conclusioni passionali dettate
dall'emozione del momento. Mi preoccupo dei giovani perché tanto, ai
vecchi, la testa non la si cambia più.
Tutte le guerre di
religione che hanno insanguinato il mondo per secoli sono nate da
adesioni passionali a contrapposizioni semplicistiche, come Noi e
gli Altri, buoni e cattivi, bianchi e neri. Se la cultura
occidentale si è dimostrata feconda (non solo dall'Illuminismo a
oggi ma anche prima, quando il francescano Ruggero Bacone invitava a
imparare le lingue perché abbiamo qualcosa da apprendere anche dagli
infedeli) è anche perché si è sforzata di "sciogliere", alla luce
dell'indagine e dello spirito critico, le semplificazioni dannose.
Naturalmente non lo ha fatto sempre, perché fanno parte della storia
della cultura occidentale anche Hitler, che bruciava i libri,
condannava l' arte "degenerata", uccideva gli appartenenti alle
razze "inferiori", o il fascismo che mi insegnava a scuola a
recitare "Dio stramaledica gli inglesi" perché erano "il popolo dei
cinque pasti" e dunque dei ghiottoni inferiori all'italiano parco e
spartano.
Ma sono gli aspetti migliori della nostra cultura
quelli che dobbiamo discutere coi giovani, e di ogni colore, se non
vogliamo che crollino nuove torri anche nei giorni che essi vivranno
dopo di noi. Un elemento di confusione è che spesso non si riesce a
cogliere la differenza tra l'identificazione con le proprie radici,
il capire chi ha altre radici e il giudicare ciò che è bene o male.
Quanto a radici, se mi chiedessero se preferirei passare gli anni
della pensione in un paesino del Monferrato, nella maestosa cornice
del parco nazionale dell'Abruzzo o nelle dolci colline del senese,
sceglierei il Monferrato. Ma ciò non comporta che giudichi altre
regioni italiane inferiori al Piemonte.
Quindi se, con le sue
parole (pronunciate per gli occidentali ma cancellate per gli
arabi), il presidente del Consiglio voleva dire che preferisce
vivere ad Arcore piuttosto che a Kabul, e farsi curare in un
ospedale milanese piuttosto che in uno di Bagdad, sarei pronto a
sottoscrivere la sua opinione (Arcore a parte). E questo anche se mi
dicessero che a Bagdad hanno istituito l'ospedale più attrezzato del
mondo: a Milano mi troverei più a casa mia, e questo influirebbe
anche sulle mie capacità di ripresa. Le radici possono essere anche
più ampie di quelle regionali o nazionali. Preferirei vivere a
Limoges, tanto per dire, che a Mosca. Ma come, Mosca non è una città
bellissima? Certamente, ma a Limoges capirei la lingua. Insomma,
ciascuno si identifica con la cultura in cui è cresciuto e i casi di
trapianto radicale, che pure ci sono, sono una minoranza. Lawrence
d'Arabia si vestiva addirittura come gli arabi, ma alla fine è
tornato a casa propria.
***
Passiamo ora al confronto
di civiltà, perché è questo il punto. L'Occidente, sia pure e spesso
per ragioni di espansione economica, è stato curioso delle altre
civiltà. Molte volte le ha liquidate con disprezzo: i greci
chiamavano barbari, e cioè balbuzienti, coloro che non parlavano la
loro lingua e dunque era come se non parlassero affatto. Ma dei
greci più maturi come gli stoici (forse perché alcuni di loro erano
di origine fenicia) hanno ben presto avvertito che i barbari usavano
parole diverse da quelle greche, ma si riferivano agli stessi
pensieri. Marco Polo ha cercato di descrivere con grande rispetto
usi e costumi cinesi, i grandi maestri della teologia cristiana
medievale cercavano di farsi tradurre i testi dei filosofi, medici e
astrologi arabi, gli uomini del Rinascimento hanno persino esagerato
nel loro tentativo di ricuperare perdute saggezze orientali, dai
Caldei agli Egizi, Montesquieu ha cercato di capire come un persiano
potesse vedere i francesi, e antropologi moderni hanno condotto i
loro primi studi sui rapporti dei salesiani, che andavano sì presso
i Bororo per convertirli, se possibile, ma anche per capire quale
fosse il loro modo di pensare e di vivere forse memori del fatto che
missionari di alcuni secoli prima non erano riusciti a capire le
civiltà amerindie e ne avevano incoraggiato lo sterminio.
