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									|  | 
										
											
												|  | Secondo lo 
									storico Tito Livio "l'inizio 
									dell'ammirazione per le opere d'arte dei 
									Greci" da parte dei Romani è collegato a 
									un episodio di carattere militare: la conquista della 
									città di 
									Siracusa (212 a.C.) ad opera di Marco 
									Claudio Marcello. Lo stesso storico sostiene che la conquista 
									di un'altra città, Magnesia ad Sipylum (189 
									a.C.), 
									
									“segnò la fine dei 
									simulacri di legno e terracotta nei templi 
									di Roma, rimpiazzati da opere d’arte 
									importate”.
 Cosa c'entra la guerra con l'arte? C'entra, 
									eccome! La conquista di una città o di un 
									territorio era sempre accompagnata dal 
									saccheggio di tutte le ricchezze degli 
									sconfitti, dalle statue degli dèi agli 
									animali ai manufatti; e agli schiavi, 
									naturalmente. E il bottino razziato veniva 
									presentato al popolo di Roma nel corteo del 
									'Trionfo'¹, 
									una cerimonia destinata ai generali 
									vittoriosi (a patto che avessero massacrato 
									in una unica battaglia almeno 5.000 nemici) 
									e, col tempo, riservata ai soli imperatori.
 Dal 212 a.C. il tipo di bottino che passa 
									sotto gli occhi dei romani cambia 
									sensibilmente... e rivoluziona il gusto 
									della città.
 |  |  |  |  
						
							| Siracusa era una città 
							della Sicilia, in quella che era chiamata Magna 
							Grecia. Secondo i greci Tucidide e Plutarco era "non 
							meno grandiosa di Atene" mentre il romano 
							Cicerone la definiva "la più grande delle città 
							greche, e la più bella" (maxima et 
							pulcherrima). Questa magnifica città nel 212 a.C. viene 
							conquistata da Marco Claudio Marcello, che la 
							saccheggia. E il ricco bottino viene fatto sfilare 
							nel trionfo, lasciando i provincialotti romani a 
							bocca aperta: "[Marcello] 
							portò via da Siracusa la massima parte, e le più 
							belle, fra le opere d’arte per lo spettacolo del suo 
							trionfo e per l’ornamento della città. Roma infatti 
							non conosceva né possedeva prima di allora nessuno 
							di quegli oggetti di lusso e di raffinatezza, né si 
							compiaceva di grazia e di eleganza […]” 
							(Plutarco).
							E subito cominciano i guai. Racconta ancora 
							Plutarco che se da una parte Marcello "divenne 
							più stimato presso il popolo, avendo arricchito la 
							città" dall'altra c'era chi gli rimproverava "di 
							aver riempito di ozio e di chiacchiere e di aver 
							portato urbanamente a discutere di arte e di 
							artisti, passando in ciò molta parte del giorno, 
							quel popolo abituato a combattere e a coltivare 
							campi, schivo di ogni mollezza e ogni frivolezza”.
 
 Le cose peggiorano (o migliorano, a seconda dei 
							punti di vista) con il trionfo degli Scipioni (Lucio 
							Cornelio e Publio Cornelio), che nel 190 a.C. 
							sconfiggono a Magnesia ad Sipylum il re Antioco III 
							di Siria e portano a Roma un bottino enorme in opere 
							d'arte, oro e argento.
 
 Le cose addirittura precipitano nel 168 a.C., quando 
							Lucio Emilio Paolo sconfigge a Pidna il re Perseo di 
							Macedonia. È ancora lo storico Plutarco a guidarci 
							nel corteo trionfale, durato per ben tre giorni:
 
