| LA MORTE DI NERONE 
 [...] ognuno dei
        suoi compagni, a turno, lo invitava a sottrarsi senza indugio agli
        oltraggi che lo attendevano, [...] A ognuno di questi preparativi
        piangeva e ripeteva continuamente: "Quale artista muore con
        me!". [...] Intanto ora invitava Sporo a cominciare i lamenti e i
        pianti, ora supplicava che qualcuno lo incoraggiasse a darsi la morte
        con il suo esempio; qualche volta rimproverava la propria neghittità
        con queste parole: "La mia vita è ignobile, disonorante - Non è
        degna di Nerone, non è proprio degna - Bisogna avere coraggio in questi
        frangenti - Su, svegliati!".
 Ormai si stavano avvicinando i cavalieri ai quali era stato raccomandato
        di condurlo vivo. Quando li sentì esclamò tremando: "Il galoppo
        dei cavalli dai piedi rapidi ferisce i miei orecchi". Poi si
        affondò la spada nella gola con l'aiuto di Epafrodito suo segretario.
        Respirava ancora quando un centurione arrivò precipitosamente e,
        fingendo di essere venuto in suo aiuto, applicò il suo mantello alla
        ferita; Nerone gli disse soltanto: "È troppo tardi!" e
        aggiunse "Questa è fedeltà!". E così dicendo morì, e i
        suoi occhi sporgendo dalla testa assunsero una tale fissità da ispirare
        orrore e terrore in coloro che li vedevano. (Svetonio, Le vite
        dei dodici Cesari, libro VI, capp.50-51)
 
 Morì nel suo trentaduesimo anno d'età, il giorno stesso in cui, un
        tempo, aveva fatto morire Ottavia e la pubblica esultanza fu così
        grande che i plebei corsero per tutta la città coi berretti di feltro
        sulla testa. (Svetonio, Le vite dei dodici Cesari, libro
        VI, cap.57)
 
 
                                                             
        LA CRUDELTÀ  
 Oltre ad Ottavia, [Nerone]
        ebbe altre due mogli: prima Poppea Sabina, [...] sposata in precedenza
        ad un cavaliere romano, poi Statilia Messalina [...]. Per poter sposare
        quest'ultima fece uccidere suo marito Attico Vestino perfino mentre
        esercitava il consolato. Si stancò subito di Ottavia, [...] In seguito,
        avendo tentato più volte, senza riuscirci, di farla strangolare, la
        ripudiò con il pretesto della sterilità, ma poiché il popolo
        disapprovava il suo divorzio e non gli risparmiava le sue invettive, la
        relegò ed infine la fece mettere a morte, sotto l'imputazione di
        adulterio: [...] Nerone sposò poi Poppea, che amò più di tutto, e
        tuttavia uccise anche lei con un calcio perché, incinta e malata, lo
        aveva rimproverato aspramente una sera che era rincasato tardi da una
        corsa di carri. [...] Non vi è nessuna categoria di parenti che fosse
        al riparo dai suoi delitti. [...] tra gli altri abusò del giovane Aulo
        Plauzio, prima di mandarlo a morte, poi gli disse: "Venga subito
        mia madre e baci il mio successore", per far capire che Agrippina
        lo aveva amato e lo aveva spinto a sperare di impossessarsi dell'Impero.
        [...] Costrinse il suo precettore Seneca a suicidarsi, benché gli
        avesse solennemente giurato [...] che avrebbe potuto morire, piuttosto
        che fargli del male. (Svetonio, Le vite dei dodici Cesari,
        libro VI, cap.35)
 
                                                      
        LA
        MORTE DI PETRONIO  
 Caio Petronio [...] fu ammesso tra i pochi intimi di Nerone, per il
        quale divenne arbitro di buon gusto, tanto che nulla trovava, nel fasto
        che lo circondava, elegante e raffinato se non quanto incontrava
        l'approvazione di Petronio. Di qui il livore di Tigellino, che [...]
        denuncia Petronio  [...]
        togliendo all'accusato ogni possibilità di difesa.
         [...] egli non
        sopportò l'idea di starsene più a lungo sospeso fra il timore e la
        speranza. Tuttavia non si tolse la vita con precipitazione ma, secondo
        il suo capriccio, si fece tagliare le vene, poi richiudere, poi aprire
        di nuovo, mentre conversava con gli amici, non già su argomenti austeri
        o tali che gli procurassero fama di grande fermezza; né dagli amici
        egli voleva sentire nulla che trattasse dell'immortalità dell'anima o
        delle massime dei filosofi; ma solo poesie leggere e versi scherzosi.
         [...] si mise a
        tavola e si abbandonò al sonno, affinché la morte, sebbene imposta,
        sembrasse fortuita. Nelle disposizioni testamentarie  [...]
        descrisse accuratamente la vita scandalosa del principe
        [Nerone]
        citando con i loro nomi giovani corrotti e donne di malaffare e, per
        filo e per segno, l'enormità di ogni dissolutezza del principe; quindi
        postovi il sigillo, mandò ogni cosa a Nerone. Spezzò poi l'anello del
        sigillo, perché non dovesse più tardi servire a provare altre vittime.
        (Tacito, Gli annali, libro XVI, capp.18-19)
 