Ho
nominato gli antropologi. Non dico cosa nuova se ricordo che, dalla
metà del XIX secolo in avanti, l'antropologia culturale si è
sviluppata come tentativo di sanare il rimorso dell'Occidente nei
confronti degli Altri, e specialmente di quegli Altri che erano
definiti selvaggi, società senza storia, popoli primitivi.
L'Occidente coi selvaggi non era stato tenero: li aveva "scoperti",
aveva tentato di evangelizzarli, li aveva sfruttati, molti ne aveva
ridotto in schiavitù, tra l'altro con l'aiuto degli arabi, perché le
navi degli schiavi venivano scaricate a New Orleans da raffinati
gentiluomini di origine francese, ma stivate sulle coste africane da
trafficanti musulmani. L'antropologia culturale (che poteva
prosperare grazie all'espansione coloniale) cercava di riparare ai
peccati del colonialismo mostrando che quelle culture "altre" erano
appunto delle culture, con le loro credenze, i loro riti, le loro
abitudini, ragionevolissime del contesto in cui si erano sviluppate,
e assolutamente organiche, vale a dire che si reggevano su una loro
logica interna. Il compito dell'antropologo culturale era di
dimostrare che esistevano delle logiche diverse da quelle
occidentali, e che andavano prese sul serio, non disprezzate e
represse.
Questo non voleva dire che gli antropologi, una
volta spiegata la logica degli Altri, decidessero di vivere come
loro; anzi, tranne pochi casi, finito il loro pluriennale lavoro
oltremare se ne tornavano a consumare una serena vecchiaia nel
Devonshire o in Piccardia. Però leggendo i loro libri qualcuno
potrebbe pensare che l'antropologia culturale sostenga una posizione
relativistica, e affermi che una cultura vale l'altra. Non mi pare
sia così. Al massimo l'antropologo ci diceva che, sino a che gli
Altri se ne stavano a casa propria, bisognava rispettare il loro
modo di vivere.
***
La vera lezione che si deve trarre
dall'antropologia culturale è piuttosto che, per dire se una cultura
è superiore a un'altra, bisogna fissare dei parametri. Un conto è
dire che cosa sia una cultura e un conto dire in base a quali
parametri la giudichiamo. Una cultura può essere descritta in modo
passabilmente oggettivo: queste persone si comportano così, credono
negli spiriti o in un'unica divinità che pervade di sé tutta la
natura, si uniscono in clan parentali secondo queste regole,
ritengono che sia bello trafiggersi il naso con degli anelli
(potrebbe essere una descrizione della cultura giovanile in
Occidente), ritengono impura la carne di maiale, si circoncidono,
allevano i cani per metterli in pentola nei dì festivi o, come ancor
dicono gli americani dei francesi, mangiano le rane.
L'antropologo ovviamente sa che l'obiettività viene sempre
messa in crisi da tanti fattori. L'anno scorso sono stato nei paesi
Dogon e ho chiesto a un ragazzino se fosse musulmano. Lui mi ha
risposto, in francese, "no, sono animista". Ora, credetemi, un
animista non si definisce animista se non ha almeno preso un diploma
alla Ecole des Hautes Etudes di Parigi, e quindi quel bambino
parlava della propria cultura così come gliela avevano definita gli
antropologi. Gli antropologi africani mi raccontavano che quando
arriva un antropologo europeo i Dogon, ormai scafatissimi, gli
raccontano quello che aveva scritto tanti anni fa un antropologo,
Griaule (al quale però, così almeno asserivano gli amici africani
colti, gli informatori indigeni avevano raccontato cose abbastanza
slegate tra loro che poi lui aveva riunito in un sistema
affascinante ma di dubbia autenticità). Tuttavia, fatta la tara di
tutti i malintesi possibili di una cultura "altra" si può avere una
descrizione abbastanza "neutra". I parametri di giudizio sono
un'altra cosa, dipendono dalle nostre radici, dalle nostre
preferenze, dalle nostre abitudini, dalle nostre passioni, da un
nostro sistema di valori. Facciamo un esempio. Riteniamo noi che il
prolungare la vita media da quaranta a ottant'anni sia un valore? Io
personalmente lo credo, però molti mistici potrebbero dirmi che, tra
un crapulone che campa ottant'anni e san Luigi Gonzaga che ne campa
ventitré, è il secondo che ha avuto una vita più piena. Ma
ammettiamo che l'allungamento della vita sia un valore: se è così la
medicina e la scienza occidentale sono certamente superiori a molti
altri saperi e pratiche mediche.
