina. «Non sarà scappato con la vostra
polacca, quella madonnina infilzata?»
«Non toccatemi la mia Bogena, che è un tesoro,
una ragazza preziosa...!».
Il marito bloccò la signora Franca prima che
investisse la povera portiera come un tir
impazzito:
«Ma che scappato, si sono eclissati tutti, tutti
gli immigrati, è come un'epidemia».
Lasciato il nonno dalla portiera piangente,
Gregorio S. cercò di consolare la moglie,
stringendola a sé:
«Sai che facciamo? Andiamo a mangiare un boccone
qui vicino, da Righetto, alla pizzeria...».
La signora Franca non aveva affatto voglia di
coccole:
«Non mi porti mai fuori a cena, e proprio oggi,
che sono ridotta come una zingara...».
Però la fame cominciava a farsi sentire anche
per lei: così andarono alla pizzeria. Ma da
Righetto era rimasto solo Enrico, il
proprietario: pizzettaro e aiutante, entrambi
egiziani, non si erano presentati al lavoro, e
il forno era rimasto spento. Provarono alla
trattoria all'angolo: ma aveva chiuso per
mancanza di camerieri ai tavoli. E naturalmente,
manco a dirlo, il ristorante cinese, due isolati
più avanti, quello famoso per la zuppa di pinne
di pescecane, non aveva nemmeno aperto.
I cinesi, quella mattina,
erano evaporati, proprio come ravioli al vapore,
anche dal circondario di Prato. All'alba, tutta
la provincia, e in particolare San Donnino, un
sobborgo di Campi Bisenzio, si era svegliata in
un insolito silenzio: oltre duemila telai
avevano inopinatamente smesso di sferragliare -
come facevano, giorno e notte, 24 ore su 24, 365
giorni all'anno - in altrettante piccole aziende
gestite dagli oltre 15 mila immigrati cinesi
della zona; infaticabili produttori di maglie,
borse, cinture e pellami di tutti i generi, e
fornitori di migliaia di grossisti e negozi in
tutta la regione. Nei capannoni, insieme
officine e abitazioni, soffocati dall'odore
aspro del cuoio, le macchine da cucire, le
vecchie singer cromate o i nuovi modelli,
luccicavano sinistramente. Anche lì le scuole si
erano svuotate, gli alimentari avevano buttato
quintali di riso, i bar avevano perso i loro
clienti, e avevano chiuso tutti i locali del
karaoke, dove i pronipoti di Mao, con "elle"
moscia e uno spiccato accento pratese, imitavano
Al Bano e Orietta Berti: «Finché la balca va,
lasciala andale...».
[...] A Mazara del Vallo,
nel trapanese, gli abitanti erano scesi tutti
giù al porto, le donne col velo nero, le ragazze
coi capelli al vento, in piedi sul molo come le
comparse de La terra trema: nove
pescherecci su dieci non erano potuti uscire per
mancanza di uomini. S'erano eclissati non
soltanto i pescatori, ma tutti i residenti
tunisini di quella che fino al mattino era la
città più "araba" d'Europa. [...]
Ma anche nelle altre città
d'Italia l'inopinata sparizione degli immigrati
aveva creato il caos più completo: nel modenese,
le fabbriche di piastrelle di ceramica erano
state chiuse per l'improvvisa mancanza degli
operai africani; in provincia di Parma, la
scomparsa degli indiani sik, abilissimi
nell'allevamento e nella cura delle vacche -
considerato il rispetto manifestato verso questi
nobili animali nella loro cultura - aveva messo
in crisi non soltanto la distribuzione del
latte, ma anche la lavorazione di diversi tipi
di formaggio, essenziali per l'economia locale;
analoga situazione a Mondragone, in Campania,
dove i ghanesi impiegati nell'allevamento delle
bufale avevano disertato le fattorie, e la
produzione delle mozzarelle si era bloccata da
un giorno all'altro. Poco lontano, a Villa
Literno e in tutto il casertano, i rossi
pomodori sammarzano marcivano sotto un sole
inclemente, abbandonati da 10 mila stagionali
extracomunitari liquefattisi nella notte.