                                                             
        LA VITA "SFRENATA" 
 La sua impudenza, la sua libidine, la sua lussuria, la sua cupidigia
        e la sua crudeltà si manifestarono da principio gradualmente e in forma
        clandestina, come una follia di gioventù, ma anche allora nessuno ebbe
        dubbi che si trattasse di vizi di natura e non dovuti all'età.Dopo il
        crepuscolo, calzato un berretto o un parrucchino [Nerone]
        penetrava nelle taverne, vagabondava per i diversi quartieri facendo
        follie [...] che consistevano, generalmente, nel picchiare la gente che
        ritornava da cena, nel ferirla e immergerla nelle fogne se opponeva
        resistenza, come pure rompere e scardinare le porte delle botteghe:
        [...] Qualche volta, anche durante il giorno, si faceva portare
        segretamente a teatro in lettiga e dall'alto del proscenio assisteva
        alle dispute che scoppiavano intorno ai pantomimi e ne dava anche il
        segnale. Un giorno che si era venuti alle mani e si battagliava a colpi
        di pietra e di pezzi di sgabelli, anche lui gettò sulla folla un bel
        po' di proiettili e perfino ferì gravemente un pretore alla testa.
 Ma a poco a poco, ingigantendosi i suoi vizi, rinunciò alle scappatelle
        e ai misteri, e senza preoccuparsi di nasconderli, si gettò apertamente
        nei più grandi eccessi. Faceva durare i suoi banchetti da mezzogiorno a
        mezzanotte, ristorato assai spesso da bagni caldi o, durante l'estate,
        freddi come la neve. Arrivava anche a cenare in pubblico [...] e si
        faceva servire da tutti i cortigiani e da tutte le baiadere di Roma.
        Ogni volta che discendeva il Tevere per portarsi a Ostia [...] si
        istallavano di tanto in tanto sulle coste e sulle rive alcune taverne
        nelle quali si potevano vedere donne di facili costumi, trasformate in
        ostesse, che lo invitavano ad approdare. (Svetonio, Le vite
        dei dodici Cesari, libro VI, capp.26-27)
 
 
                                                         
        LE COLPE DEI CRISTIANI 
 Ma nessun mezzo umano, né largizioni del principe
        o sacre cerimonie espiatorie riuscivano a sfatare la tremenda diceria
        per cui si credeva che l'incendio [della
        città] fosse stato comandato. Per far cessare dunque queste voci,
        Nerone inventò dei colpevoli e punì con i più raffinati tormenti
        coloro che, odiati per le loro nefande azioni, il volgo chiamava
        Cristiani. Il nome derivava da Cristo, il quale, sotto l'imperatore
        Tiberio, era stato condannato al supplizio dal procuratore Ponzio Pilato
        [...] Ordunque, prima furono arrestati tutti quelli che confessavano la
        loro fede; poi, dietro indicazioni di questi, una grande moltitudine di
        gente fu ritenuta colpevole non tanto del delitto di incendio quanto di
        odio contro l'umanità. E non bastò farli morire, ché fu aggiunto
        anche lo scherno; sicché, coperti da pelli di fiera, morivano straziati
        dal morso dei cani o venivano crocifissi o dovevano essere dati alle
        fiamme perché, quando la luce del giorno veniva meno, illuminassero la
        notte come torce. Per questo spettacolo Nerone aveva offerto i suoi
        giardini, intanto che dava un gioco circense, mescolandosi al popolino
        vestito da auriga e partecipando alla corsa ritto su un cocchio. Per
        questo, sebbene essi fossero colpevoli e meritassero le punizioni più
        gravi, sorgeva verso di loro un moto di compassione, sembrando che
        venissero immolati non già per il pubblico bene, ma perché avesse
        sfogo la crudeltà di uno solo. (Tacito, Gli annali, libro
        XV, cap.44)
 
                                                          
      LA DOMUS AUREA 
 Nerone sfruttò la rovina della città [dopo l'incendio del 64] per
      costruire una residenza in cui facessero gridare al miracolo non tanto le
      gemme e l'oro, adoperati già da tempo in un lusso ormai banale, quanto i
      campi e i laghetti e - a imitazione della natura selvaggia - di qua i
      boschi, di là spazi aperti e vedute panoramiche, secondo il progetto
      degli architetti Severo e Celere, i quali avevano anche l'ingegno e
      l'audacia di osare, con l'arte, dilapidando le risorse del principe, ciò
      che la natura aveva negato (Tacito, Gli annali)
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