Crediamo che lo sviluppo
tecnologico, l'espansione dei commerci, la rapidità dei trasporti
siano un valore? Moltissimi la pensano così, e hanno diritto di
giudicare superiore la nostra civiltà tecnologica. Ma, proprio
all'interno del mondo occidentale, ci sono coloro che reputano
valore primario una vita in armonia con un ambiente incorrotto, e
dunque sono pronti a rinunciare ad aerei, automobili, frigoriferi,
per intrecciare canestri e muoversi a piedi di villaggio in
villaggio, pur di non avere il buco dell'ozono. E dunque vedete che,
per definire una cultura migliore dell'altra, non basta descriverla
(come fa l'antropologo) ma occorre il richiamo a un sistema di
valori a cui riteniamo di non potere rinunciare. Solo a questo punto
possiamo dire che la nostra cultura, per noi, è
migliore.
***
In questi giorni si è assistito a varie
difese di culture diverse in base a parametri discutibili. Proprio
l'altro giorno leggevo una lettera a un grande quotidiano dove si
chiedeva sarcasticamente come mai i premi Nobel vanno solo agli
occidentali e non agli orientali. A parte il fatto che si trattava
di un ignorante che non sapeva quanti premi Nobel per la letteratura
sono andati a persone di pelle nera e a grandi scrittori islamici, a
parte che il premio Nobel per la fisica del 1979 è andato a un
pakistano che si chiama Abdus Salam, affermare che riconoscimenti
per la scienza vanno naturalmente a chi lavora nell'ambito della
scienza occidentale è scoprire l'acqua calda, perché nessuno ha mai
messo in dubbio che la scienza e la tecnologia occidentali siano
oggi all'avanguardia. All'avanguardia di cosa? Della scienza e della
tecnologia. Quanto è assoluto il parametro dello sviluppo
tecnologico? Il Pakistan ha la bomba atomica e l'Italia no. Dunque
noi siamo una civiltà inferiore? Meglio vivere a Islamabad che ad
Arcore?
I sostenitori del dialogo ci richiamano al rispetto
del mondo islamico ricordando che ha dato uomini come Avicenna (che
tra l'altro è nato a Buchara, non molto lontano dall'Afghanistan) e
Averroè - ed è un peccato che si citino sempre questi due, come
fossero gli unici, e non si parli di Al Kindi, Avenpace, Avicebron,
Ibn Tufayl, o di quel grande storico del XIV secolo che fu Ibn
Khaldun, che l'Occidente considera addirittura l'iniziatore delle
scienze sociali. Ci ricordano che gli arabi di Spagna coltivavano
geografia, astronomia, matematica o medicina quando nel mondo
cristiano si era molto più indietro. Tutte cose verissime, ma questi
non sono argomenti, perché a ragionare così si dovrebbe dire che
Vinci, nobile comune toscano, è superiore a New York, perché a Vinci
nasceva Leonardo quando a Manhattan quattro indiani stavano seduti
per terra ad aspettare per più di centocinquant'anni che arrivassero
gli olandesi a comperargli l'intera penisola per ventiquattro
dollari. E invece no, senza offesa per nessuno, oggi il centro del
mondo è New York e non Vinci.
Le cose cambiano. Non serve
ricordare che gli arabi di Spagna erano assai tolleranti con
cristiani ed ebrei mentre da noi si assalivano i ghetti, o che il
Saladino, quando ha riconquistato Gerusalemme, è stato più
misericordioso coi cristiani di quanto non fossero stati i cristiani
con i saraceni quando Gerusalemme l'avevano conquistata. Tutte cose
esatte, ma nel mondo islamico ci sono oggi regimi fondamentalisti e
teocratici che i cristiani non li tollerano e Bin Laden non è stato
misericordioso con New York. La Battriana è stato un incrocio di
grandi civiltà, ma oggi i talebani prendono a cannonate i Buddha. Di
converso, i francesi hanno fatto il massacro della Notte di San
Bartolomeo, ma questo non autorizza nessuno a dire che oggi siano
dei barbari.