[...] A Roma l'Osservatore
Romano uscì il pomeriggio in edizione
straordinaria, con un titolo a nove colonne
sulle oltre 200 parrocchie rimaste senza
sacerdote per l'immotivata assenza dei preti
stranieri; a Genova, la città più anziana della
penisola, la Protezione Civile dovette
intervenire per assistere i vecchietti
arterosclerotici, che privati dei loro
accompagnatori asiatici, giravano per vicoli e
carrugi senza più riuscire a trovare la strada
di casa. A Firenze, oltre 150 ristoranti cinesi,
abbandonati, erano stati occupati dai tifosi
viola, esasperati per la scomparsa di Batistuta
e degli altri "stranieri" della squadra.
La situazione più
drammatica, forse, si dovette registrare nella
provincia di Piacenza: dove il sindaco leghista
di un paesino della bassa Padania aveva
rischiato il linciaggio da parte dei piccoli
imprenditori locali, convinti che fosse stato
lui - come aveva minacciato tante volte - a far
andar via tutti i lavoratori extracomunitari,
rendendo impossibile ogni attività produttiva.
Quella sera, il Ragioniere
dello Stato Monorchio, intervistato a reti
unificate, fornì un quadro dettagliato della
catastrofe provocata dalla sparizione degli
immigrati: 540 mila lavoratori dipendenti in
meno; 20 mila lavoratori autonomi scomparsi;
oltre 150 mila famiglie italiane abbandonate
dalle 60 mila collaboratrici domestiche
extracomunitarie; un "buco" di 166 mila avviati
al lavoro in meno ogni anno; una voragine
previdenziale di 2400 miliardi di lire di
contributi mancati, con fosche previsioni per
l'avvenire di oltre 9 milioni di pensionati. La
ministra Turco, accanto a lui, snocciolava le
cifre degli Affari Sociali: 80 mila banchi vuoti
nelle scuole, 120 mila mariti o mogli senza i
rispettivi coniugi stranieri, un ulteriore calo
demografico di quasi 2 punti in un Paese che
conta già una percentuale di anziani del 23 %,
tra le più alte del mondo, destinata a
raddoppiare in meno di 50 anni. In un angolo,
con le occhiaie più profonde del solito, il
ministro delle Finanze, Visco, nell'atto di
annunciare un aumento delle tasse del 17%,
scoppiò in un pianto dirotto.
Ma Gregorio S. e sua
moglie, la signora Franca, non stavano
ascoltando il telegiornale: litigavano ormai da
due ore, rinfacciandosi il vergognoso disordine
della casa, rimproverandosi per non aver fatto
la spesa, biasimandosi l'un l'altra per aver
abbandonato i bambini a casa degli amici.
Protestando, lui, per la cena fredda e la
camicia non stirata; e lamentandosi, lei, perché
il capoufficio l'avrebbe licenziata e lei non
intendeva certo tornare a fare la casalinga e
lui si illudeva se pensava di aver trovato una
serva e quel rimbambito del nonno non era certo
suo padre e se lo doveva sorbire lui e...
Il signor S. quella notte
fu spedito a dormire sul divano, mentre la
signora Franca, ormai in preda a una crisi
isterica, raddrizzava ululando tutte le
stampelle di ferro della tintoria per farne
spilloni da infilzare nel cuscino del marito; e
il nonno si rigirava nel letto, invocando
sommessamente il suo filippino. All'una e mezza
Gregorio S. si infilò il cappotto e prese le
chiavi della macchina della moglie, deciso ad
affogare la frustrazione in un bottiglia di
whisky e qualche ora di trasgressione. Tornò a
casa all'alba, con gli occhiali rotti e un
occhio nero. Aveva scambiato una farmacista, la
dottoressa Fabretti, una vistosa mora di origini
romagnole, per un viado brasiliano.
*Luoghi, cifre e
circostanze non sono di fantasia. I dati sono
stati raccolti dall'Archivio dell'Immigrazione
di Roma e dal dossier statistico della Caritas
1999
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