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						| 
						 |  
						| CLAUDE-JOSEPH 
						VERNET, Il trionfo di Emilio Paolo, 1789
 |  
						| "il 
						primo, a stento sufficiente per le statue e le 
						iscrizioni e i colossi catturati, che venivano portati 
						su duecentocinquanta carri, fu occupato dalla 
						presentazione di questi. Il giorno seguente, invece, 
						furono fatte sfilare su molti carri le più belle e 
						ricche armi macedoni
						[…] dopo i carri che portavano le armi si 
						avanzavano tremila uomini i quali portavano denaro 
						d’argento in seiecentocinquanta vasi di tre talenti, che 
						reggevano in quattro ciascuno. Il terzo giorno, subito 
						fin dal mattino, si avanzarono i trombettieri 
						[…] Dietro 
						costoro venivano centoventi buoi dalle corna dorate 
						[…] Poi dietro 
						a questi, c’erano quelli che portavano le monete d’oro, 
						suddivise in vasi di tre talenti analogamente a quelle 
						d’argento […] 
						a queste tenevano dietro il carro di Perseo e le armi 
						e il diadema posato sopra le armi. Poi, dopo un breve 
						intervallo, venivano condotti schiavi i figli del re, e 
						con loro una folla di aii e precettori e pedagoghi in 
						lacrime […]
						Subito dietro a questi venivano portate corone d’oro 
						in numero di quattrocento, che le città avevano mandato 
						ad Emilio con ambascerie quali riconoscimenti al valore 
						della vittoria: infine teneva dietro egli stesso, 
						montato su un carro splendidamente adornato, uomo degno 
						di essere adornato 
						[…] avvolto in una veste di porpora ornata 
						d’oro e intento a protendere con la destra un ramo di 
						alloro. Portava rami d’alloro anche l’intero esercito, 
						il quale seguiva al carro del comandante ordinato in 
						compagnie e reggimenti, cantando ora certi canti patrii 
						mescolati a risate, ora invece peani di vittoria e lodi 
						per le imprese compiute da Emilio".
 
 Dopo la conquista della Grecia (146 a.C.) e 
						l'acquisizione del regno di Pergamo in Asia Minore (133 
						a.C.), l'afflusso a Roma di opere d'arte diventa 
						inarrestabile: i templi e i portici si riempiono di 
						statue². 
						Sono bottino di guerra, e per questo sono dedicate agli 
						dèi; ma sono anche 'belle' da vedere e rendono più bella 
						la città. A poco a poco la 'malattia' dell'arte colpisce 
						anche i romani, e a niente valgono le critiche dei 
						tradizionalisti come Catone il Censore, che definisce i 
						greci 'lestofanti' e teme che "quelle 
						ricchezze abbiano conquistato noi anziché essere da noi 
						conquistate”.
 Anche se ancora nel 70 a.C. Cicerone doveva nascondere 
						in pubblico la sua passione di collezionista, facendo 
						finta di essere incompetente in materia d'arte durante 
						il 
						processo contro Verre, alla fine i timori di Catone 
						si avvereranno: "la Grecia,
						conquistata [dai Romani], conquistò il feroce 
						vincitore / e le arti portò 
						nel Lazio agreste" (Graecia capta ferum victorem 
						cepit / 
						
						et artes intulit agresti Latio) 
						(Orazio).
 
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					|  |  | ¹ Il 'Trionfo' a 
					Roma: C. Auliard, Victoires et Triomphes à Rome, 
					Paris 2001; A.D. Lunsford, Romans on Parade: 
					Representations of Romanness in the Triumph, 
					Dissertation (The Ohio State University, 2004); P. Liverani,
					Dal trionfo pagano all'adventus cristiano: percorsi della 
					Roma imperiale, 'Anales de Arqueología Cordobesa', 18 
					(2007), pp. 385-400 (tutti con ampia bibliografia).
 ² Roma e l'arte greca: C.C. 
					Vermeule, Greek Sculpture and Roman Taste, 'Boston Museum Bulletin', 
					65 /342 (1967), pp. 175-192; A. Henrichs, Graecia Capta: 
					Roman Views of Greek Culture, 'Harvard Studies in 
					Classical Philology', 97 (1995), pp. 243-261: F. 
					Coarelli,
					
					Revixit ars: arte e ideologia a Roma: dai modelli 
					ellenistici alla tradizione repubblicana, 
					Roma 1996; C.M. Keesling, Misunderstood 
					Gestures: Iconatrophy and the Reception of Greek Sculpture 
					in the Roman Imperial Period, 'Classical Antiquity', 
					Vol. 24, No. 1 (April 2005), pp. 41-79; E. Perry,
					
					
					The Aesthetics of Emulation in the Visual Arts of Ancient 
					Rome, 
					Cambridge University Press 2005; G. Pucci, I Romani e 
					l'arte greca: originali e copie, in 'La 
					Grande Storia. L'Antichità', a cura di Umberto Eco, vol 12.
					Roma (Arti visive, letteratura e teatro), Bergamo 
					2011, pp. 291-301.
   ANDREA 
					MANTEGNA, Trionfi di Cesare in Gallia : VI tela. 
					Portatori di corsaletti, di trofei e di armature 
					(1485-1505 ca) |  
					|  |  |   |  
        
        
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