Non andiamo a scomodare la storia perché è
un'arma a doppio taglio. I turchi impalavano (ed è male) ma i
bizantini ortodossi cavavano gli occhi ai parenti pericolosi e i
cattolici bruciavano Giordano Bruno; i pirati saraceni ne facevano
di cotte e di crude, ma i corsari di sua maestà britannica, con
tanto di patente, mettevano a fuoco le colonie spagnole nei carabi;
Bin Laden e Saddam Hussein sono nemici feroci della civiltà
occidentale, ma all'interno della civiltà occidentale abbiamo avuto
signori che si chiamavano Hitler o Stalin (Stalin era così cattivo
che è sempre stato definito come orientale, anche se aveva studiato
in seminario e letto Marx).
No, il problema dei parametri non
si pone in chiave storica, bensì in chiave contemporanea. Ora, una
delle cose lodevoli delle culture occidentali (libere e
pluralistiche, e questi sono i valori che noi riteniamo
irrinunciabili) è che si sono accorte da gran tempo che la stessa
persona può essere portata a manovrare parametri diversi, e
mutuamente contraddittori, su questioni differenti. Per esempio si
reputa un bene l'allungamento della vita e un male l'inquinamento
atmosferico, ma avvertiamo benissimo che forse, per avere i grandi
laboratori in cui si studia l'allungamento della vita, occorre avere
un sistema di comunicazioni e rifornimento energetico che poi, dal
canto proprio, produce l'inquinamento. La cultura occidentale ha
elaborato la capacità di mettere liberamente a nudo le sue proprie
contraddizioni.
Magari non le risolve, ma sa che ci sono, e
lo dice. In fin dei conti tutto il dibattito su globale-sì e
globale-no sta qui, tranne che per le tute nere spaccatutto: come è
sopportabile una quota di globalizzazione positiva evitando i rischi
e le ingiustizie della globalizzazione perversa, come si può
allungare la vita anche ai milioni di africani che muoiono di Aids
(e nel contempo allungare anche la nostra) senza accettare una
economia planetaria che fa morire di fame gli ammalati di Aids e fa
ingoiare cibi inquinati a noi?
Ma proprio questa critica dei
parametri, che l'Occidente persegue e incoraggia, ci fa capire come
la questione dei parametri sia delicata. E' giusto e civile
proteggere il segreto bancario? Moltissimi ritengono di sì. Ma se
questa segretezza permette ai terroristi di tenere i loro soldi
nella City di Londra? Allora, la difesa della cosiddetta privacy è
un valore positivo o dubbio? Noi mettiamo continuamente in
discussione i nostri parametri. Il mondo occidentale lo fa a tal
punto che consente ai propri cittadini di rifiutare come positivo il
parametro dello sviluppo tecnologico e di diventare buddisti o di
andare a vivere in comunità dove non si usano i pneumatici, neppure
per i carretti a cavalli. La scuola deve insegnare ad analizzare e
discutere i parametri su cui si reggono le nostre affermazioni
passionali.
***
Il problema che l'antropologia
culturale non ha risolto è cosa si fa quando il membro di una
cultura, i cui principi abbiamo magari imparato a rispettare, viene
a vivere in casa nostra. In realtà la maggior parte delle reazioni
razziste in Occidente non è dovuta al fatto che degli animisti
vivano nel Mali (basta che se ne stiano a casa propria, dice infatti
la Lega), ma che gli animisti vengano a vivere da noi. E passi per
gli animisti, o per chi vuole pregare in direzione della Mecca, ma
se vogliono portare il chador, se vogliono infibulare le loro
ragazze, se (come accade per certe sette occidentali) rifiutano le
trasfusioni di sangue ai loro bambini ammalati, se l'ultimo
mangiatore d'uomini della Nuova Guinea (ammesso che ci sia ancora)
vuole emigrare da noi e farsi arrosto un giovanotto almeno ogni
domenica?
Sul mangiatore d'uomini siamo tutti d'accordo, lo
si mette in galera (ma specialmente perché non sono un miliardo),
sulle ragazze che vanno a scuola col chador non vedo perché fare
tragedie se a loro piace così, sulla infibulazione il dibattito è
invece aperto (c'è persino chi è stato così tollerante da suggerire
di farle gestire dalle unità sanitarie locali, così l'igiene è
salva), ma cosa facciamo per esempio con la richiesta che le donne
musulmane possano essere fotografate sul passaporto col velo?
Abbiamo delle leggi, uguali per tutti, che stabiliscono dei criteri
di identificazione dei cittadini, e non credo si possa deflettervi.
Io quando ho visitato una moschea mi sono tolto le scarpe, perché
rispettavo le leggi e le usanze del paese ospite. Come la mettiamo
con la foto velata?
Credo che in questi casi si possa
negoziare. In fondo le foto dei passaporti sono sempre infedeli e
servono a quel che servono, si studino delle tessere magnetiche che
reagiscono all'impronta del pollice, chi vuole questo trattamento
privilegiato ne paghi l'eventuale sovrapprezzo. E se poi queste
donne frequenteranno le nostre scuole potrebbero anche venire a
conoscenza di diritti che non credevano di avere, così come molti
occidentali sono andati alle scuole coraniche e hanno deciso
liberamente di farsi musulmani. Riflettere sui nostri parametri
significa anche decidere che siamo pronti a tollerare tutto, ma che
certe cose sono per noi intollerabili.
***
L'Occidente
ha dedicato fondi ed energie a studiare usi e costumi degli Altri,
ma nessuno ha mai veramente consentito agli Altri di studiare usi e
costumi dell'Occidente, se non nelle scuole tenute oltremare dai
bianchi, o consentendo agli Altri più ricchi di andare a studiare a
Oxford o a Parigi - e poi si vede cosa succede, studiano in
Occidente e poi tornano a casa a organizzare movimenti
fondamentalisti, perché si sentono legati ai loro compatrioti che
quegli studi non li possono fare (la storia è peraltro vecchia, e
per l'indipendenza dell'India si sono battuti intellettuali che
avevano studiato con gli inglesi).
Antichi viaggiatori arabi
e cinesi avevano studiato qualcosa dei paesi dove tramonta il sole,
ma sono cose di cui sappiamo abbastanza poco. Quanti antropologi
africani o cinesi sono venuti a studiare l'Occidente per raccontarlo
non solo ai propri concittadini, ma anche a noi, dico raccontare a
noi come loro ci vedono? Esiste da alcuni anni una organizzazione
internazionale chiamata Transcultura che si batte per una
"antropologia alternativa". Ha condotto studiosi africani che non
erano mai stati in Occidente a descrivere la provincia francese e la
società bolognese, e vi assicuro che quando noi europei abbiamo
letto che due delle osservazioni più stupite riguardavano il fatto
che gli europei portano a passeggio i loro cani e che in riva al
mare si mettono nudi - beh, dico, lo sguardo reciproco ha
incominciato a funzionare da ambo le parti, e ne sono nate
discussioni interessanti.
In questo momento, in vista di un
convegno finale che si svolgerà a Bruxelles a novembre, tre cinesi,
un filosofo, un antropologo e un artista, stanno terminando il loro
viaggio di Marco Polo alla rovescia, salvo che anziché limitarsi a
scrivere il loro Milione registrano e filmano. Alla fine non so cosa
le loro osservazioni potranno spiegare ai cinesi, ma so che cosa
potranno spiegare anche a noi. Immaginate che fondamentalisti
musulmani vengano invitati a condurre studi sul fondamentalismo
cristiano (questa volta non c'entrano i cattolici, sono protestanti
americani, più fanatici di un ayatollah, che cercano di espungere
dalle scuole ogni riferimento a Darwin). Bene, io credo che lo
studio antropologico del fondamentalismo altrui possa servire a
capire meglio la natura del proprio. Vengano a studiare il nostro
concetto di guerra santa (potrei consigliare loro molti scritti
interessanti, anche recenti) e forse vedrebbero con occhio più
critico l'idea di guerra santa in casa loro. In fondo noi
occidentali abbiamo riflettuto sui limiti del nostro modo di pensare
proprio descrivendo la pensée sauvage.
***
Uno
dei valori di cui la civiltà occidentale parla molto è
l'accettazione delle differenze. Teoricamente siamo tutti d'accordo,
è politically correct dire in pubblico di qualcuno che è gay, ma poi
a casa si dice ridacchiando che è un frocio. Come si fa a insegnare
l'accettazione della differenza? L'Academie Universelle des Cultures
ha messo in linea un sito dove si stanno elaborando materiali su
temi diversi (colore, religione, usi e costumi e così via) per gli
educatori di qualsiasi paese che vogliano insegnare ai loro scolari
come si accettano coloro che sono diversi da loro. Anzitutto si è
deciso di non dire bugie ai bambini, affermando che tutti siamo
uguali. I bambini si accorgono benissimo che alcuni vicini di casa o
compagni di scuola non sono uguali a loro, hanno una pelle di colore
diverso, gli occhi tagliati a mandorla, i capelli più ricci o più
lisci, mangiano cose strane, non fanno la prima comunione. Né basta
dirgli che sono tutti figli di Dio, perché anche gli animali sono
figli di Dio, eppure i ragazzi non hanno mai visto una capra in
cattedra a insegnargli l'ortografia. Dunque bisogna dire ai bambini
che gli esseri umani sono molto diversi tra loro, e spiegare bene in
che cosa sono diversi, per poi mostrare che queste diversità possono
essere una fonte di ricchezza.
Il maestro di una città
italiana dovrebbe aiutare i suoi bambini italiani a capire perché
altri ragazzi pregano una divinità diversa, o suonano una musica che
non sembra il rock. Naturalmente lo stesso deve fare un educatore
cinese con bambini cinesi che vivono accanto a una comunità
cristiana. Il passo successivo sarà mostrare che c'è qualcosa in
comune tra la nostra e la loro musica, e che anche il loro Dio
raccomanda alcune cose buone. Obiezione possibile: noi lo faremo a
Firenze, ma poi lo faranno anche a Kabul? Bene, questa obiezione è
quanto di più lontano possa esserci dai valori della civiltà
occidentale. Noi siamo una civiltà pluralistica perché consentiamo
che a casa nostra vengano erette delle moschee, e non possiamo
rinunciarvi solo perché a Kabul mettono in prigione i propagandisti
cristiani. Se lo facessimo diventeremmo talebani anche noi.
Il parametro della tolleranza della diversità è certamente
uno dei più forti e dei meno discutibili, e noi giudichiamo matura
la nostra cultura perché sa tollerare la diversità, e barbari quegli
stessi appartenenti alla nostra cultura che non la tollerano. Punto
e basta. Altrimenti sarebbe come se decidessimo che, se in una certa
area del globo ci sono ancora cannibali, noi andiamo a mangiarli
così imparano. Noi speriamo che, visto che permettiamo le moschee a
casa nostra, un giorno ci siano chiese cristiane o non si bombardino
i Buddha a casa loro. Questo se crediamo nella bontà dei nostri
parametri.
***
Molta è la confusione sotto il cielo.
Di questi tempi avvengono cose molto curiose. Pare che difesa dei
valori dell'Occidente sia diventata una bandiera della destra,
mentre la sinistra è come al solito filo islamica. Ora, a parte il
fatto che c'è una destra e c'è un cattolicesimo integrista
decisamente terzomondista, filoarabo e via dicendo, non si tiene
conto di un fenomeno storico che sta sotto gli occhi di tutti. La
difesa dei valori della scienza, dello sviluppo tecnologico e della
cultura occidentale moderna in genere è stata sempre una
caratteristica delle ali laiche e progressiste. Non solo, ma a una
ideologia del progresso tecnologico e scientifico si sono richiamati
tutti i regimi comunisti. Il Manifesto del 1848 si apre con un
elogio spassionato dell'espansione borghese; Marx non dice che
bisogna invertire la rotta e passare al modo di produzione asiatico,
dice solo che questi di questi valori e di questi successi si
debbono impadronire i proletari.
Di converso è sempre stato
il pensiero reazionario (nel senso più nobile del termine), almeno a
cominciare col rifiuto della rivoluzione francese, che si è opposto
all'ideologia laica del progresso affermando che si deve tornare ai
valori della Tradizione. Solo alcuni gruppi neonazisti si rifanno a
una idea mitica dell'Occidente e sarebbero pronti a sgozzare tutti i
musulmani a Stonehenge. I più seri tra i pensatori della Tradizione
(tra cui anche molti che votano Alleanza Nazionale) si sono sempre
rivolti, oltre che a riti e miti dei popoli primitivi, o alla
lezione buddista, proprio all'Islam, come fonte ancora attuale di
spiritualità alternativa. Sono sempre stati lì a ricordarci che noi
non siamo superiori, bensì inariditi dall'ideologia del progresso, e
che la verità dobbiamo andarla a cercare tra i mistici Sufi o tra i
dervisci danzanti. E queste cose non le dico io, le hanno sempre
dette loro. Basta andare in una libreria e cercare negli scaffali
giusti.
In questo senso a destra si sta aprendo ora una
curiosa spaccatura. Ma forse è solo segno che nei momenti di grande
smarrimento (e certamente viviamo uno di questi) nessuno sa più da
che parte sta. Però è proprio nei momenti di smarrimento che bisogna
sapere usare l'arma dell'analisi e della critica, delle nostre
superstizioni come di quelle altrui. Spero che di queste cose si
discuta nelle scuole, e non solo nelle conferenze
stampa. |